Compleanno a Bali
Agli amici che il 15 Febbraio, col farmi gli auguri, mi chiedevano cosa avrei fatto per il mio compleanno, risposi che il mio amico Federico Filone mi aveva regalato un volo per Bali e quindi sarei andato a raggiungerlo per qualche giorno lì. Isola distante da Singapore solo due ore e mezzo di volo , per un costo tra i 50 e i 300 Euro di andata e ritorno a seconda delle offerte e delle linee aeree, Bali è una meta esotica con un’aura magica. L’augurio che quasi tutti gli amici non italiani mi facevano in inglese era: “have a blast”, cioè “spassatela”, ma non mi suonava particolarmente di buon auspicio. Gli attacchi terroristici del 2002 e del 2005 si erano infatti concretizzati in una serie di “blasts” (esplosioni) e non mi piaceva l’idea della possibilità che si potessero ripetere.
Appena arrivato all’aeroporto ho capito subito il significato degli ammiccamenti di quelli che mi avevano augurato di divertirmi: sono stato subito colpito da un’incredibile varietà di stimoli. Dagli accenti dei turisti in coda davanti al funzionario della dogana riconosco newyorkesi e californiani; qualche texano; molti australiani. Sembra più la coda per entrare in una discoteca alla moda che per varcare un confine. Una bella ragazza dai capelli lunghi e biondi col cappello di paglia ha un sassofono a tracolla. Nella sala degli arrivi ci sono molti annunci in russo, sia per i turisti “poveri” provenienti dall’Estremo Oriente ex sovietico, sia per i turisti ricchi da Mosca e San Pietroburgo. Il Muro di Berlino è crollato nel 1989: chi nacque allora oggi ha già 23 anni che, fuori dall’Italia, è l’età in cui uno comincia a fare carriera, affermarsi, esplorare. Appena fuori, sul piazzale dell’aeroporto, ignoro i vari personaggi che mi propongono “taxi, taxi” e vado direttamente verso lo sportello dello shuttle ufficiale.
In circa mezz’ora raggiungo Poppy Lane 2, dove c’è l’hotel che ha scelto Federico. Questa strada si apre direttamente sulla vasta, lunga, bellissima spiaggia di Kuta. Sulla sabbia si vedono molte teste bionde con una birra in mano, o saltare sulle onde sui surf o anche sotto il sole mentre si abbronzano. Ovunque gli “indigeni” ti danno il benvenuto e ti chiedono se vuoi qualcosa. Una birra? Un surf? Massaggio? Jiggy jig? Quest’ultimo, nel dialetto balinese, è il massaggio con “finale felice”, procurato, secondo le richieste, con una bocca, una mano o un altro organo, anche questo a scelta. Indifferenti a tutti questi richiami decidiamo di andare in qualche posto speciale. Federico ha sentito da una ragazza che ha conosciuto ieri che ci sono molte spiagge belle nella parte meridionale dell’isola, a Nusa Dua, ma non si ricorda dove. Proviamo a chiedere alla reception qualche informazione.
Finalmente scegliamo di andare a Geger e anziché affittare un’auto, decidiamo di andarci con un autista. Una volta in auto, è impossibile conversare tra di noi: l’autista è molto chiacchierone e ci interrompe sempre, cercando di identificarci per capire in che modo potrebbe ricavare dei soldi da noi.
Ci chiede subito se vogliamo che ci trovi delle ragazze. Per trecentomila rupie, pari a venticinque euro, potremmo passare un’ora con una di loro e… “fare di tutto”, anche se secondo lui non conviene perché già con un solo milione, equivalente a ottantatré euro, possiamo prenotarla per tutta la notte. Divertiti da questa manifestazione mercantile dell’istinto di sopravvivenza, cerchiamo di depistare la sua incomprensione del nostro desiderio di andare in giro per i fatti nostri a esplorare, e gli raccontiamo che andiamo a Geger a incontrare un’amica di Federico, che lui ha conosciuto all’università in Francia. Subito l’autista s’informa: è forse Balinese questa ragazza? Perché se è Balinese allora Federico, secondo l’autista, perderà solo tempo, perché se la sua amica ha studiato, è di buona famiglia e quindi non è disponibile a fare cose divertenti. Inarrestabile, l’autista si prodiga di consigli per conquistarla definitivamente, come ad esempio la strategia dei tre passi: il primo, mettere una mano sulla gamba dell’amica; poi, secondo, guardarla negli occhi. Se è contenta, passare senza indugio al terzo passo: baciarla. Se non è contenta, meglio ritirarsi e telefonargli per chiedergli l’indirizzo di qualche donna a pagamento. Stessa solfa ripetuta una dozzina di volte. Arriviamo a Geger dopo un tempo che, grazie al nostro mentore, ci era sembrato interminabile. La strada scelta da questo genio, che non sa nemmeno lui dove andare, avanza tra i cantieri enormi del Mulia Hotel, popolati da operai che hanno quasi finito la giornata, vestiti nei loro sarong tradizionali. Certo non è la Geger che ricordavo io dal 1997. Arrivati alla fine della strada, sul parcheggio di un ristorante di pesce che da’ sul mare, scendiamo dalla vettura. Il mare ci promette bene. L’autista ci chiede se ci deve aspettare e noi gli diciamo di no, che torneremo da soli. Sconsolato, finalmente se ne va, non senza averci accompagnato per un centinaio di metri.
