"I miei libri sono poesia": Arno Camenisch e il suono delle parole
“Fino all’età di vent’anni i libri non mi interessavano moltissimo”. Il merito di aver svelato a Arno Camenisch il fascino della parola va ascritto a una serata con gli amici passata a bere birra. “Abbiamo iniziato a inventare filastrocche. Recitarle e sentirle recitare mi ha colpito così tanto da farmi venire voglia di approfondire il discorso”. Nasce così, e non potrebbe essere stato diversamente, lo scrittore Arno Camenisch, classe 1978, tradotto in diciotto lingue.
Nato e cresciuto a Tavanasa nel cantone svizzero dei Grigioni – “il mio villaggio ha quattro vocali nel nome e sono tutte “a”: la sonorità delle parole mi ha colpito fin da piccolo” – ha vinto fra gli altri il Premio Schiller SBK 2010 ed è stato ribattezzato l'”enfant terrible” della letteratura elvetica. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia, “Dietro la stazione” (107 pagine, 12 euro), è edito da Keller, che sta preparando l’uscita di “Ustrinkata”, terzo volume della trilogia aperta da “Sez Ner”.
Scritto in una lingua mista di tedesco e romancio e reso in italiano in un misto delle tre lingue a cura di Roberta Gado, il secondo volume della trilogia racconta un paese di “quarantuno o quarantadue abitanti” con lo sguardo disincantato e scanzonato di due fratelli bambini. Camenisch nega di avere modelli letterari ma confessa di avere un debole per le atmosfere assurde di Aki Kaurismäki. La materia grezza da cui Camensch crea i suoi romanzi – la parola e le sue sonorità, ma anche le realtà e le relazioni umane descritte oggettivamente nella loro imperfezione senza alcun giudizio di valore – fa pensare più alla poesia che alla prosa. A domanda esplicita l’autore offre una risposta chiara e definitiva: “Io penso che i miei libri sono poesia”. E in effetti a leggere “Dietro la stazione” viene difficile non essere d’accordo con lui.
Silvia Fabbi