Venezia, il Migrant Child di Banksy diventa un'installazione digitale venduta come NFT
Banksy è il più famoso street artist al mondo, e quando nel 2019 comparve su un muro di Venezia il Migrant Child, lo stencil che ritrae un bambino con indosso un giubbotto di salvataggio e in mano un fumogeno rosa disegnato con lo stile tipico del misterioso artista inglese, la notizia divenne subito virale. Diversi dubbi furono sollevati sull’autenticità, che fu poi confermata dallo stesso Banksy con un post su Instagram, in cui rivelava di essere stato a Venezia durante la Biennale, e di aver addirittura montato un banchetto di classiche vedute veneziane in pieno centro storico.
Ora quel disegno spray a filo d’acqua su un muro nel sestiere di Dorsoduro diventa a sua volta oggetto di una nuova installazione artistica che porta la firma dell’agenzia creativa Pepper’s Ghost guidata da Anderson Tegon, fondatore e Art Director.
L’operazione di Pepper’s Ghost a Venezia
Il progetto, definito di “Digital street art”, si chiama Ghost over Banksy e sarà presentato al pubblico a partire dal 9 marzo, alle ore 18 in video sui canali social del collettivo (Instagram, Facebook, Tik Tok, Youtube e Vimeo) in partnership con la pagina The Pink Lemonade, una delle più seguite pagine Instagram dedicate all’arte.
È stata un’azione notturna, silenziosa, furtiva, non annunciata, spiegano i promotori, in cui lo stencil di Migrant Child è stato illuminato e animato grazie a un potente proiettore.
Banksy diventa un NFT?
Ma non finisce qui: Ghost over Banksy darà vita un NFT (non-fungible token), cioè un’opera d’arte digitale collezionabile, autenticata e pubblicata su blockchain che sarà venduta online tramite criptovalute. Un’operazione che di certo non mancherà di far discutere.
«Parte dei proventi saranno devoluti a Emergency» annunciano i promotori, ma difficilmente questo basterà a tacere i critici dell’operazione. Perché la street art nasce come gesto artistico al di fuori dei circuiti commerciali, con una forte etica in cui l’anonimato dell’autore si sposa con la rivendicazione dell’illegalità del gesto, la sua provocatorietà, spesso legata a contenuti forti, di denuncia.
Negli anni l’anonimato di Banksy è rimasto intatto, la sua identità un segreto ben custodito. Ma ciò non gli ha impedito di realizzare mostre, entrando dunque nel circuito delle gallerie e del mercato dell’arte. Un percorso seguito da tanti altri street artist, che negli ultimi anni si è accompagnato a una progressiva istituzionalizzazione dei “graffiti”, sempre più spesso commissionati da amministrazioni pubbliche e privati come veicolo di “riqualificazione urbana” o di stimolo all’attrattività turistica dei luoghi, con tutte le contraddizioni del caso: nascita di attività economiche, incremento del valore degli immobili, gentrification, aumento degli affitti.
Un’immagine dell’installazione Ghost over Banksy
Tanto più che i promotori dell’operazione di “digital street art” sembrano volersi distaccare dalla tradizione del movimento nato come underground. Definiscono l’opera «una nuova evoluzione artistica, che interagisce con linguaggi preesistenti o memorie. Qualunque opera di street art, qualunque manufatto, qualunque luogo ed evento può quindi essere reso immersivo, ovunque. Animato e non contaminato. Perché, più di tutto, la digital street art non è distruttiva: non intacca i luoghi ma tocca la percezione delle persone e il loro immaginario».
Ma una street art innocua, che non colora i muri e diventa un video da collezionare (e vendere) sul mercato dell’arte digitale, può ancora definirsi tale?
Copertina: Photo by Marialaura Gionfriddo on Unsplash