Dostoevskij + Nori = 5+
Sarei tentato di aprire subito la recensione al libro che Paolo Nori ha scritto su Fëdor M. Dostoevskij rispondendo sgarbatamente alla domanda che lui stesso pone all’inizio: “Che senso ha, oggi, nel 2021, leggere Dostoevskij?”.
La mia risposta sarebbe: beh, se non lo sai tu, che per l’appunto hai scritto un libro su Dostoevskij proprio nel 2021…
Il fatto, però, è che Nori non lo sa, non ci dice che senso abbia leggere Dostoevskij nel 2021, e lo scrive anche, che non lo sa. «Io – scrive Nori (pag. 7) –, qualsiasi domanda mi si faccia, rispondo quasi sempre, come prima cosa, che non lo so. Poi, delle volte, vado avanti. In questo caso, se mi si chiedesse che senso ha, oggi, nel 2021, leggere, o rileggere, Dostoevskij, direi che non lo so. Poi andrei avanti».
In realtà un po’ lo sa, Nori, perché ha deciso di scrivere un libro su Dostoevskij nel 2021, ma la risposta, quella vera, è più disarmante di quella che avete appena ascoltato. Andando avanti, infatti, scrive (pag. 9): «Delitto e castigo l’ho letto che avevo forse quindici anni, sono passati ormai quarantun anni e, di quel momento in cui ho incontrato Delitto e castigo, io mi ricordo tutto; mi ricordo la stanza dov’ero, la mia stanzetta all’ultimo piano della nostra casa di campagna, mi ricordo com’ero voltato, mi ricordo l’ora del giorno, mi ricordo lo stupore di quello che stava succedendo, mi ricordo che mi chiedevo nella mia testa “E io?”. Quel libro, come i libri memorabili che ho incontrato nella mia vita, ha fatto diventare un momento qualsiasi tra gli innumerevoli momenti che ho passato nei cinquantasei e passa anni che son stato al mondo un momento indimenticabile, un momento in cui ero consapevole del fatto che stavo al mondo, un momento che mi sentivo il sangue che mi pulsava dentro le vene».
Ecco la scena primaria. Fondamentalmente, quindi, Nori ha scritto un libro su Dostoevskij perché Dostoevskij a lui piace tantissimo e gli lega il sangue ancora oggi, nel 2021. Ma è sufficiente una roba del genere per scriverci un libro? Anche a me, per esempio, piacque moltissimo il Processo di Kafka (che lessi a quindici anni, guarda un po’), eppure non mi verrebbe mai in mente di scrivere un libro su Kafka solo per dirlo (attenzione: questa non è una divagazione, semmai un tentativo maldestro di imitare il “Metodo Nori”, che consiste nello sviare continuamente il discorso dal suo oggetto per parlare di sé: perché il suo, si sarà capito, non è tanto un libro su Dostoevskij ma un libro di Nori che usa Dostoevskij per parlare di Nori, senza riuscirci neppure tanto bene, peraltro).
Breve inciso. Quando Nori, anziché parlare di sé o, come sarebbe il caso, di Dostoevskij, parla d’altro, abbiamo poi spunti come questo: «Una mia amica dice che [Dostoevskij] sembra Jovanotti da vecchio. Che, un po’ è vero: Dostoevskij assomiglia a Jovanotti ma è come se gli mancasse l’allegria, di Jovanotti, sembra un Jovanotti al quale hanno fatto qualcosa di brutto e che è consapevole, che gli hanno fatto qualcosa di brutto; è un Jovanotti orfano, se così si può dire, un Jovanotti orfano consapevole della propria orfanità» (pag. 151). Fine dell’inciso.
A questo punto tiriamo le somme. A me Nori, preso per sé, piace. E anche Dostoevskij, preso per sé, mi piace (nonostante non mi abbia mai fatto sanguinare, a me ha fatto sanguinare Kafka). Insomma, quando ho visto che Nori, che è molto competente di letteratura russa (questo lo ribadisce in continuazione nel libro, che lui è molto competente, e ci sono anche tantissime pagine in cui questa competenza si dimostra, per carità, diffondendosi non solo su Dostoevskij, ma anche su tantissimi altri autori russi conosciuti benissimo da Nori), quando ho visto che Nori, dicevo, aveva scritto un libro su Dostoevskij, mi sono parecchio rallegrato, ho parecchio sperato: chissà che bel libro è venuto fuori, sicuramente una brillante e anzi brillantissima esposizione della vita di Dostoevskij e del significato delle sua imponente opera, ho pensato. Sicuramente qui ci scappa un mezzo capolavoro o un libro da 10. Invece ho dovuto ricredermi, e questa somma – Dostoevskij + Nori – non ha raggiunto il 10 sperato. Ma neppure il 9, o l’8, o il 6 e mezzo. No. Dostoevskij + Nori, secondo me, arriva al massimo al 5+.
E dico 5+ così, per simpatia.
Post scriptum. Ponendosi l’ovvia questione del derby (meglio Tolstoj o Dostoevskij?), Nori butta giustamente la palla in calcio d’angolo: «Quando saltano fuori Tolstoj e Dostoevskij – scrive (pag. 169) –, litigano anche i critici. A me, invece, piacciono tutti e due. Voglio bene sia al babbo che alla mamma. Sono disgustoso».
No, Nori, non sei disgustoso, anzi: sei comunque simpatico (e in fondo hai preso 5+, mica 4). Però speriamo che adesso non ti salti in mente di scrivere un “romanzo” su Tolstoj. Visto come hai trattato la mamma, il babbo accetterà di buon grado di essere risparmiato.
Paolo Nori, Sanguina ancora: l’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij, Mondadori 2021, pagine 286, Euro 18.50
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Immagine di copertina: Statua di Dostoevskij a Baden Baden (foto di Gerd Eichmann via Wikipedia)
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