Ecco perché ci meritiamo il Nobel per la pace
Il premio Nobel per la pace è giusto o sbagliato? Ecco la risposta di Corrato Poli all’articolo di Vincenzo Romania.
Con tutti i problemi e i distinguo che si vogliono fare, l’Europa merita il Nobel per la pace e dobbiamo esserne orgogliosi e continuare su quella strada aperta quasi sessant’anni fa. Quanti grazie all’ Europa hanno viaggiato, studiato in Erasmus e soprattutto si sentono cittadini europei oltre che del loro paese e regione? Se è vero che sono morti molti migranti, quanti sono stati accolti nella nuova e pacifica Europa che 60 anni fa aveva compiuto l’Olocausto e lo stava ripetendo in Bosnia, dove non era ancora arrivata? E la nostra Europa multietnica somiglia forse a quella nazionalista di 60 anni fa? Abbiamo motivo di essere orgogliosi e accettare questo premio a cui abbiamo contribuito tutti, anche chi ha sottolineato la morte dei 20mila migranti: se l’ha fatto è perché l’Europa ha creato in noi una sensibilità di accoglienza. Sessant’anni fa abbiamo ammazzato sistematicamente sei milioni di persone e ci siamo ammazzati tra noi in numero ancora superiore. Oggi ci sentiamo colpevoli (e giustamente) per la mancata assistenza che ha provocato vittime. Meritiamo il Nobel per la pace … e lo meriteremo ancora di più se continueremo a lottare per migliorare ancora nel segno della civiltà.
Ho la stessa età dell’Europa. Quando ero piccolo mio nonno mi parlava sempre e solo di guerra. Ne aveva fatte due molto lunghe e sanguinose. La sua percezione degli altri paesi, che chiamava nazioni, era sempre di competizione e di nemici. Aveva un’idea arcana e rigida del confine e della frontiera. Il suo migliore amico era un sud tirolese che durante la prima guerra mondiale aveva combattuto sul fronte opposto. Si capivano e consideravano la guerra una nobile arte. Mio nonno era una bravissima persona, amata e rispettata. Ma si sentiva a casa solo nella sua nazione. Negli anni cinquanta si andava in Svizzera per comprare sigarette e il passaggio della frontiera era un affare serio di controlli. Ma anche andare in Francia o in Austria ti dava la sensazione di essere in un altro mondo inconciliabile con il tuo. Non parliamo di quando andai oltre cortina per delle gare di atletica: visti e contro visti, fili spinati e tanti soldati e caserme.
Entravi in un mondo completamente diverso … ma poi la corsa che facevo era esattamente la stessa e chi correva più forte la vinceva su una pista uguale a tutte le altre. Poi non servì più nemmeno la carta di identità per passare in Francia. E quel giorno nel 1989, attraversando il Reno verso la Francia, la mia compagna mi disse: “ma guarda un po’, che vergogna, dopo tante guerre, adesso non ti chiedono nemmeno un documento”. E non era ancora niente di quello che avrei visto qualche mese dopo quando i muri crollarono e fummo invasi da popoli che erano rimasti imprigionati per quarant’anni. E Berlino l’ho vista più volte di qua e di là del muro. Ma quando con l’euro non ho più dovuto cambiare moneta e mi capivo sul valore degli oggetti con i miei amici spagnoli e francesi, austriaci e tedeschi, mio nonno era dimenticato ormai. I miei studenti erano tutti di ritorno da un paese d’Europa, dove avevano studiato e trovato il partner. Io svolgevo ricerche con colleghi di tutta Europa e la burocrazia, così vituperata, consentiva di parlare lo stesso linguaggio nello sviluppare i progetti INTEGRA, EQUAL, INTERREG che permettevano di conoscerci meglio e soprattutto di lavorare insieme. Penso a mio nonno che voleva riconquistare l’Istria: adesso italiani e croati abbiamo la stessa cittadinanza, come l’hanno tedeschi e polacchi nella Slesia e in chissà quante altre regioni d’Europa, ognuna diversa dall’altra, unite da un passato di sangue che dobbiamo superare. Questa Europa che si fonda sulla diversità non ha fatto più una guerra da quando sono nato e si merita il Nobel per la Pace! Dove non c’era Europa, c’è stata guerra! Sono orgoglioso di fare parte di questa Unione Europea che ho visto crescere e diventare un fatto reale da utopia che sembrava al nonno e a me stesso quand’ero alle elementari.
Corrado Poli