Gli asparagi del Perù e la possibilità di un lavoro

Italia, supermercato, scaffale degli alimenti inscatolati. La mano si allunga verso i barattoli di asparagi: bianchi e verdi, ce ne sono di tutti i tipi. L’etichetta recita “prodotto in Perù”.
Facciamo un passo indietro. La macchina procede lenta in un dopopranzo pieno di sole. Alla radio danno una partita di calcio, ma nessuno nell’abitacolo sembra farci caso: l’atmosfera è sonnolenta. Ci siamo appena  allontanati dal centro di Trujillo: lontane le case, il traffico incessante, lontani i palazzi spagnoli e le periferie di eternit, lontana la povertà che riempie gli occhi ad ogni angolo. Fuori dai finestrini, a destra e a sinistra, domina un beige di sabbia e terra, intervallato da qualche cespuglio tenace. Siamo nel bel mezzo del deserto peruviano. E qui, proprio qui nel deserto, siamo venuti a cercare l’acqua. In questa distesa grigio e ocra, in quello che prima era deserto, ora si produce la maggior parte degli asparagi del mondo. Anche quelli del supermercato in Italia. È infatti il panorama ad un tratto cambia tinta: dalla macchina, di scatto, ci solleviamo sui sedili. Improvvisamente lo sguardo si attacca a inaspettati rettangoli di verde, ordinati e precisi, che tagliano l’orizzonte quasi fossero un miraggio.
Il miraggio è nato nel 1986, con lo scavo di un canale che, partendo dal Rio Santa, taglia da sud a nord quattro valli: Chao, Virù, Moche, Chicama. Dalle iniziali nasce “Chavimochic”, il nome del progetto di ingegneria idraulica che ha cambiato il volto e l’economia di questa parte di Perù. “El milagro del desierto”, come recitano gli slogan, scorre placido nel suo letto artificiale, portando acqua, tramite migliaia di chilometri di tubature, ai campi coltivati: 144 mila ettari, di cui 66 mila strappati letteralmente al deserto.
L’acqua arriva alle piante con un sistema di irrigazione a goccia: tubi di gomma su cui sono stati incisi dei forellini, per un rilascio, regolato da un timer e senza sprechi, di acqua e nutrienti.Da qui può ripartire l’economia del Perù; e da qui, lentamente, può cambiare anche la mentalità, con l’introduzione del concetto di responsabilità sociale: le società cominciano a investire in asili, in campagne di vaccinazione, nell’istruzione dei figli dei dipendenti. Il grande cambiamento è la possibilità di impiego: i contadini del Chavimochic guadagnano circa 130 euro al mese; gli operai, nelle fabbriche conservaturiere, arrivano a 180 euro. Il che, in un paese dove il 53% della popolazione vive sotto la linea della povertà, è già un traguardo.
Ma “el milagro del desierto” non finisce qui. Il miracolo vero germogliato dall’acqua del Chavimochic è la speranza, per tutti, in un futuro davvero possibile. Liliana, che, grazie al progetto Becas de Estudio e al Cesvitem Perù frequenta  la quarta secondaria e ha la mente della matematica, può permettersi di sognare in grande, sottraendosi al destino dimesso che regola normalmente le vite dei ragazzi delle periferie. Col Chavimochic lì a due passi, vuole fare l’ingegnere agroindustriale, Liliana.
Marianna Sassano (foto di Tommaso Saccarola)
Questo testo è tratto dalla rubrica “La storia del mese” pubblicata su http://www.cesvitem.org e fa parte del progetto “Tra le persone” (http://tralepersone.tumblr.com)

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