Cara Fabbrica, il laboratorio dei conigli

Eravamo in quattro donne giù al laboratorio di carni di coniglio: io, l’Anna, la Stefania e la Marika. Io ero arrivata da poco al macello, saranno stati sì e no due anni. E Anna era arrivata molto dopo di me, da un paio di mesi, dopo che l’avevano licenziata dalla Farmal di Arsino.

Però ero la più vecchia del gruppo e andavo su per i 30; ricordo infatti che mia sorella Luigina si era sposata quell’anno col Marco – lavoravano assieme alla Sanat di Campodarso – ed io le avevo fatto da testimone: era successo due giorni prima del mio compleanno. Sia il suo matrimonio che il mio compleanno erano state due belle feste: io ero euforica allora perché stavo con Mario che invece – poi lo avrei scoperto –  già allora mi metteva le corna con la sua collega molto più giovane. Quando lo sgamai assieme a quella ragazza così piccola da sembrare una bambina e li vidi baciarsi mentre lui la stringeva a sé appoggiato all’auto, notai una cosa strana che mi fece impressione e non me la tolgo più dalla testa. Le sue gambe tozze e pienotte, avvolte  in collant chiari color carne, uscivano da uno di quei pellicciotti un po’ volgari di lapin per dirla raffinata alla francese, ma di coniglio a dirla in italiano, o di conegio come preferiamo dire noi qui in Veneto e al macello. Un pellicciotto che, solo a vederlo da lontano – quel giorno, ricordo, stavo almeno a dieci macchine di distanza nel parcheggio del centro commerciale  –  mi faceva ribrezzo, sembrava emanasse quel puzzo che per tutto il giorno sentivo giù al lavoro, anche nell’ultimo reparto, quello dell’ impacchettamento delle confezioni famiglia, singole, risparmio, doppie ecc ecc per i supermercati dell’alta padovana.

Con l’Anna, la Stefania, detta Stefy, e Marika andavamo tutti i venerdì e i sabato sera a ballare al Majestic; il venerdì eravamo stanche dalla settimana di lavoro e volevamo sballare un po’. Lì si trovavano sempre bei ragazzi e si rimediava qualcosa, un drink, una pasticca, un francobollo e almeno si stava un po’ su di giri e si rideva fino all’alba. L’indomani si dormiva e niente macello…

La Marika soprattutto aveva bisogno di distrarsi perché in quei giorni – saranno stati i primi di novembre – in fabbrica le era capitato un fatto strano: era svenuta, accasciandosi per fortuna tra le braccia di Franco che le era per caso vicino alla catena per macellare la carne di coniglio a pezzi grossi; lui si era accorto subito del suo malore. Tutte noi e i colleghi operai pensavamo che fosse stata male per via dell’odore forte e pungente di coniglio che respiravamo…non c’era mascherina che bastasse e in più ce lo portavamo addosso fino a casa e talvolta anche dopo aver fatto la doccia bollente, fosse inverno o piena estate, persisteva nelle narici e tra una piega e l’altra della pelle. Invece era ben peggio: aveva abortito quattro giorni prima senza dire niente a nessuno, avevano fatto tutto da soli lei e il moroso che le aveva pagato la visita e l’ intervento a 2000 euro dal ginecologo giù in città.  Avrebbe dovuto restare a casa in riposo almeno otto giorni, ma siccome aveva fatto tutto senza dire una parola ai suoi, quattro giorni li aveva potuti giustificare con un malessere, ma per otto doveva far le carte dal medico e la storia sarebbe venuta fuori.

A noi lo disse qualche giorno dopo l’accaduto, nello spogliatoio del macello: io non mi stupii affatto, sapevo che la Stefy era capace di queste scelte difficili; quello che mi sorprese era che il padre non era il suo ragazzo – ci confessò tra le lacrime quel giorno – ma era un negoziante, uno dei clienti della ditta. Si era invaghito di lei già dalla prima volta che l’aveva notata e poi, rivedendola e parlandole tutte le volte che veniva in ditta per gli ordini, la sua era diventata una vera e propria passione. Lui era il padre e non lo sapeva che la Stefy era rimasta incinta in quella storia che lei considerava un’avventura e solo roba di sesso; sapeva invece tutto il suo ragazzo che aveva detto subito alla Stefy che o abortiva o lui la lasciava in quelle condizioni ed era stato disposto a dar fondo ai suoi risparmi di operaio a cottimo giù in cantiere.