L’avventura è cominciata! Sia io che Federico non ci saremmo mai arrischiati a venire in un posto così da soli. Ci colpisce un odore pungente, simile a quello che arriva al naso dalla laguna di Venezia. Guardiamo per terra: ci sono masse di alghe distese a essiccare. Scendiamo dalla piccola duna costiera dove si trova il ristorante e andiamo avanti fino al mare. A destra, su un piccolo promontorio, vediamo il grazioso tempio induista di Pura Geger. Un gruppo di ragazzini che sta raccogliendo alghe in mare mi saluta in bahasa, la lingua indonesiana, arrotando fortemente la “erre”: “Selamat Sore” (=buona sera). Li saluto sorridendo e dico loro che so dalla loro pronuncia che vengono da Giava. I ragazzini sorridono ancora, stupiti. Quando mi presento con il mio nome, i raccoglitori d’alghe, dopo aver fatto scivolare la loro mano leggermente anziché stringerla, se la portano al petto. Questo gesto mi conferma definitivamente che sono musulmani giavanesi e non balinesi induisti. Sono talmente sorpresi da questo bulè (uomo bianco, in Indonesia), che parla la loro lingua e che li ha identificati immediatamente, che vogliono farsi fotografare con noi. Le alghe sono la principale fonte di reddito per questo gruppo sociale. Usate per la produzione di medicinali, cosmetici e nell’industria alimentare mondiale, sono pagate da 15.000 a 10.000 rupie al chilo, cioè da un Euro e ventiquattro centesimi a ottantatré centesimi. I Balinesi, del resto, non lavorerebbero mai a raccogliere alghe. Secondo la cosmologia balinese, infatti, il mondo si divide in alto (swah), medio (bwah) e basso (bhur).
In alto, rappresentato geograficamente dal nord, ci sono gli spiriti, le montagne e il cielo. In mezzo, o nelle pianure, identificate anche col punto cardinale est, ci sono gli esseri umani. I demoni abitano invece tutto quello che è a sud, o che è in basso, sotto il livello dell’oceano, quindi le alghe, provenienti dall’equivalente dell’inferno, benché richieste dal mercato internazionale, sono raccolte da immigrati giavanesi. Chissà quale futuro hanno questi ragazzini: adesso che le Filippine producono alghe per sole cinquemila rupie al chilo, pari a 42 centesimi di Euro si è creata una competizione insostenibile. I grandi cantieri sorti proprio dietro queste spiagge dove si raccolgono le alghe promettono che presto tutto cambierà su questa costa che fino ad ora ospitava solo il St. Regis Hotel. Nuovi enormi contenitori per ricchi che devono potersi vantare di “essere stati a Bali” ospiteranno molti dei Russi che lasciano l’inverno siberiano per godersi per un po’ il lusso dei tropici impossibile in epoca sovietica, a meno di non essere un militare in Africa, a Cuba o in Vietnam. Cosa avranno poi davvero visto di Bali questi viaggiatori dei voli charter? Un pezzo di spiaggia, l’hotel e forse un giro organizzato a qualche cerimonia “tipica” fatta a uso e consumo del turista. Eppure questi pensieri non riescono ad angosciarmi. Un tramonto infuocato colora un cielo enorme sopra di noi e presto appaiono le stelle dell’emisfero meridionale, così diverse da quelle cui sono abituato. Provo un meraviglioso senso di pace. E tutto questo non è che un frammento di ciò che mi aspetta durante questo soggiorno a Bali: la notte sta per iniziare…
Continua – parte prima di cinque – di Giovanni LOMBARDO