G8 di Genova: le violenze sulle donne alla scuola Diaz
Questo articolo fa parte dello speciale A Nordest di Genova sui 20 anni delle giornate del luglio 2001. A Nordest Di che mette a disposizione questo spazio per ricordi, emozioni, fotografie, testimonianze che potete inviare, in qualsiasi forma, alla mail redazione@anordestdiche.com.
Come emerge chiaramente dagli atti processuali, gli agenti di polizia autori delle violenze all’interno della Diaz hanno colpito tutti coloro che erano ospitati nella scuola genovese senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di età e di condizioni personali e sociali. Dall’anziano sindacalista Arnaldo Cestaro, al giornalista Lorenzo Guadagnucci, fino alle donne, in particolare quelle straniere, tutti hanno testimoniato di essere stati colpiti senza una motivazione chiara. Di seguito riportiamo gli estratti dalle testimonianze rese al processo da due donne straniere: Morgan Katherine Hager (udienza del 21 giugno 2006) e Dolores Villamor Herrero (udienza del 5 Febbraio 2006).
Morgan Katherine Hage
Cittadina statunitense, Morgan Katherine Hager ha vent’anni ai tempi del G8 di Genova.
“Sono arrivata con Shermann ed erano circa le undici. E ho scritto un’e-mail a casa dicendo che tutto andava bene e che sarei partita il giorno dopo. E poi sono andata a dormire. Ero nella palestra. Davanti alla porta… guardando la porta sulla parte sinistra.
Mi sono svegliata perché c’era molto rumore fuori. Ho sentito gente che correva avanti indietro dentro e che urlavano. Mi sono svegliata e ho cercato di prendere il sacco a pelo. Prendere insieme… raggruppare i miei vestiti. Ho visto un gruppo di persone di fronte alla porte principale. Si sono inginocchiati e hanno alzato le braccia con il segnale due dita. Uno dei primi poliziotti ha dato un calcio a una sedia verso nel gruppo. Quando sono venuti dalla mia parte, dalla stanza, ci hanno circondato e mi hanno dato un calcio in testa. Questo è dopo che noi ci siamo inginocchiati e alzato la braccia.
C’era un uomo vicino a me, un signore vicino a me, e mi ha aiutato ad alzarmi. Non mi ricordo se erano uno o due poliziotti e hanno cominciato a picchiarci. Ho messo le mani sopra la testa e mi sono rannicchiata contro il muro. Ho messo il mio lato destro verso il muro. Non posso dire quanto è durato questo picchiarmi. In quel momento pensavo che se non mi muovevo avrebbero smesso di picchiarmi. Penso di essere rimasta in quella posizione per un po’ di tempo anche dopo che hanno smesso di picchiarmi. Quando mi sono seduta mi è stato detto di muovermi dall’altro lato della stanza.
L’uomo che mi ha aiutato ad alzarmi sanguinava dalla testa, dal lato della testa. Mi ricordo che Shermann quando si è seduto a un certo punto ha mosso la testa e ha lasciato una striscia di sangue sul muro. Mi ricordo che aveva gli occhi lucidi e non rispondeva a domande. Ero preoccupata per la ferita alla testa. Avevamo difficoltà ad alzarci quando ci hanno detto di… che ci dovevamo alzare.
La mia mano destra era rotta in tre posizioni, in tre posti. Un’altra frattura poi è stata trovata nella mano sinistra. Avevo delle costole rotte e avevo ematomi tutto sul lato destro e sanguinavo da altri posti. Sanguinavo dalla testa, dalle spalle e dalle mani.
I primi raggi li ho fatti al San Martino e hanno individuato due delle fratture nella mia mano destra, penso. Non mi ricordo se lì avevano diagnosticato le costole rotte. Dovrebbe essere nel referto medico. Non sono mai stata controllata per ferite alla testa. Sono andata poi da uno specialista a Milano dopo che sono uscita e lì hanno scoperto l’altra frattura nella mano, nell’altra mano. No, nella stessa mano”.
Dolores Villamor Herrero
Nata in Spagna, Dolores Villamor Herrero si era trasferita in Germania durante la dittatura di Francisco Franco nel 1961.
“Ho cercato un posto nella scuola Diaz dove mettere il mio sacco a pelo e le mie cose personali.
Quando sono rientrata dentro, non mi sono addormentata subito, mi sono seduta, mi sono coricata e ho guardato un pochettino in giro cosa c’era dentro la scuola. Sono andata in bagno, mi sono curata della mia igiene . (…) Arrivano altre persone e anche loro cercano la posizione dove dormire. Continua ad arrivare gente e ad un certo punto, a fianco me, arriva una coppia con degli zaini molto grossi, si affiancano e si mettono a fianco a me a dormire. Io mi addormento. Io, poi, non so più nulla perché… soltanto mi sveglierò quando sentirò delle voci che dicono: “Arriva la Polizia, arriva la Polizia”. Allora mi siedo, indosso le scarpe, metto in ordine anche le mie cose.
Sono rimasta seduta e ho visto entrare la Polizia che incominciava ad aprirsi e ad andare… a picchiare a manca e a destra, comunque a portare le persone verso un angolo del muro… Allora, la Polizia, comunque, obbliga a tutte le persone di rimanere dalla parte del muro. Dove io mi trovo, in quel momento, non succede nulla; tutto succede di fronte a me dall’altra parte.
Dove sono io si piantonano tre poliziotti… si fermano tre poliziotti senza fare niente a nessuno, rimangono lì. Dal centro, tre o quattro poliziotti ordinando a tutti noi di consegnare gli zaini. Ma tutto questo si svolge in una
situazione di panico, non con tranquillità, ma avviene disordinatamente. Io e tutti gli altri consegniamo gli zaini e io… con il passaporto e tutte le mie cose; e la mia vicina mi dice: “Dagli la borsa, dagli la borsa”, e io le ho detto: “No, non gliela do”. La Polizia questi zaini, versa tutto il contenuto indistintamente nel centro, tutto nel centro. Alla mia sinistra si trovavano due donne, in un angolino, abbracciate con una mano si abbracciavano e con l’altra alzavano la mano, ed una di loro piangeva. Alla mia destra si trovavano altre persone che erano tranquille; lì non succedeva niente, erano come me.
Io sto parlando perché dalla mia parte c’era la tranquillità, si poteva vedere, non succedeva nulla. Ma dall’atra parte la Polizia stava picchiando, dando calci, qualche sedia che volava… c’era una specie di contratto tra le due situazioni. Io all’improvviso guardo quel poliziotto e lui mi colpisce, e mi colpisce qui nel braccio. Lui ha voluto colpirmi nel capo, e io nel proteggermi, ha colpito qui
L’avambraccio. Mi è venuto d’istinto, in un secondo.
Prima ha provato a colpirmi nella testa, e ho ricevuto nell’avambraccio, poi però, mi colpito subito dietro, nella nuca. Io ho ricevuti due colpi precisi; nessun colpo inutile e nessun colpo in eccesso; due precisi. Io, in quel momento non ho più visto cosa succedeva a quelle altre persone.
Mi ci sono voluti più di due anni perché si solidificasse l’osso fratturato Perché questo è dovuto al trattamento che mi hanno dato in un ospedale, che non so quale fosse; l’ospedale mi ha consegnato l’informa medico, comunque, anche le radiografie, e la Polizia ha preso questi documenti e li ha consegnati nel carcere di Voghera e quando esco dal carcere di Voghera questi documenti spariscono”.