Compleanno a Bali: il giorno dopo (parte terza)
Il sole possente del primo mattino filtra attraverso la finestra della veranda e mi comunica una gioia di vivere incredibile. Come è possibile? Ho dormito meno di cinque ore. Anche Federico, con mia sorpresa, si alza. Ci rendiamo conto che siamo ancora in tempo a fare colazione e velocemente scendiamo le scale per raggiungere una tazza di caffè. Uno dei piaceri più grandi mi viene dal sentire che la mia mente è come una tabula rasa disponibile al nuovo. Le pur poche ore di sonno sono riuscite a cancellare o ad archiviare le paure di attentati, collusioni terroristiche e pensieri spiacevoli. C’è chi paga istruttori di yoga o di altre pratiche per poter raggiungere questo stato di pace.
Nella sala della colazione ci sono i residuati della notte precedente: varie donne indonesiane ancora accompagnate ai loro clienti della sera prima, che fanno colazione con loro. Mi ha sempre colpito questo dettaglio dell’uomo dal capello bianco o grigio, dal corpo un po’ deformato dagli anni che tiene mano nella mano la sua compagna mercenaria dell’occasione.
Adesso dobbiamo decidere se affittare un’auto o prendere un autista per la nostra escursione. Il nostro itinerario prevede il complesso di rovine di Goa Gajah ed il vulcano con le sue sorgenti termali. Di ritorno verso Kuta vorremmo anche fermarci ad ammirare le famose risaie terrazzate a Jatiluwih. Optiamo per l’autista, che ci chiede 600.000 rupie, pari a 49 Euro, per andare in giro tutta la giornata, tutto incluso. Dai miei amici locali so che un prezzo “giusto” sarebbe di solo 200.000 rupie, ma in questo momento di poco tempo l’idea di spendere 24 Euro e 50 centesimi a testa per fare un giro di più di trecento chilometri ci sembra più che accettabile.
Partiamo. Man mano che avanziamo in campagna Federico mi fa notare che molte case non hanno alcuna finestra al lato sud. Il famoso lato maligno. A 27 chilometri da Denpasar arriviamo alla “grotta dell’Elefante” (questa la traduzione di Goa Gajah). L’area è considerata tutt’oggi sacra e ci viene gentilmente dato un sarong per nascondere le gambe che i pantaloncini espongono mezze nude, aspetto irriverente secondo le credenze locali. Sia i buddisti che gli induisti vengono qui a pregare. Federico è colpito da questa storia e mi dice: -pensa Giovanni, settecento anni fa c’erano degli uomini che cercavano un luogo con acqua corrente per potersi fermare a meditare-.
Un terremoto ha fatto crollare gran parte degli edifici in pietra, le cui rovine giacciono sparse un po’ ovunque sull’area sacra, dove possiamo osservare i dettagli del pinnacolo dello stupa, un volto scimmiesco
rappresentante il dio Hanuman o altri dettagli. Cio’ che mi colpisce è l’entrata alla grotta di meditazione, rimasta abbastanza immutata, che mi ricorda i mostri barocchi di Bomarzo. Una volta entrati la nostra guida ci mostra i tre lingam dedicati alla trinità induista: Brahmā il creatore, Vishnu il conservatore e Śhiva il distruttore o trasformatore. Aspetto curioso di questa versione regionale dell’Induismo è che si tratta di una religione riconosciuta dallo Stato indonesiano nell’ambito della filosofia fondatrice dell’Indonesia detta del Pancasila, o anche “dei cinque princìpi”, uno dei quali è il credere in un solo Dio. Questo escamotage ideologico ha aiutato l’Indonesia a non precipitare in una spirale devastante di guerre religiose tra i Musulmani monoteisti, che costituiscono la maggioranza della popolazione dell’Arcipelago, e gli Induisti e i Buddisti, tradizionalmente non considerati dall’Islam come popoli del Libro alla
stessa stregua di Ebrei e Cristiani nelle loro varie confessioni. L’Induismo Balinese crede quindi in un essere superiore detto Acintya, o anche Atintya (dal Sanscrito: “l’impensabile”, “l’inconcepibile” o anche “l’inimmaginabile”), che spesso non e’ neppure rappresentato, nel qual caso e’ semplicemente evocato da un trono vuoto o in cima ad una colonna (il “Padmasana“, letteralmente, il “Trono del Loto“), dentro i templi Balinesi. Tutti gli altri dei tipici del Pantheon altrimenti politeista dell’induismo vengono ricondotti ad essere meri aspetti dell’unico Dio il quale, essendo inconoscibile, non si può venerare, ma si può tentare di pregarne le manifestazioni. Si pensa che questo modi di interpretare la religione sia iniziato con le riforme messe in atto nel sedicesimo secolo per contrastare l’avanzata dell’Islam, che, ricordiamo, non riconoscendo le caste come l’Induismo, era anche una religione liberatrice aperta a tutti.
