Dario Rossi (Genoa Legal Forum): «I processi hanno scritto la verità sul G8. Ma c'è ancora chi aspetta il risarcimento»

Questo articolo fa parte dello speciale A Nordest di Genova sui 20 anni delle giornate del luglio 2001. A Nordest Di che mette a disposizione questo spazio per ricordi, emozioni, fotografie, testimonianze che potete inviare, in qualsiasi forma, alla mail redazione@anordestdiche.com

Con Dario Rossi, avvocato genovese e attivista dell’associazione Giuristi Democratici, ripercorriamo la storia processuale del G8 di Genova. Un evento i cui strascichi giudiziari hanno impegnato per almeno dieci anni una squadra di circa 150 legali, coordinati dalla struttura informale del Genoa Legal Forum. Tre i principali processi nell’ambito dei quali gli avvocati hanno difeso circa 100 imputati e 300 parti offese, in molti casi stranieri: quello per i fatti della Diaz, quello per le violenze nella caserma di Bolzaneto, quello contro 25 manifestanti accusati di “devastazione e saccheggio”. Ci sono poi l’inchiesta sull’uccisione di Carlo Giuliani, archiviata nel 2003, e una serie di altri procedimenti per fatti di strada. Tra le conseguenze della storia giudiziaria post-Genova c’è l’introduzione, nel 2017, del reato di tortura nel codice penale italiano. E non è ancora finita: molti manifestanti aspettano ancora i risarcimenti dallo stato italiano per le violenze subite. Una ricchissima documentazione sulle vicende processuali è raccolta nel sito processig8.net.

Avvocato Rossi, come nacque il Genoa Legal Forum?

Come associazione Giuristi Democratici abbiamo aderito al patto di lavoro del Genoa Social Forum, sia perché ne condividevamo i principi sia perché nel marzo 2001 al Global Forum di Napoli avevamo visto una gestione dell’ordine pubblico preoccupante, con la creazione di una sorta di trappola in piazza Municipio, manifestanti picchiati in piazza e anche negli ospedali. Abbiamo iniziato con un ricorso al Tar contro la zona rossa nel centro di Genova che ritenevamo lesiva dei diritti fondamentali, perché istituita con l’atto di un prefetto e non da una legge, e che fu rigettato il primo luglio con motivazioni discutibili. Al gruppo di Giuristi Democratici si sono aggiunti altri colleghi, arrivando a una quarantina di persone. Da quel nucleo nacque poi, dopo le manifestazioni, il Genoa Legal Forum, che ha contato su un centinaio di avvocati.

Qual era il vostro ruolo durante i giorni del G8?

Nella sede del Genoa Social Forum avevamo un piccolo ufficio da cui rispondevamo al telefono e alle email e coordinavamo gli avvocati presenti nelle manifestazioni. Durante il blitz alla Diaz la sala avvocati venne devastata dalla polizia che sfasciò i computer e rubò gli hard disk che contenevano testimonianze e denunce delle violenze di piazza, in seguito Giuristi Democratici si costituì parte civile nel processo Diaz e lo Stato fu condannato a risarcire i danni all’associazione.
Il Genoa Social Forum non aveva un servizio d’ordine, quindi la nostra presenza in piazza assumeva un ruolo di garanzia particolarmente importante: indossavamo magliette con scritto “avvocato” e un numero di telefono. Ci capitava di trattare con le forze dell’ordine, personalmente l’ho fatto con i carabinieri il 21 luglio cercando di convincerli a non attaccare il corteo in Corso Italia, dove non c’erano vie di fuga. Ma le cariche ci furono lo stesso, ci fu la Diaz, Bolzaneto e tutto quello che conosciamo.
Pensavamo che fosse la fine, invece era solo l’inizio: gli anni successivi furono dedicati a cercare testimoni, lavorando sul doppio fronte della denuncia e della difesa. Molte energie sono state spese per smontare le accuse false nei confronti dei manifestanti: basti pensare che dopo l’assalto alla scuola Diaz le forze dell’ordine arrestarono tutti quelli che erano all’interno, 93 persone che erano state appena picchiate selvaggiamente, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio. Solo il 12 maggio 2003 quelle accuse furono archiviate.

Qual è la verità giudiziaria emersa nei principali processi?

La verità processuale è stata ricostruita a tutti i livelli. Per quanto riguarda i manifestanti, il “processo dei 25” ha visto condannati in secondo grado 10 manifestanti sui 25 imputati, condanne poi confermate dalla Cassazione. Le loro azioni sono state ricostruite con l’analisi dei filmati, nessuno di loro è stato arrestato in piazza. Per le centinaia di manifestanti tratti in arresto durante le manifestazioni, invece, le accuse sono state archiviate.

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E per quanto riguarda le forze dell’ordine?

I due grandi processi che hanno visto imputati membri delle forze dell’ordine sono stati quello per l’assalto alla scuola Diaz e quello per le violenze alla caserma di Bolzaneto, dove 75 manifestanti furono portati dopo essere stati arrestati alla Diaz. Per la Diaz la sentenza di Cassazione, arrivata nel 2012, ha visto condannati 25 poliziotti presenti al blitz, i vertici della polizia italiana dell’epoca, per falso aggravato, l’unico reato scampato alla prescrizione dopo 11 anni. Manca Gianni De Gennaro, l’allora capo della polizia, mai indagato nel processo principale e assolto in un procedimento parallelo per induzione alla falsa testimonianza. È stato provato il posizionamento da parte della polizia di bottiglie molotov falsamente attribuite ai manifestanti, come la falsità delle accuse con cui si giustificava l’arresto di 93 persone. Per i fatti della caserma di Bolzaneto sono state emesse in appello 7 condanne, ed è stata dichiarata la prescrizione per 35 persone, comunque condannate a risarcire i danni alle vittime di abusi e violenze. La Cassazione, nel 2013, ha confermato le 7 condanne.

