Dovesiamonelmondo e Viaggiaresicuri, la confusa politica web della Farnesina
“Rimanete chiusi nei resort di Sharm El-Sheikh, state lontani dalla Palestina”. Che peraltro sul sito Dovesiamonelmondo che dovrebbe mappare gli italiani all’estero, nemmeno esiste come entità autonoma. Sembra questo il messaggio implicito che il nostro ministero degli esteri vuole dare agli italiani che vogliono viaggiare in Medio Oriente.
Recentemente ho fatto un viaggio di tre settimane dal Sinai alla Palestina passando per Israele. Da “buon cittadino consapevole” prima di partire ho consultato il sito Viaggiaresicuri.it alle voci Egitto e Territori Palestinesi e mi sono registrato al sito Dovesiamonelmondo.it che dovrebbe consentire al nostro ministero degli Esteri di avvisarmi sul cellulare qualora nell’area si presentassero situazioni di emergenza. La sensazione – ex post – è che si faccia dell’allarmismo indiscriminato e forse anche della politica estera non proprio coerente con le linee finora adottate dalla nostra Repubblica.
Tento di argomentare punto per punto, con spirito costruttivo, e con un’avvertenza di fondo: il mio non è nel modo più assoluto un invito a sottovalutare i pericoli del frequentare aree di crisi. Anzi, è importante partire conoscendo sempre la situazione reale sul campo. Il punto è quanto questi strumenti che come contribuenti paghiamo siano veramente oggettivi o non vogliano indirizzare le nostre scelte.
Inizio dalla cosa che trovo più significativa, l’assenza di una voce Territori palestinesi nel menu Dovesiamonelmondo. Chi voglia registrarsi per un viaggio in Palestina prova un certo spaesamento: dopo aver inserito i propri dati personali, nel momento di selezionare il Paese di destinazione non trova nel menu a tendina né la dicitura Palestina, né quella Territori Palestinesi adottata dal sito Viaggiaresicuri, né quella di Autorità Nazionale Palestinese. A quel punto, si proverà sotto Israele, ma ovviamente tra le città specificate non compare nessuna di quelle palestinesi, mentre è possibile selezionare Jerusalem (come si sa, lo status di Gerusalemme è doppio: ovest israeliana ed est palestinese, sempre in linea teorica e non pratica).
Solo scorrendo l’intero elenco con attenzione si scopre l’esistenza di una voce GERUSALEMME (Territori Palestinesi) che evidentemente per la Farnesina dovrebbe essere indicata anche da tutti i pellegrini che si recano a Betlemme, da tutti i cooperanti che lavorano in Palestina e dai viaggiatori che come me volevano visitare la Palestina. Peccato che tra Gerusalemme e il resto del territorio amministrato dall’Autorità nazionale palestinese ci siano un muro di 8 metri e dei checkpoint da superare. Una scelta sinceramente incomprensibile e confusa che rende la procedura inutile per tutti coloro che non scorrono per intero la lista e non trovando la dicitura che ci si attenderebbe abbandonano la registrazione.
E veniamo al tono dei messaggi del sito Viaggiaresicuri.it, l’utile portale con tanto di scheda-paese che fornisce al viaggiatore indicazioni sui documenti necessari per entrare nel Paese di destinazione, situazione sanitaria e ultimi avvisi di sicurezza diramati.
Sui Territori Palestinesi si può leggere:
In Cisgiordania le aree a nord di Jenin e Nablus e quelle nei dintorni di Hebron presentano livelli di rischio più elevato e continuano pertanto ad essere sconsigliati viaggi in tali zone,
Alla luce delle manifestazioni registrate nel corso dell’anno a Ramallah, possibili anche in altre città, si consiglia di usare particolare cautela negli spostamenti all’interno dell’intera Cisgiordania.
Nell’avviso emesso il 18 novembre 2013 si legge addirittura:
non effettuare spostamenti in Cisgiordania che non siano strettamente indispensabili
A Gerusalemme, in particolare si consiglia
di evitare la Città Vecchia dopo il tramonto, specie nei fine settimana da venerdì a domenica. Si sconsiglia assolutamente di visitare il quartiere di Silwan, dove si verificano spesso episodi violenti.
Infine, in generale, dice la Farnesina: non usate i mezzi pubblici e non frequentate i mercati
Permane il rischio di attentati. Si consiglia, pertanto, ai visitatori ed ai pellegrini di evitare i luoghi affollati (mercati all’aperto, centri commerciali, stazioni degli autobus) e di non servirsi dei trasporti pubblici (pullman di linea ed autobus cittadini).
Ora, stando alla mia e altrui esperienza, nella situazione attuale (ovviamente in caso di crisi nell’area questo ragionamento cambia) se è certo vero che bisogna rimanere sempre vigili (a Gerusalemme in città vecchia possono scoppiare disordini, questo è assolutamente vero) non ha senso dire a un turista-viaggiatore di rimanere fuori dal centro alla sera e soprattutto fare dell’indiscriminato allarmismo su attentati su mezzi pubblici e mercati all’aperto, cioè nei suq. Consigliare questo equivale semplicemente a dire: statevene a casa incoscienti, che è meglio. Muoversi in Palestina peraltro non è particolarmente complicato e Nablus non è più pericolosa di una media città italiana.