Due giovani donne con un velo islamico rosso guardano incuriosite le forme dei tre falli stilizzati. Le saluto in bahasa e mi sorridono, stupite della mia conoscenza linguistica. Chiedo se sono di Java e mi rispondono affermativamente, domandandomi come io lo possa sapere. Rispondo che la loro pronuncia con una “erre” molto arrotata me lo aveva fatto sospettare. La nostra guida le guarda con distacco, poi dice a me e a Federico, sprezzante: -qui vengono molte ragazze da Java, ragazze facili, a fare qui quello che a casa loro non potrebbero!-.
Davanti alla grotta, scoperta dal Dipartimento di Archeologia olandese nel 1923, ci sono degli scalini per i quali si scende alle vasche per le abluzioni con statue di donne che reggono orci dai quali fuoriesce acqua sorgiva, queste scoperte e dissotterrate nel 1954 dall’archeologo olandese Dr. Krijgsman. Le piscine per i fedeli e la struttura del tempio di Goa Gajah e dei templi balinesi in generale rivelano incredibili somiglianze con i templi tagliati nella roccia nell’India del Sud, dall’epoca dei Pallava.
Dopo aver camminato per il vasto complesso ci rimettiamo in marcia diretti verso le sorgenti calde. Bali infatti sorge sul cosiddetto “Anello di Fuoco del Pacifico”, una zona in cui lo scontro tra le placche tettoniche euroasiatica, australiana, filippina e del Pacifico genera terremoti e tsunami devastanti ed un vulcanesimo diffuso. Dei due vulcani attivi presenti a Bali scegliamo il Gunung (Monte) Batur, alto 1717 metri, che si trova al centro di una vasta caldera vulcanica, occupata parzialmente da un lago semicircolare. Ai lati della strada che con vari tornanti si arrampica fino ai bordi della caldera vediamo pile di frutta insolita, in vendita per gli escursionisti. Passano anche più camioncini pieni di cavolfiori e cavoli cappucci. Sembra strano, a queste latitudini. Appena il nostro autista si ferma per farci bere un po’ d’acqua, sentiamo sulla pelle che la temperatura è almeno dieci gradi più fresca che a Kuta, e sicuramente meno umida. Chiedo ad una signorina se posso assaggiare uno dei frutti insoliti, che non conosco, esposti. Me ne taglia una punta, e mi dice di schiacciarlo in modo che se ne possa succhiare il
contenuto. Qui lo chiamano terung belanda, cioe’ melanzana olandese, dove “olandese” ha per loro lo stesso significato che ha per noi “turco” o “saraceno“: qualcosa di deviante, strano rispetto alla norma. (vedi: “granturco” e “grano saraceno”). Guardo meglio questo frutto e improvvisamente ricordo vecchie pubblicità di giornali di vendita per corrispondenza degli anni Ottanta che pubblicizzavano “l’albero di pomodori”, ovvero il tamarillo. Finita questa pausa scendiamo giù dal bordo del cratere fino al campo di lava solidificata che è parzialmente coperto dal lago. Mi ricorda le Azzorre. Ci sono molte coltivazioni ed un progetto di forestazione della zona. Arriviamo finalmente alle sorgenti calde, che si presentano in due versioni: una in cui le acque vulcaniche sono state raccolte in piscine ad uso dei turisti come noi, ed una ad uso del popolo, dove la gente del villaggio di Batur fa il bucato, il bagno, lava i denti ai bambini piccoli e addirittura… pesca!
Gli addetti alla piscina termale si lamentano che non ci sono visitatori e gli affari sono stagnanti. Tutti quindi sperano che noi porteremo qualche rupia nelle loro tasche. Indifferenti alle loro richieste di massaggiarci, ci ristoriamo per un po’. La notte sta per scendere tra un paio d’ore e con strade senza luce ne’ catarifrangenti ai lati il ritorno diventa molto lungo.
Prevediamo di arrivare a Kuta alle 22, in quanto vogliamo fermarci ad ammirare le famose risaie sui terrazzi, tanto la notte a Bali è vivacissima e non finisce mai. Le risaie terrazzate di Bali si riveleranno per noi una scoperta di un sistema davvero unico, Cosa ci ha affascinato di questa visita? Lo scopriremo nella prossima puntata.
Continua – parte terza di cinque– di Giovanni LOMBARDO
Compleanno a Bali – parte prima
Compleanno a Bali – parte seconda
Compleanno a Bali – parte quarta