Compleanno a Bali (parte quinta)
Appena tornati a Kuta alle 22 ci viene un certo languorino e non ci dispiace l’idea di cenare in un ristorante italiano.
Dalla mia esperienza decennale a Singapore ho ormai ben presenti le possibilità offerte dalla cucina italiana in questa parte turistica del mondo dove non c’è stata un’immigrazione italiana come in Germania, Australia o negli Stati Uniti. In uno spettro davvero ampio si va dal “ristorante italiano” creato e gestito dagli “indigeni” nella loro interpretazione; a quello messo su da qualunque Italiano facesse prima un altro mestiere, dopo essersi incagliato ed aver naufragato su un corpo attraente e diversamente disponibile da quello di una donna italiana che magari avrebbe richiesto altri atteggiamenti da quelli di una donna locale; allo chef italiano che ha viaggiato nel mondo ed è stato assunto a lavorare in uno stabilimento di un certo livello; per finire al ristorante gestito da quello stesso chef il quale, innamorato del posto, abbia deciso alla fine di restarci e di mettersi in proprio. Come una persona dotata di senso pratico non andrebbe in un ristorante in montagna a chiedere i filetti di sogliola, noi abbiamo pensato che un ristorante italiano con una scelta di piatti di pesce a Bali non poteva essere troppo cattivo e dopo aver esaminato il menu, abbiamo deciso che c’era un ottimo rapporto di Filone*.
Ho ordinato delle fettuccine al granchio che si rivelano deliziose. Lo chef viene dalla Lombardia e ci tiene a che le cose siano fatte bene. Un vero granchio intero è stato aperto e la sua polpa posta ai lati del piatto mentre le fettuccine sono condite con un sugo che contiene pezzi di vero granchio. La differenza al palato è immediatamente gratificante e percettibile. Ci alziamo da tavola pronti all’ultimo giro esplorativo delle vie che arrivano fino a Legian. Dopo aver incontrato varia fauna umana torniamo in hotel, tutto sommato contenti.
Bali. Un’isola di complessità che è diventata un recettore di altre complessità da tutto il mondo. Un posto dove ognuno può cercare la sua risposta anche permettendosi di ignorare completamente quello che lo circonda e rinchiudendosi nella sua bolla iridescente di Paradiso in terra.
Siamo troppo cinici per lasciarci sedurre da questa proposta auto-illusoria e ci limitiamo ad apprezzare tutto quello che è stato oggettivamente piacevole: la giornata di oggi, il cibo, quello che abbiamo imparato. Naturalmente sappiamo che si tratta di una vacanza. Domani torneremo a Singapore, alla sua vita organizzata e alla sua prevedibilità rassicurante.
Il nome dell’aeroporto di Bali, nostro punto di ritorno, nasconde un’altra delle storie sanguinose e tragiche così caratteristiche di quest’isola e questa storia stessa è come un cipollone che più si sfoglia, più verrebbe da piangere perché si scoprono altre storie anche più drammatiche. In fondo gli Antichi non avevano tutti i torti quando immaginavano che le anime, trasmigrando da un corpo all’altro, bevessero prima l’acqua del fiume Lete, per guadagnare l’oblio delle vite precedenti. Se tutti i turisti fossero consapevoli di cosa è successo qui magari non sarebbero così spensierati. Il nome dell’aeroporto, Ngurah Rai, è quello di uno degli organizzatori dell’esercito nazionale indonesiano subito dopo la sconfitta dei Giapponesi nella Seconda Guerra Mondiale e la loro resa incondizionata il 15 agosto 1945. Nato a Bali il 30 gennaio 1917, dopo aver ricevuto un addestramento militare olandese alla Scuola Militare dei Cadetti fu promosso, con la laurea, sottotenente. Perché gli è stato intitolato l’aeroporto?
