Venezia 78, Cecilia Mangini e il suo sguardo instancabile nel doc "Il mondo a scatti"
Cecilia Mangini è stata la prima documentarista donna ad affermarsi in Italia: una protagonista del cinema e della fotografia del Novecento, forse ancora troppo poco conosciuta. Scomparsa nel gennaio del 2021 a 93 anni, negli ultimi tempi aveva stretto una duratura collaborazione con il regista Paolo Pisanelli, insieme al quale aveva firmato nel 2020 Due Scatole Dimenticate – Viaggio in Vietnam, che a partire dal ritrovamento di preziosi negativi fotografici raccontava il viaggio di tre mesi nel paese asiatico che la regista fece negli anni Sessanta con Lino Del Fra per preparare un film (poi mai realizzato) sulla guerra con gli Stati Uniti.
A Venezia 78, nell’ambito delle Giornate degli Autori, è stato presentato Il mondo a scatti (Italia, 2021, 89′, disponibile in streaming fino al 4 settembre a questo link) firmato da Mangini e Pisanelli, che rappresenta una sorta di testamento postumo per immagini della grande cineasta, andando idealmente a completare un ritratto di straordinaria forza che già emergeva nell’opera precedente. Instancabile, anticonformista, ribelle, ironica, lucida: l’ultranovantenne Cecilia Mangini raccontanta in Il mondo a scatti è una donna piena di progetti, che seguiamo mentre prende aerei per volare a festival in Iran o in Quebec, si destreggia alla guida nel traffico di Roma, lavora a una mostra fotografica in programma a Nuoro o dispensa consigli ai fotografi che documentano uno sciopero all’Ilva di Taranto. Spesso con lo scatto pronto “in canna”, intenta ad armeggiare con uno smartphone o una compatta digitale.
Il film mantiene un registro affettuoso e vivace e, grazie a un montaggio caleidoscopico, mette in dialogo continuo i linguaggi della fotografia e del cinema. Testimonianza importante della storia del Novecento, è anche una riflessione sul senso delle immagini. Nata a Mola di Bari nel 1927 e vissuta a Firenze e Roma, Cecilia Mangini ha mantenuto sempre un’attenzione e un amore speciali per il Sud, che ha ritratto in diversi documentari tra cui Stendalì – Suonano ancora sulla Grecìa salentina, con testi di Pier Paolo Pasolini. Una collaborazione, quella con il poeta, nata quasi per caso: Mangini trovò il suo numero nell’elenco telefonico, lo chiamò per proporgli di scrivere i testi di un documentario ispirato a Ragazzi di vita, lui accettò e ne nacque Ignoti alla città (1958), film d’esordio della regista.
«Io sono stata una fotografa di strada, per me fotografare è stato l’allenamento alla rapidità della cattura dell’immagine» racconta Cecilia Mangini. Prima c’era stata la passione per il cinema, nata frequentando i CineGUF in epoca fascista, che paradossalmente Mangini ricorda come una parentesi di libertà: «Il fatto che eravamo eguagliate ai ragazzi me lo sono portato dietro e quando è finito il fascismo e le donne sono state di nuovo relegate in casa a me non andava bene». Matura così la volontà di intraprendere una carriera creativa, sviluppando «la capacità di immaginare per creare».
La folgorazione per la fotografia avviene dopo aver sviluppato alcune foto scattate agli operai di una cava di pomice a Lipari: «Mi rendo conto di qualcosa per me importantissimo, che posso essere una fotografa, che posso fare fotografia, non è uno sbaglio». Fotografia e cinema diventano per lei due strumenti complementari al servizio di una poetica comune: documentare la realtà. Per questo Cecilia Mangini è diventata negli anni il punto di riferimento degli autori italiani che, da Pietro Marcello a Gianfranco Pannone, da Costanza Quatriglio a Gianfranco Rosi, si cimentano con il cinema del reale.
«Mi chiedo cosa significa “cinema del reale”, nel senso del suo legame molto concreto con il documentario» dice Cecilia Mangini alla collega Agnes Varda, in un dialogo tra i più belli del film, “rubato” in occasione della Festa di Cinema del reale nel 2011 a Specchia (Lecce), prima occasione d’incontro tra le due grandi cineaste quasi coetanee. «In generale i documentari sono fatti per mostrare la realtà, ma la realtà è mostrata tutti i giorni dalla televisione – dice Varda –. Tra la realtà e il lavoro del documentarista credo ci sia un grado di differenza. La persona che vuole fare un documentario, non così veloce come in televisione, non il giorno stesso, riflette sulla realtà e prova a capire se la si può proporre in una maniera forse particolare, più intelligentemente o in modo più completo». «I documentaristi sanno vedere, e quello che vedono lo vedono per tutti gli altri» chiosa Cecilia Mangini, che ringraziamo per aver visto così tanto anche per noi.
Giulio Todescan
L’immagine di copertina (Cecilia Mangini) e quella nel testo (scatti a Pier Paolo Pasolini) sono tratte dal sito http://www.giornatedegliautori.com