"El Gran Movimiento", un minatore a La Paz tra allucinazioni, documentario e squarci pop

El Gran Movimiento di Kiro Russo (Bolivia, Francia, Qatar, Svizzera, 2021, 85′) è un film “da festival” nella migliore accezione, perché si regge in un miracoloso equilibrio tra gioco con i generi, indagine sociale, ricerca formale e capacità di emozionare. In concorso nella sezione Orizzonti a Venezia 78, è il secondo lungometraggio diretto dal regista classe 1984. Può ricordare, sia per l’età del suo autore che per lo stile libero con cui racconta storie del proletariato urbano nel Sud del mondo, Air Conditioner di Fradique, visto quest’anno al Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina.

Se quest’ultimo era ambientato a Luanda, in Angola, El Gran Movimiento è invece una «sinfonia urbana» dedicata a La Paz, capitale della Bolivia inerpicata tra le vette andine, che ci viene subito presentata con una serie di quadri mossi da lenti zoom, a mostrare dall’alto la brulicante metropoli: alta densità edilizia, funivie ipermoderne che scavalcano le baraccopoli, muri scalcinati con strati di poster. La grana dell’immagine – il film è girato in pellicola, in formato Super 16mm – dà vita a un’estetica lontana da un digitale iperdefinito a cui negli ultimi anni ci siamo abituati, e la colonna sonora mixa le pulsazioni urbane registrate in presa diretta con musiche originali.

Dopo i titoli di testa ha inizio l’esile trama narrativa: è la storia di Elder, giovane minatore che incontriamo durante una manifestazione di operai che protestano per la chiusura della loro miniera. Si tratta dell’attore Julio César Ticona, che un collega ci presenta, riprendendolo in un video con lo smartphone, come il protagonista di Viejo calavera (2016), opera prima di Russo. Elder è arrivato a piedi da Huanuni – città mineraria 240 chilometri a sud della capitale, teatro negli anni di sanguinose lotte operaie – dopo sette giorni di cammino con due colleghi.

Lo spaccato operaio finisce lì, la protesta non ha seguito e il terzetto inizia a vagare per La Paz: dormono per strada, lavorano per pochi spiccioli al mercato ortofrutticolo e si svagano imbottendosi di alcol e droghe. Fuori da ogni retorica di vittimizzazione dei poveri, essi sono ritratti mentre ridono biascicando ubriachi e mentre ballano musiche elettroniche anni Ottanta in un bar illuminato da luci strobo. Questa inaspettata vena pop tocca l’apice in una scena di musical in cui il popolo del mercato si esibisce in una coreografia che ricorda le atmosfere del videoclip Thriller di Michael Jackson.

El Gran MovimientoElder, protagonista de El Gran Movimiento, interpretato da Julio César Ticona

Elder sta male: tosse e spossatezza, probabilmente causate dalle polveri venefiche respirate in miniera, non gli danno tregua. Nel microcosmo del mercato, mostrato in tutti i suoi colori in movimentate sequenze documentaristiche, il protagonista incontra Mama Pancha, una delle venditrici che, a differenza delle altre, anziché prenderlo in giro lo accoglie come un figlio. «In lui c’è il diavolo?» chiede lei al medico che visita Elder, quello liquida la sua superstizione, ma non sa dare risposte.

Compare allora il senzatetto Max, presenza fissa al mercato che dorme fuori città, tra i boschi, in cui è in dialogo con presenze ancestrali rappresentate da un cane lupo bianco. Si innesta così nel racconto, con grande naturalezza, un filone visionario. Mama Pancha chiede a questo emarginato di usare i suoi misteriosi poteri per liberare Elder dal male. Il finale suona come una rivincita della cultura andina precolombiana, devota alla pachamama, sulle sovrastrutture coloniali. Come se a non far più respirare Elder non fossero soltanto le polveri della miniera, ma l’intero sistema economico-politico improntato sullo sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro, sul consumo compulsivo, sull’alienazione: in definitiva il capitalismo.

«La Paz è la capitale meno occidentale d’America – scrive Kiro Russo nelle note di regia –. Situata a oltre 3600 metri d’altitudine, la città si distende come un mare di mattoni, pietre e calcestruzzo nei canyon che precedono l’altipiano. Volevo girare un film su La Paz con personaggi che potessero fornire un particolare punto di vista sulla città. Ho trovato questi personaggi in Elder, un giovane minatore, e in Max, un senzatetto, le cui insolite posizioni nella società mi hanno dato la possibilità di osservare la città nel suo insieme e di vederne i sistemi, le architetture e i cambiamenti. Ispirandomi liberamente alle loro vite, ho creato questa storia di malattia e cura che ci porta nel cuore del tessuto sociale della città, rivelando le vite degli invisibili».

Giulio Todescan

el gran movimiento

Immagini fornite dall’ufficio stampa di El Gran Movimiento

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