Venerdì 17 Agosto 1945, Sukarno e Hatta, a nome del popolo indonesiano, lessero la proclamazione di indipendenza dell’Indonesia. I Giapponesi con la conquista dell’arcipelago nel marzo del 1942 avevano improvvisamente posto fine a 340 anni di presenza olandese. Tutti i cartelli, i segni stradali, i nomi in olandese erano stati cancellati o fatti sparire nel giro di una notte. La vecchia struttura feudale con la nobiltà giavanese tenuta in gran conto per gestire lo sfruttamento coloniale era stata disintegrata e una nuova società era emersa. I Paesi Bassi però non volevano riconoscere questa indipendenza, che insisteva sul fatto che la sua legittimità risiedeva nell’avere come fonte della sovranità il popolo. Per quattro anni gli Olandesi combatterono una guerra persa in partenza. Ngurah Rai era nella capitale repubblicana, stabilita a Yogyakarta anziche’ a Jakarta per ragioni di sicurezza, dove ricevette gli ordini di tornare a Bali per opporsi alle circa 2.000 truppe olandesi che erano sbarcate lì tra il 2 e il 3 marzo 1946. Il 20 novembre 1946, gli olandesi lanciarono un attacco su larga scala su Marga, sostenuti da un appoggio aereo. Il Colonnello Ngurah Rai diede gli ordini per un Puputan, ovvero una lotta fino alla morte e morì insieme a tutte le sue truppe. Oggi il suo volto si trova sulle banconote da 50.000 rupie.
Il Puputan non è comunque stato inventato da Ngurah Rai, ma ha dei precedenti inquietanti. Il 14 settembre 1906, una forte corpo di spedizione militare olandese sbarcò sulla spiaggia di Sanur a Bali, che era rimasta indipendente e alla periferia delle Indie Orientali Olandesi. Non incontrando alcuna significativa resistenza giunse a Denpasar, il capoluogo di Bali, e, attraversando una città apparentemente deserta, si avvicinò al palazzo reale. Gli Olandesi potevano solo sentire un selvaggio rullio di tamburi provenire dall’interno delle mura del palazzo, da dove presto uscì un corteo silenzioso, guidato dal Raja, sostenuto da quattro portatori su un palanchino, vestito in abiti tradizionali bianchi da cremazione, mentre indossava anche gioielli magnifici, ed era armato solo di un pugnale cerimoniale. Le altre persone nel corteo erano suoi funzionari, guardie, sacerdoti, mogli, figli e servi.
Quando arrivarono ad un centinaio di passi dai militari olandesi, si fermarono e il Raja scese dal palanchino e si affidò a un sacerdote che gli affondò il pugnale nel petto. Il resto del corteo cominciò a suicidarsi. Le donne beffardamente gettavano monete e gioielli d’oro contro le truppe olandesi che in risposta avevano aperto il fuoco contro questa folla inerme. Circa mille Balinesi furono massacrati e i soldati poi ne spogliarono i cadaveri degli oggetti di valore e saccheggiarono le rovine del palazzo bruciato.
Chi visita Amsterdam oggi difficilmente può immaginare che questo capitolo di sofferenze sia stato chiuso solo sette anni fa. Infatti, solo il 15 Agosto 2005, durante le celebrazioni per il sessantesimo anniversario della dichiarazione d’indipendenza indonesiana, il Ministro degli Esteri olandese Bernard Bot ha finalmente espresso il proprio rammarico per le azioni di polizia del governo olandese che hanno provocato carneficine e sofferenza in Indonesia. Ospite del ricevimento offerto dal Ministro degli Affari Esteri indonesiano Hassan Wirayuda, Bernard Bot, e nato anch’egli a Giacarta quando si chiamava Batavia sotto gli Olandesi, Bernard Bot ha detto che il governo olandese aveva deciso di accettare il 17 agosto 1945 come data dell’indipendenza dell’Indonesia, invece del 27 dicembre 1949, il giorno in cui nei Paesi Bassi avevano formalmente trasferito la propria sovranità in Indonesia.
Ci sono voluti sessanta anni perché questo riavvicinamento avvenisse, e sette di più perché io venissi a Bali a scoprire questa storia. Grazie a Federico e al mio compleanno.
Fine– parte quinta di cinque– di Giovanni LOMBARDO
* rapporto di Filone: relazione tra il basso costo del cibo e la carica batterica [cfr. parte seconda]
Compleanno a Bali – parte prima
Compleanno a Bali – parte seconda
Compleanno a Bali – parte terza
Compleanno a Bali – parte quarta