Anzac Day, il 25 aprile australiano

Ogni 25 Aprile in Australia si festeggia quella che forse è la ricorrenza nazionale più sentita. Essa segna l’anniversario del primo coinvolgimento nella Grande Guerra da parte delle truppe Anzac (Australian and New Zealand Army Corps). Gli eventi che si susseguirono sono adesso così profondamente radicati nella breve storia Australiana e nella memoria popolare che anche oggi, nonostante milioni di parole e centinaia di libri inspirati alla campagna, la verità si nasconde ancora dietro molte facce.

La campagna fu un errore. Un disastro sin dal principio, che si trasformò malignamente in una tragedia monumentale, con 400.000 vittime tra alleati e Turchi insieme. Di queste, 40.000 erano australiane – appena il 10% del totale – eppure la presenza degli Anzac fu così memorabile che adesso è la sola che viene ricordata nelle commemorazioni ufficiali. “Gli australiani e i neozelandesi” scrisse lo storico James Morris, “conferirono alla campagna – più di ogni altro battaglione – la sua aura epica.”

La storia

Nel gennaio 1915, quando il Gabinetto di guerra Inglese diede l’assenso al piano per forzare lo Stretto dei Dardanelli (la lingua di mare che separava il fronte mediterraneo dagli assediati Russi), i Turchi, i cui fortini lungo la penisola di Gallipoli minacciavano ogni flotta che tentasse di forzare lo stretto, sembravano un pericolo minore. Il disastroso fallimento da parte delle flotte alleate di forzare i campi minati di Dardanelle in Marzo lasciarono solo una alternativa: un’invasione della penisola di Gallipoli per abbattere i forti e consentire il passaggio della flotta verso Costantinopoli.

Tale scenario era ben lontano dal suolo australiano così come dai campi di battaglia del Belgio, originaria destinazione dei 40.000 Anzac che si stavano esercitando in Egitto. Questi soldati civili, fino a quel momento ancora non sperimentati sul campo, formarono l’unica forza possibile disponibile con tale breve preavviso. L’idea era quella di rischiarli durante la parte più facile dell’invasione: sarebbero dovuti sbarcare su una spiaggia vicino Gaba Tepe, lungo la cosa centro-occidentale, e attaccare verso l’interno tra grandi vallate per demolire le fortificazioni turche. Durante la perlustrazione della costa settentrionale il comandante degli Anzac, Generale Birdwood, notò altipiani che imperiosamente si issavano verso una aspra catena montuosa, e sperò che le truppe non sbarcassero là per sbaglio perché era una terra impossibile.

Lo sbarco, 25 Aprile 1915

Quando gli Australiani, stranamente silenziosi, si trascinarono nelle piccole barche nell’oscurità che precedeva l’alba, tutto stava andando secondo i piani: un miracolo di organizzazione – sembrò – per una invasione organizzata in soli due mesi. Ma proprio mentre le prue si affannavano verso nord, un marinaio notò che stavano compiendo una virata troppo larga, che li avrebbe portati ben più a nord della spiaggia di Gaba Tepe. Mentre il sole stava per sorgere la prima barca si arenava su una spiaggia ciottolosa, e ombre sinistre si potevano avvistare sulle cime delle colline circostanti. All’improvviso proiettili cominciarono a colpire gli uomini sulle barche. Quella non era affatto una ampia spiaggia, bensì una striscia di ciottoli circondata da montagne. Erano sbarcati ad Ari Burnu, tre chilometri fuori bersaglio. Nacque la leggenda degli Anzac: comandati dagli ufficiali, gruppi di Australiani si liberarono coscienziosamente dei loro sacchi e cominciarono ad arrampicarsi lungo i pendii, seguiti dal resto delle truppe. Una volta raggiunga la vetta di Ari Burnu, trovarono un altopiano che sovrastava i nemici, e raggiunsero anche quello. Dalla sua sommità guardarono fuori nella luce crescente del giorno verso un panorama da incubo. Avvistati i turchi armeggiare nella vallata cominciarono a sparare e a cadere sotto il fuoco nemico, con le brigate che si separavano. Per tutto il giorno, mentre la marina sbarcò seraficamente più di 20.000 unità, battaglie si susseguirono lungo tutta la striscia di terra con bombardamenti turchi che lentamente spinsero indietro la linea australiana. Linea che, tuttavia, tenne. Scese la notte e l’Australia ebbe la sua prima esperienza di guerra. Inconsapevole della posizione della linea frontale e conscio di almeno un migliaio di morti e feriti, il generale Birdwood consigliò la ritirata, ma il comandante in capo ritenne che il peggio era ormai passato.

La luce del giorno rivelò la portata dell’impresa australiana. Il fronte teneva ancora e il morale delle truppe cominciò ad aumentare ora dopo ora. Si formò una trincea. Non c’era acqua potabile e quindi questa doveva essere trasportata in piccoli secchi dalla spiaggia. Asserragliati in trincee scavate alla bel e meglio gli australiani si riparavano dai pesanti bombardamenti e tentavano qualche sortita offensiva. Per i successivi 8 mesi quel covo sarebbe diventato la loro casa. Quando i quartieri generali offrirono alle truppe di evacuare, il comandante Birdwood rispose che gli australiani stavano bene dove erano.

Se fossero capaci o meno di supportare un attacco concertato fu rivelato quel 19 maggio: in una offensiva lunga una intera giornata, congegnata per portare gli Anzac verso il mare, 10.000 turchi vennero fatti fuori sotto l’incessante balbettio di fucili e mitra, con una perdita di 628 da parte di australiani e neozelandesi, i quali adesso erano così fermamente addentrati che niente poteva smuoverli. La puzza di morte era così nauseante in No Man’s Land che cinque giorni fu chiamato un armistizio, e gli Anzac aiutarono il nemico a seppellire i propri morti, migliaia e migliaia di corpi. Da quel momento in poi tutto l’odio sembrò scemare fra gli uomini dei due eserciti, e gli Anzac e i Turchi, nonostante successive aspre battaglie, conservarono un salutare rispetto per l’altro, persino dell’affetto.

La leggenda

Non fu prima del 8 maggio 1915 che gli australiani in madrepatria lessero dello sbarco a Gallipoli. Aprendo i giornali con trepidazione, la gente lesse delle truppe australiane acclamate come eroi, e tutti i reportage susseguenti cominciarono a narrare del loro spirito resiliente, dell’humour con il quale erano capaci di ammantare l’atrocità che stavano vivendo e della scorza dura che li contraddistingueva. La leggenda nacque di una presunta invincibilità Anzac, di truppe noncuranti, a tratti persino giocose, che però non temevano nessun nemico.

Ma non ci fu nessuna inchiesta sul terribile errore che consegnò quelle truppe nelle mani del nemico. Persino oggi i memoriali avvengono sulla spiaggia di Gaba Tepe, nonostante quel punto fosse soltanto un punto di riferimento visivo per la maggior parte degli Anzac, quando guardavano verso sud dalle cime del loro altopiano. E se nemmeno gli australiani a casa lessero tra le righe il fiasco dei loro connazionali fu perché ritennero incredibile che questi avessero potuto resistere 8 mesi in quelle condizioni, mentre i compagni inglesi assistevano supinamente, incapaci di avanzare, sperando che la battaglia finisse. Se è vero che la storia è piena di vittorie mutilate, questo avvenimento dice molto del carattere australiano perché la sua gente ci vide una sorta di vittoria. Nonostante la Federazione Australiana fosse nata 15 anni prima, l’orgoglio nazionale che mancava a questa nazione fu trovato su una sponda straniera.

Alessandro Vignale

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