Ceausescu e il nazionalcomunismo in Romania (1)
A più di vent’anni dalla caduta dei regimi dell’Europa Orientale è ancora difficile trovare delle analisi oggettive sul cinquantennio comunista romeno, soprattutto nella letteratura occidentale. Testi fondamentali come quelli di Hannah Arendt, Richard Pipes, Francois Furet hanno trattato il comunismo in generale, mettendo a fuoco i suoi aspetti ideologici e politici. Ma in mancanza di una elite culturale romena critica del regime, perché marginalizzata dal potere oppure perché in parte scelse di collaborare, sappiamo poco sul carattere nazionalista del regime comunista di Nicolae Ceausescu.
La teoria politica ci insegna che il comunismo è per definizione internazionalista. Ma i regimi del socialismo reale, come venivano chiamati, lo erano veramente, al di là della propaganda sventolata ai congressi e alle riunioni del Patto di Varsavia? Potevano essere internazionalisti, visto che tutti i paesi dell’area erano giovani nazioni nate alla fine della Grande Guerra? I movimenti nazionali del ottocento e dell’inizio novecento non segnarono forse la storia dei polacchi, cechi, slovacchi, romeni, serbi? Nella maggioranza dei casi, il comunismo agì come un anestetico sul nazionalismo. Una volta passato, l’Europa Orientale si trovò in balia del fervore nazionalista che portò al fallimento degli stati multietnici nati nel 1918 e alle guerre balcaniche degli anni ‘90.
Non è stato il caso della Romania di Nicolae Ceausescu, dove il nazionalismo ha costituito un elemento fondamentale del regime. Il principio della sovranità degli stati comunisti promosso da Ceausescu, portò la Romania in rotta di collisione con l’Unione Sovietica, che sosteneva una politica di ingerenza negli affari interni, forte anche dall’occupazione militare. L’intervento fortemente critico del giovane Ceausescu, segretario del Partito Comunista Romeno, all’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 da parte degli eserciti del Patto di Varsavia, tradotto poi nel divieto alle forze di intervento di transitare il territorio romeno, fu il momento cruciale nell’affermazione del carattere nazionalista del regime. Fu una mossa assolutamente azzeccata sia nella politica interna che internazionale per Ceausescu, che aveva bisogno di rafforzare la sua posizione di leader, appena conquistata tre anni prima. L’apertura dell’Occidente nei confronti della Romania, creò uno scudo in difesa del regime sia contro un’azione punitiva dell’Unione Sovietica che contro l’opposizione interna al partito. Ceausescu ottenne il consenso della società, sapendo interpretare il sentimento nazionale del popolo romeno.
Dopo la caduta del regime, che prese una piega tragica negli ultimi anni, la personalità di Ceausescu fu ricalcata per evidenziare il carattere draconiano, a tratti disumano della sua persona, ma in pochi si sono occupati del uomo politico che esso fu.
Certamente, estrapolare un solo aspetto del regime può risultare riduttivo, ma aiuta a capire meglio questa particolarità che consiste nel suo tratto nazionalistico. Ma questo aspetto è stato costruito dal nulla dal regime di Ceausescu? Sicuramente no.
La Romania aveva alle spalle un secolo di nazionalismo ( non intendo qui dare giudizi di qualità sul nazionalismo romeno). Tutta la classe politica nata dopo 1848, così come tutta l’elite culturale del paese erano fortemente nazionaliste. Il complesso della nazione sotto assedio è stato determinante per tutta la storia moderna e contemporanea del paese. Focalizzandosi sul carattere latino e quindi legittimando un’origine nobile dei romeni, i fautori della nazione alzarono muri contro il mare slavo che circondava questa isola di latinità, rischiando di inghiottirla. Nel 1968 fu facile per il regime reggersi come paladino della lotta contro l’ennesima invasione slava. In questo modo, il salvatore della patria si metteva al riparo dalle congiure di partito, soprattutto da quella corrente controllata da Mosca che dominò dalla fine della guerra. Ceausescu non era l’espressione di questa corrente e quindi non poteva sperare nel suo sostegno.
La sua mossa fu resa possibile anche dal fatto che all’epoca, a differenza di tanti altri paesi vicini, la Romania non era occupata militarmente dai sovietici. Anche nella politica internazionale, Ceausescu costruì una posizione di visibilità del paese, proponendosi come mediatore tra Israele e Palestina oppure come paladino della libertà dei paesi africani appena nati sulle rovine del colonialismo europeo. Nonostante la storiografia post-regime metta accento sul carattere grottesco, deridendo la megalomania, certamente reale, di Ceausescu, si deve tener conto del fatto che riuscì a mantenersi al potere per venticinque anni. Un record che non si può spiegare solo con l’utilizzo della censura e della polizia politica, a portata di mano di tutti gli altri regimi, che però non ebbero la stessa longevità.
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Teodor Amarandei
Foto di Catalin Apostol su Unsplash