Desaparecidos, la verità di Calamai: "Genocidio appoggiato da stragisti e piduisti"

«Un giorno venne da me in consolato una ragazza: era stata rapita dalla polizia argentina, torturata, stuprata, e poi liberata. Non riusciva a capire perché non l’avessero uccisa. Evidentemente i militari avevano bisogno che qualcosa trapelasse del loro terrore». Sembrava un minuto di silenzio, ma non lo era.
Quando Enrico Calamai, console italiano in argentina al momento del golpe militare del 24 marzo 1976, ha preso la parola nell’aula magna del Palazzo del Bo, a Padova, i giovani davanti a lui, tutti i presenti, non riuscivano a fiatare. Sebbene qualcuno di loro Calamai l’avesse già sentito: lo «Schindler italiano», che salvò centinaia di giovani oppositori politici del regime, da anni gira il mondo per denunciare quanto ha visto. L’occasione di ieri era il riconoscimento che il dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’ateneo patavino ha conferito alla memoria di Néstor Kirchner, presidente argentino dal 2003 al 2007: si è distinto per aver favorito la giustizia e la punizione per i responsabili dei massacri degli anni ’70, quando il regime militare faceva sparire i giovani dissidenti. Ma la scena era tutta per l’ex console. «Un eroe scomodo»,  è il titolo della puntata che Rai Storia gli ha dedicato.
A sentirlo parlare, si capisce il perché. «In quegli anni in Argentina fu programmata la decimazione dei giovani: ammazzati o esiliati per i militari non faceva differenza. Tutto questo con le complicità delle democrazie occidentali, che occultavano il tutto in cambio di accordi economici, in cambio dell’arrivo delle loro multinazionali in quella terra fertile». E l’Italia? «I militari argentini erano sicuri, com’era infatti, di avere l’appoggio di un’Italia stragista e piduista. Tant’è vero che il governo italiano, come gli altri, non fece nessun passo diplomatico, chiudendo gli occhi».
Tanti furono i «desaparecidos», ancora compianti. «La differenza fra l’uomo e la bestia è che, pur ammazzandosi entrambi, l’uomo restituisce il cadavere per poterne dare una sepoltura. In Argentina neanche quello succedeva: c’era un terrorismo di Stato che trasformava i giovani peggio che in bestie da macello». L’invito finale di Calamai è un appello alla memoria, alla storia. «Le complicità internazionali furono gravissime, e ancora se ne sa poco: democrazie che propagandavano la difesa dei diritti umani permisero quei fatti. Chi allora fu complice di quello che è stato definito un genocidio non può essere perseguito penalmente ormai, ma rimane la possibilità di fare storia».

E.A.

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