I manifestanti vittime accertate di violenze sono stati risarciti? E da chi?

I risarcimenti sono stati pagati dallo Stato, perché per fare causa contro il singolo poliziotto autore della violenza avremmo dovuto conoscerne il nome, cosa nella maggior parte dei casi impossibile, non essendoci numeri identificativi sulle divise né sui caschi. Nel mio caso, all’esito dei processi per la Diaz e per Bolzaneto, mi sono impegnato a richiedere il risarcimento delle mie spese legali da parte dei poliziotti condannati, anche se sarebbe stato più facile ottenerlo dallo Stato. Alla. Fine hanno pagato tutti.

Al di là delle sentenze, quanto è stato importante il lavoro del Legal Team per ricostruire la verità storica?

Mettere in dubbio ciò che è successo a Genova è difficilissimo, ma in Italia si mette sempre in dubbio tutto, anche la Resistenza. Le sentenze hanno scritto la storia del G8 ma, nonostante questo, c’è ancora chi dice che polizia si è difesa.

Se nel 2001 fosse esistito nell’ordinamento italiano il reato di tortura, forse ci sarebbero state più condanne per quelle violenze. Ma proprio le battaglie legali successive al G8 hanno portato l’Italia a introdurre quel reato, nel 2017. Può ricostruire il percorso che ha portato a questo risultato?

Insieme a un collega di Roma, Nicolò Paoletti, abbiamo fatto causa alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per Arnaldo Cestaro, che nel 2001 aveva 62 anni e dopo esser stato pestato alla Diaz ha riportato fratture a una gamba, a un braccio e ad alcune costole. Nel ricorso affermavamo che i colpevoli avrebbero essere puniti adeguatamente ma ciò non era avvenuto perché le leggi italiane non prevedevano il reato di tortura. Le sentenze hanno definito quei fatti come trattamenti inumani e degradanti, che secondo la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura configurano proprio il reato di tortura, che nel nostro codice penale non esisteva fino a quattro anni fa. Gli autori della mattanza di Genova sono stati perseguiti per reati più lievi e più facilmente prescrittibili, come l’abuso d’ufficio, l’arresto illegale, lesioni e percosse. La Corte ha emesso nel 2015 una sentenza importantissima in cui si diceva che le violenze costituivano una «rappresaglia, per provocare l’umiliazione e la sofferenza fisica e morale delle vittime» e che non potevano essere descritte che come «tortura». La sentenza inoltre criticava lo Stato italiano per non aver collaborato con gli inquirenti nell’identificare i poliziotti autori di violenze, per la mancanza di strumenti identificativi come i codici numerici sulle divise, e per non aver svolto azioni amministrative verso questi funzionari, la maggior parte dei quali ha fatto carriera anche dopo Genova. Di fatto la Corte ha obbligato l’Italia a introdurre il reato di tortura.

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Il reato è stato approvato dal parlamento nel 2017, che cosa ne pensa?

La legge è un passo avanti ma ha molti punti deboli. Non è un reato proprio del solo pubblico ufficiale, come invece nella definizione della Convenzione dell’Onu. Inoltre, prevede la reiterazione dei comportamenti, che per esempio nel caso della Diaz, dove il blitz durò solo mezz’ora, sarebbe stata difficile da dimostrare. Ancora, prevede che ci debba essere un elemento intenzionale, anche qui difficile da trovare, perché la tortura è un fatto materiale. Infine, senza che in parallelo si introduca un sistema di identificazione delle forze dell’ordine, è difficilmente applicabile.

Ci sono procedimenti ancora aperti, dopo 20 anni?

Restano aperte diverse cause civili: io sto seguendo quattro persone, tre tedeschi e un americano, per ottenere i risarcimenti dallo Stato, e Arnaldo Cestaro per il riconoscimento dei danni civili.

A quanto ammonta il risarcimento medio?

Il tribunale di Genova ha adottato dei parametri secondo cui, in sede civile, le vittime delle violenze della Diaz e di Bolzaneto ottengono risarcimenti che solitamente si aggirano attorno ai 60-70 mila euro.

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I processi avrebbero potuto individuare le responsabilità politiche di chi decise la mattanza di Genova?

Sicuramente c’era una regia: è la politica a decidere come si gestisce la piazza, la polizia esegue gli ordini. Detto questo, è difficile capire se fossero stati dei veri e propri ordini. Certe cose si intuiscono, forse, dalla preparazione di un evento: se chiami a Genova in massa polizia, carabinieri e guardia di finanza, lasci che cantino “faccetta nera”, lanci loro un messaggio chiaro. Non credo sia stato dato l’ordine di fare un massacro alla Diaz, quanto piuttosto “andate lì e fate molti arresti”. Il resto è venuto, per così dire, da sé.

Dal punto di vista politico che bilancio fa di quei giorni?

Aver vinto le cause non è consolante, se pensiamo che trasformare il G8 in un caso giudiziario e in un episodio di grande repressione ha oscurato il messaggio politico. Il Genoa Social Forum è stato costretto a difendersi, raccogliere fondi, portare avanti processi. Dei convegni di quei giorni, con le proposte dei premi Noble per una globalizzazione giusta, non è mai stata fatta una pubblicazione, nessuno li ha raccolti né tramandati. Spezzando quel filo, gli 8 grandi hanno vinto.

Giulio Todescan

 

Foto: Giulio Todescan

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