Ma il massimo la Farnesina lo raggiunge con il seguente consiglio
Sono frequenti i respingimenti alla frontiera israeliana di connazionali che – secondo le Autorità locali – non sarebbero in grado di fornire adeguati chiarimenti circa i contatti con controparti palestinesi o il motivo del viaggio. A tale riguardo si raccomanda di contattare, prima della partenza, le Rappresentanze diplomatico-consolari israeliane presenti in Italia per verificare se il programma di viaggio possa creare problemi al momento dell’ingresso in Israele.
Ora, come sa chiunque abbia già viaggiato in Palestina, l’unico modo per non avere troppi problemi all’aeroporto di Tel Aviv è dichiararsi pellegrino oppure semplicemente mentire dichiarando che non si ha intenzione di andare in West Bank e non si conoscono palestinesi. Cosa abbastanza inutile per giornalisti che abbiano spesso scritto di Palestina, cui tocca sorbirsi regolari e surreali interrogatori, ispezioni accurate del bagaglio e della propria persona. E la Farnesina cosa dice? “Se volete andare nei Territori Palestinesi comunicate il vostro itinerario all’ambasciata israeliana”! Se non fosse drammatico ci sarebbe da ridere.
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Veniamo al Sinai. A dicembre la Farnesina emette un comunicato che dice, tra le altre cose:
Si sconsigliano i viaggi non indispensabili nel Paese con destinazioni diverse dai resorts situati nelle località turistiche del Mar Rosso ed in quelle dell’alto Egitto […] Altro fattore di rischio nella Penisola del Sinai e’ legato alla presenza di tribù beduine che si sono in passato rese responsabili di atti di intimidazione e di violenza come blocchi stradali (che hanno coinvolto anche gruppi connazionali), ripetuti sequestri, anche di turisti, in particolare nella zona di Nuweiba e in direzione del monastero di Santa Caterina. In tale contesto, si continua pertanto a suggerire di evitare escursioni fuori dalle istallazioni turistiche ed attenersi tassativamente alle indicazioni diramate dalle autorità locali.Si raccomanda di affidarsi a Tour Operators in grado di assicurare ottimali cornici di sicurezza, evitando viaggi singoli e/o organizzati da agenzie od operatori non certificati.
Insomma: se proprio dovete andare a Sharm andateci e state chiusi in un bel resort di quelli circondati dall’esercito che danno da mangiare alle multinazionali del turismo e non uscite as-so-lu-ta-men-te. Dopo aver letto questo messaggio sono partito con mille precauzioni, contatti locali fidati e un certo timore. Sicuramente sono stato fortunatissimo, ma ho trovato, soprattutto tra i beduini, persone desiderose di comunicare al mondo che il Sinai non è l’inferno che si dipinge. Il custode del museo di icone del monastero di Santa Caterina (peraltro pieno di turisti russi, inglesi e altre nazionalità – tranne italiani) ci ha detto esplicitamente:
Gli italiani hanno smesso di venire perché dicono che qui è pericoloso ma come potete vedere non c’è nessun problema.
Ho soggiornato a Dahab e per due giorni sono stato con i beduini nel deserto: ho speso poco e di quel che ho speso nulla è andato in mano a Tour Operator ma solo ad abitanti del luogo. Nessun problema e nessuna sensazione di insicurezza. Ovviamente non sono un ingenuo: nel nord del Sinai ci sono cellule jihadiste al confine con Israele e la situazione è complessa. Detta in parole povere: nel Sinai non governa l’esercito egiziano, che infatti è rinchiuso in caserme e compound, ma i beduini. Ma cercando contatti locali e con un po’ di esperienza, la cornice di sicurezza che si può raggiungere può essere accettabile. Non consiglio il Sinai al di fuori del tradizionale circuito all-inclusive a tutti, ma chi lo sconsigliava fortemente a me esagerava. Per inciso credo che sia molto più a rischio attentati una location turistica di Sharm che un hotel familiare di Dahab e che sia più a rischio rapimento una gita organizzata da un Tour operator straniero che non lavora con i beduini locali piuttosto che un’escursione nel deserto organizzata dai beduini.
Cara Farnesina, se tutto è ugualmente pericoloso quale credibilità avranno gli allarmi veri agli occhi dell’utente finale? E soprattutto, quale tipo di turismo e viaggio implicitamente promuove lo Stato Italiano? Se penso bene, credo che si stia adottando, da parte del ministero degli esteri, un atteggiamento di tipo paternalistico e utilitaristico: evitiamoci qualsiasi guaio, noi ve l’avevamo detto, un po’ come quando si mette il cartello “pericolo di scivolare” sul pavimento dopo averlo lavato. Se penso male, credo che la Farnesina faccia della politica estera sulla pelle dei suoi cittadini, che voglia indirizzare e consigliare. Al di là del lecito e soprattutto, del ragionevole.
AND