Barcellona, un caso Aldrovandi
Forse le immagini contenute in questo video possono non essere così impressionanti come altre, per degli occhi che ormai, da Genova in poi, hanno dovuto abituarsi ai pestaggi più crudi. Sono immagini prese da una certa distanza, in qualche momento sfocate. Ma dove l’immagine si fa staccata e lontana, diventando impotente a restituire la crudezza di quanto sta avvenendo, lì arriva il suono. Il suono indicibile, violento, impressionante di un uomo che sta morendo sotto le mani dei suoi aggressori.
Barcellona, notte tra il 5 e il 6 ottobre. Il centrale e caotico barrio del Raval, a poche centinaia di metri da dove vivo (assieme a molte altre centinaia di italiani, come la coppia autrice di uno dei due video). Scoppia una violenta lite tra Juan Andrés Benítez, cinquantenne di origini andaluse, proprietario di un paio di negozi nel quartiere gay di Barcellona e alcuni vicini, che Benítez accusa di avergli rubato il cane. Parte una scazzottata, qualcuno chiama la polizia. Secondo varie testimonianze, quando arrivano i Mossos d’Esquadra (la polizia autonoma catalana) la situazione si è già tranquillizzata, i contendenti sono divisi e si apprestano a tornare a casa. I Mossos si avvicinano a Benítez. È a quel punto che succede tutto. Di lì a qualche ora, il corpo dell’impresario andaluso giungerà senza vita all’Hospital clinic.
L’autopsia rivela che al momento della morte per arresto cardiaco, Benítez aveva un dente rotto, fratture a uno zigomo, al naso, all’arcata sopraccigliare, varie ferite alle labbra, una contusione alla testa e nella parte anteriore destra del volto e una frattura al metacarpo della mano destra. Inoltre varie lesioni su braccia, gambe, ginocchia e zona lombare.
Cos’è successo tra l’arrivo dei poliziotti e la morte di Benítez? Secondo l’improbabile rapporto dei Mossos, Benítez aggredisce un’agente che cerca di identificarlo, intervengono altri tre agenti per tentare di immobilizzarlo, lui oppone resistenza, cadono tutti a terra. A quel punto, sempre secondo il rapporto, Benítez si mette a dare ripetute “testate a terra”, mentre gli agenti cercano di immobilizzarlo per evitare che continui a farsi del male (sic: http://bit.ly/1gGAElB ).
Di qui in poi ci ritroviamo in una fitta nebbia di contraddizioni e fatti discordanti: ai familiari per quattro giorni viene negato di vedere il corpo di Benítez; spuntano varie testimonianze in contrasto con la versione fornita dai Mossos; alcuni abitanti del quartiere dichiarano che quella stessa notte i poliziotti hanno minacciato e intimidito chi ha assistito alla scena, in particolare chi l’ha filmata; si parla di netturbini chiamati d’urgenza a ripulire le macchie di sangue dal suolo. E dai vertici della polizia solito silenzio e sostegno incondizionato all’operato dei suoi uomini.
A questo punto, saltano fuori i due video. Dove si vedono quelle immagini lontane, i colpi, i pugni, i calci. Che arrivano quasi con delicatezza, al rallentatore.
Le organizzazioni locali e i movimenti di base denunciano che il Raval vive da anni una lunga serie di abusi e maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine. “Pulizia sociale”, la chiamano qui, in quello che è uno dei quartieri più controversi e storicamente malfamati della città.
Ma non è solo la società civile a preoccuparsi delle sempre più frequenti violenze commesse dalla polizia.
È di qualche settimana fa il rapporto del commissario per i diritti umani del Consiglio europeo, Nils Muižnieks, a seguito della visita in Spagna dal 3 al 7 giugno di quest’anno (che potete leggere qui: http://tinyurl.com/pa9zt8l).
La situazione fotografata dal commissario è sconfortante: violazioni dei diritti umani e maltrammenti da parte della Guardia civil; uso sproporzionato della forza da parte degli agenti durante le manifestazioni; mancanza di identificazione degli agenti incaricati di far rispettare la legge, che “ostacola la persecuzione e il sanzionamento degli autori degli abusi”.
Il commisario prende poi atto “con grande preoccupazione, del fatto che i giudici sono soliti respingere le accuse relative ai maltrattamenti commessi dalle forze dell’ordine”, citando un dato di Amnisty International, secondo cui, tra novembre 2007 e ottobre 2009, di 11 indagini su accuse di tortura e maltrattamenti, solo 2 sono arrivate a sentenze di condanna.
Dulcis in fundo, nel rapporto si identifica (richiedendo al Governo spagnolo di porvi fine) “l’antica pratica, basata in una legge del 1870, di concedere indulti ai membri degli organismi incaricati di far rispettare la legge che si rendano responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, tortura inclusa”. Insomma anche nei pochi casi in cui si arriva a una condanna delle forze dell’ordine, ci pensano i politici a togliere le castagne dal fuoco.
Questo nuovo caso è un ennesimo banco di prova. Ma sono in molti a scommettere che a dominare sarà ancora l’impunità.
Luigi Cojazzi
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Sul caso Aldrovandi