Una serata a Chinatown: breve viaggio gastronomico nel «quartiere celeste» di Milano

Quando si viaggia in un paese straniero, chi vuole entrare nella cultura del posto è molto attento a ciò che mangia. Anche se si trova in un luogo turistico, spesso va alla ricerca di qualcosa di autentico, di tradizionale, qualcosa che sceglierebbero i locals.

È questo il pensiero che avevo in mente mentre entravo in via Paolo Sarpi a Milano, l’arteria principale della Chinatown meneghina.

Il mio amico Alessandro, che vive a Milano per studio, mi aveva proposto questa destinazione un giorno prima: non essendoci mai stato, ovviamente, avevo passato le precedenti 24 ore a fantasticare su come potesse essere. Nel mio immaginario era una via affollata, piena di piccoli e fumosi chioschi lungo la strada – come la scena di Blade Runner in cui Harrison Ford mangia i suoi noodles -. Ovviamente non era affatto così, ma per certi versi, in scala decisamente ridotta, quel senso (a mio avviso, molto positivo) di sobborgo di metropoli asiatica, l’abbiamo trovato.

Harrison Ford in Blade Runner, a caccia di noodles

Passeggiando tra insegne luminose e coloratissimi minimarket pieni di curiosi prodotti orientali, il nostro viaggio gastronomico ha inizio davanti al bancone di un piccolo localino, pieno di cestelli di bambù per le preparazioni al vapore. Partiamo con un baozi. Un morbido panino cotto al vapore ripieno di carne di maiale e verdure tritate: grande classico del cibo di strada cinese, economico e sostanzioso.

Passeggiando e masticando il primo boccone la nostra attenzione viene catturata da un’insegna gialla con un nome insolito: «Collo d’anatra», con dei disegni che rappresentano uno spaccato di vita in un villaggio della Cina rurale. Sa di autentico, ci avviciniamo. Uno sguardo al menù (anch’esso giallo): è scritto solo in cinese -. Dietro, nascosto, c’è quello in italiano. Leggiamo ciò che si presenta nei vari scompartimenti del bancone affacciato sulla strada: in primis il collo d’anatra, poi lingua, ali, testa, zampe, intestino, peste(?). Tutto rigorosamente dello stesso volatile acquatico.

Patate dolci arrosto: presenti

Nel frattempo, le due signore che hanno in gestione il locale ci guardano senza badarci molto dal fondo della stanza, indaffarate. Chissà durante la serata quante persone si avvicinano incuriosite e impressionate dalle teste d’anatra, senza comprare nulla. Decisi, attiriamo l’attenzione della signora, e ordiniamo una porzione di collo d’anatra. Dopo aver fatto le porzioni e pesato, ci consegna un sacchetto di plastica con una quindicina di pezzi, freddi. Chiediamo se vanno scaldati, ci conferma che vanno mangiati così come sono. Cerchiamo quindi una panchina libera, e consumiamo i nostri freddi, piccanti e cartilaginosi colli d’anatra. Niente male.

Tornando verso l’inizio della via decidiamo di prendere qualcosa di sostanzioso. Il locale scelto è Mo25: per ora il primo con la fila davanti alla cassa. Come da insegna, scegliamo il loro piatto forte, il Mo. «Antica pietanza di strada di Xian», si legge nel cartello appeso fuori: pane fatto in casa, spalla e pancetta di maiale bio speziata e stufata per 12 ore, costantemente tagliuzzata da un largo coltello brandito dalla cuoca. Una sorta di ottimo pulled pork d’oriente.

Mo25, dove mangiare il pulled pork d’oriente

Non abbiamo ancora assaggiato dei ravioli: mentre guardiamo le proposte della Ravioleria Sarpi realizziamo che abbiamo finora mangiato solo carne. Prendiamo una porzione di ravioli alle verdure, serviti in una coppetta di cartone, con una generosa dose di salsa di soia. Il primo assaggio non ci convince – forse colpa delle nostre bocche ormai anestetizzate da sapori forti e piccanti –, il secondo inizia già a migliorare, appaiono timidamente i sapori delle verdure. Nota per il futuro: avere un ordine logico in ciò che si mangia.

Ravioli alle verdure alla celebre Ravioleria Sarpi

La nostra piccola odissea culinaria termina in un piccolo ristorantino verso il fondo di via Sarpi con grandi menù fotografici a vista. I tavoli fuori – all’interno di un piccolo ma accogliente dehor – sono pieni, ma la proprietaria ci propone di portare fuori un tavolino, e posizionarlo di fianco all’entrata. Per la prima volta seduti e già quasi sazi, assaggiamo ciò che il locale offre: iniziamo con una dissetante birra ghiacciata (rigorosamente Tsingtao) e degli “involtini vietnamiti” – per allontanarci dai ben più noti “primavera” – ripieni di gamberi, porri, zucchine e carote, serviti con una ciotolina di salsa agrodolce. Poi qualcosa alla piastra: gamberi, polpo, tofu e il lotus, che abbiamo poi scoperto essere la radice del fiore di loto.

«Una bella via, pedonale ed ingentilita da molto verde, ornata di bei palazzi umbertini. A negozi assolutamente storici, come le Cantine Isola e la cappelleria Melegari, si affiancano pittoreschi negozi orientali». Così un utente di Tripadvisor racconta la via fulcro della piccola Chinatown milanese. I primi immigrati cinesi sono arrivati in città dalla regione del Zhejiang circa cent’anni fa, in cerca di fortuna. Oggi la comunità cinese a Milano conta oltre 27mila persone. Alcune delle quali gestiscono ristoranti e chioschi lungo via Sarpi, pronte ad accogliere e trasportare – momentaneamente – in oriente chiunque venga a far loro visita.

Giacomo Porra

Da sinistra: polpo, gambero, lotus, tofu

 

 

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