Io non ho mai capito se davvero lui le voleva bene o se le ha fatto fare una follia: sta di fatto che poi si sono mollati ed ora la Stefy ogni tanto fa una lacrimuccia e le si bagnano gli occhi, quando pensa che forse potrebbe avere un pargolo tra le braccia…lei è fatta così. In macello entravo di solito alle otto di mattina ed uscivo verso le 17: facevo una pausa di un’oretta per il pranzo e poi si riattaccava.

I conigli? Arrivavano da varie parti d’Italia, specie dalla Toscana e di solito venivano uccisi qui da noi con quelle macchine storditrici a pinza; quel lavoro lì lo facevano gli uomini. Addirittura c’era un tale, un rumeno di Timisoara che si offriva sempre volontario perché c’era lo straordinario  e raggranellava qualcosa in più da mandare  a casa.  A me toccava a rotazione la parte della scuioatura dove non era passata la macchina o della rifinitura della stessa operazione. Al settore eviscerazione proprio non resistevo più di una settimana e il caporeparto lo sapeva ormai da tempo e dopo un po’ di giorni mi faceva sostituire dalla Marika che era fresca di energie e di entusiasmo.

Ogni giorno facevo il pensiero di andarmene, di licenziarmi e trovare un altro lavoro: ma in zona non c’era niente e mi dovevo accontentare. Lentamente però giorno dopo giorno, i conigli divennero il mio incubo notturno: ricordo che quando per caso risistemai la soffitta e rividi il libro di Alice nel paese delle meraviglie con  tanto di  Bianconiglio ecc ecc ebbi una specie di sussulto e il libro che avevo in mano mi cadde all’improvviso con un tonfo sordo che mi riportò alla realtà. Persino quella volta che andai al cinema – allora stavo ancora con Mario – a vedere il primo Matrix …sarà stato forse il ’98 o il ’99,   mi ritrovai sullo schermo uno di quei conigli bianchi che ogni giorno al macello vedevo morire e mi toccava poi scuoiare. Dovetti scappare all’improvviso dalla sala e uscire fuori a prendere una boccata d’aria. Mi ritrovai di fronte ad una montagna di conigli di peluche, di quelli che si “pescano” col gancio, inserendo una monetina… un incubo!!

Di notte poi ogni tanto mi compariva in sogno un coniglio bianco, grande e minaccioso che mi voleva mordere e che scacciavo via a forza di schiamazzi e agitando braccia e gambe e infatti mi svegliavo tutta madida di sudore e  sconvolta. Mia madre lo sapeva che odiavo il coniglio e non me lo preparava mai; mio padre e mio fratello ne erano invece golosi, ma in casa non si pronunciava nemmeno mai quella parola…figuriamoci se lo si sarebbe messo in pentola!  Successe solo una volta quando vennero i parenti di Vicenza e la zia aveva portato il coniglio arrosto: povera!! lei non sapeva ed io dovetti trovare una scusa, farmi telefonare da un’amica e dire che avevo un’emergenza così anche per quella volta ero salva…

La mia vita da operaia di macello è finita per fortuna quando ho conosciuto Xavier: lui fa il commerciante di carni di coniglio a Aix en Provence. All’inizio non volli saperne di lui, ma poi finì che ci frequentammo con sempre maggiore assiduità tutte le volte che lui veniva in ditta e cioè una volta al mese: si fermava in albergo dove io lo raggiungevo e facevamo l’amore con passione e desiderio. Dopo circa un annetto di questa vita da innamorati lontani, io ero davvero cambiata e mi decisi a licenziarmi e ad acconsentire alla sua proposta di vivere assieme in Francia. Mi sposai con tanto di pranzo e di invitati…non l’avrei mai creduto!

Ora abito qui in Francia, in una splendida casa in campagna, dove allevo galline, oche, ho due splendidi cani e tre gatti…ma nessun coniglio!!!

Bruna Mozzi

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