Tra Bulgaria e Turchia, attivisti arrestati lungo la nuova frontiera della rotta balcanica

Dal 31 marzo 2024 Bulgaria e Romania sono entrati a far parte dell’area Schengen, la zona di libera circolazione dell’Unione Europea: sono stati aboliti i controlli alle frontiere interne aeree e acquee (mare e fiumi), mentre sono ancora in vigore i controlli alle frontiere terrestri. Una novità che ha influito sulla geografia delle migrazioni ben conosciuta dal Collettivo Rotte Balcaniche dell’Alto Vicentino, che dal 2019 sostiene in modo concreto le persone che fuggendo da guerre e miseria tentano l’ingresso in Europa. E che vengono respinte illegalmente, denunciano gli attivisti, dalla polizia bulgara. Rimandati in Turchia senza accedere prima al diritto, riconosciuto dalle leggi comunitarie, alla richiesta di asilo.

Proprio al confine tra Bulgaria e Turchia, la caldissima frontiera sud-orientale dell’UE, nel mese di ottobre due arresti di attivisti internazionali hanno dato il segnale di preoccupante un salto di qualità nelle strategie di contenimento delle persone migranti del paese balcanico: sette attivisti internazionali facenti parte di due gruppi, Collettivo Rotte Balcaniche e No Name Kitchen, sono stati arrestati il 14 e il 20 ottobre, dopo aver aiutato persone in difficoltà nelle foreste della Bulgaria al confine con la Turchia fornendo alle persone in fuga cibo, vestiti e prodotti per l’igiene.

«In questi momenti, la presenza degli attivisti impedisce i respingimenti illegali, monitorando la situazione» denuncia il Collettivo Rotte Balcaniche. Il primo episodio è avvenuto il 14 ottobre, quando 5 attivisti hanno chiamato il 112 per richiedere assistenza medica per 17 persone provenienti dalla Siria, tra cui un bambino di 7 mesi e 12 minori, che si trovavano nella foresta da 3 giorni senza cibo, acqua e riparo. «La polizia di frontiera è arrivata con il volto coperto da passamontagna e con i cani nel bagagliaio del veicolo – è la denuncia di Rotte Balcaniche –. Immediatamente l’atteggiamento della polizia è stato aggressivo e razzista, mentre le persone erano terrorizzate di essere picchiate, morse dai cani e respinte in Turchia, come già accaduto loro in quattro precedenti respingimenti. Gli attivisti sono stati arrestati, ammanettati e portati alla stazione di polizia di frontiera di Elhovo insieme ai 17 siriani. Nessuno di loro ha ricevuto cure mediche».

Pochi giorni dopo, il 20 ottobre, il secondo arresto: «Tre attivisti, insieme a una giornalista e due registi, hanno chiamato il 112 per richiedere assistenza medica per otto persone, siriani, egiziani e afghani, di cui sette minori – racconta il collettivo –. Camminavano da tre giorni e avevano passato la notte nel bosco con due gradi centigradi, senza acqua e cibo. Quando la polizia è arrivata, ha preso i telefoni di tutte e otto le persone affermando che erano in stato di arresto, senza fornire alcuna spiegazione. La polizia ha poi iniziato a essere aggressiva nei confronti degli attivisti, spingendo e schiaffeggiando uno di loro solo perché teneva il telefono in mano. Ha impedito che la giornalista potesse svolgere il suo lavoro, costringendola a mettere via la camera. Due attivisti sono stati spinti a terra, ammanettati e portati alla stazione di polizia di frontiera di Malko Tarnovo insieme al gruppo. Gli attivisti sono stati trattenuti per 24 ore con la falsa e pretestuosa accusa di resistenza a pubblico ufficiale, e non hanno avuto a disposizione un traduttore ufficiale per firmare i documenti di arresto e detenzione. Inoltre, le persone in difficoltà sono state trattenute tutta la notte, in una cella con solo 4 panche, e non hanno ricevuto alcun trattamento medico».

Silva Cantele, musicista noto con il nickname di Phill Reynolds, era tra i volontari di Rotte Balcaniche coinvolti nei due episodi in Bulgaria, racconta: «Non era mai successo in cinque anni di attività di Rotte Balcaniche che ci fossero arresti di attivisti italiani e comunitari, ripetuti due volte in pochi giorni». Cantele racconta il lavoro degli attivisti: «Le attività sono in parte legate alla distribuzione di cibo, una sessantina di borsette ogni giorno con beni di prima necessità alimentari, nella cittadina di Harmanli, a una trentina di chilometri dal confine turco, dove c’è un campo che ospita richiedenti asilo. Per la maggior parte sono siriani, ma anche qualche egiziano, afghano e marocchino». In questo campo possono uscire durante la giornata, possono usare il telefono e quindi entrare in contatto con i volontari del gruppo, che lavorano a stretto contatto con gruppi locali, in particolare con la organizzazione non governativa bulgara Mission Wings, e con No Name Kitchen, associazione internazionale di base in Spagna e con attivisti da tutta Europa, che si occupa di distribuzione di indumenti e medicinali.

«Un’altra attività di aiuto si rivolge alle persone detenute nel “CPR” (sorta di trasposizione bulgara dei “Centri di permanenza per i rimpatri” italiani, ndr) di Lyubimets, un’altra cittadina a meno di 20 chilometri dal confine – racconta Cantele –. Qui, a differenza dell’altro campo, le persone sono di fatto detenute, rinchiuse in celle e senza la possibilità di usare il cellulare. Il campo è circondato dal filo spinato. Le visite sono consentite due pomeriggi alla settimana».

Una terza attività messa in campo dagli attivisti italiani – presenti in Bulgaria continuativamente tra luglio e settembre, il periodo in cui complica il clima più mite è più intenso l’afflusso di persone “in passaggio” – si chiama “Safe line” ed è promossa in collaborazione con Mission Wings: «Si tratta di monitorare per il movimento delle persone vicino al confine, sempre rimanendo in territorio bulgaro – spiega Cantele – in modo da intercettarle prima che le forze di polizia operino i “push back”, cioè respingimenti seduta stante oltre il confine, e con modi spesso “non gentili” per usare un eufemismo. Il fatto che gli attivisti internazionali siano lì permette che queste persone abbiano il trattamento previsto dalla legge, quindi essere riconosciuti, avere un momento di fermo, e poter fare domanda di asilo. Oltre a questo, portiamo loro beni di primissima necessità come coperte e cibo».

È iniziato novembre e nelle zone collinari boschive tra Bulgaria e Turchia, teatro della rotta balcanica, le temperature calano sotto lo zero. Condizioni proibitive per chi tenta il passaggio dopo un lungo viaggio, già provato nel corpo e nello spirito. «In confronto a ciò che sopportano le persone che percorrono la rotta balcanica, fa quasi sorridere il trattamento che noi attivisti abbiamo subito – commenta amaramente Silva Cantele –. Eppure questi arresti creano un pericoloso precedente dal nostro punto di vista di europei. Gettano una luce inquietante su una situazione in cui i diritti umani sono sempre meno garantiti, per le persone che cercano di entrare in Europa così come per i cittadini europei che li aiutano».

 

In copertina: persone “in passaggio” in Bulgaria. Photo by Francesco Cibati (Facebook: Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino)

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