La "fotografia" di Anna Toscano su Venezia. «Innamorata della città, ma è tempo di cambiare»

Prima con l’acqua fino alle ginocchia a lanciare secchiate come dalle falle di una nave, poi un’inattesa bonaccia che dura da oltre due mesi. Venezia non ha passato un anno facile, ma nessuno si sente alla deriva. La “ciurma” che la popola è abituata a confrontarsi con eventi estremi e gli avvoltoi che stazionano sulla laguna attendendone da tempo immemore la morte resteranno a becco asciutto anche questa volta. Si dice che Dio abbia creato il mondo tranne Venezia e l’Olanda, terre create da genti che da secoli contendono l’anima al commercio e che non sanno cosa sia l’abitudine, se non quella alla sopravvivenza. Per alcuni Venezia è un pesce, per altri una testuggine o una serena, per Fruttero e Lucentini era “la città dei passi” e il prossimo potrebbe essere uno dei più importanti. Ma verso quale direzione?

Noi lo abbiamo chiesto ad Anna Toscano, nata a Treviso ma residente a Venezia, innamorata  della sua città d’adozione come sanno fare solo quelli che hanno scelto dove vivere. Poetessa, fotografa, insegnante di lingua italiana presso la School for International Education dell’Università Ca’ Foscari, collabora con numerose testate, tra cui “Il Sole 24 Ore”, “Minima&Moralia” e “Doppiozero”.

Com’è Venezia “sotto vuoto” causa Covid? Si conserva meglio?

«Ci vivo da circa trent’anni e questo vuoto mi ha ricordato quello degli inverni di 25 anni fa. Pensavo fosse una mia suggestione, poi su un vaporetto semi deserto ho incrociato due persone, gli unici di tutto il viaggio, che discutevano proprio di questo. La signora sosteneva che è come negli anni Settanta, lui che era come negli anni Cinquanta. Non era una suggestione, i veneziani tutto questo l’hanno già visto».

Anna Toscano

 

Gli ultimi otto mesi sono stati difficili, prima l’acqua alta, poi il lockdown. Cosa ti ha  stupito maggiormente?

«Io vivo in un appartamento al piano terra, a novembre l’acqua mi ha completamente allagato la casa e sono rimasta positivamente stupita dalla solidarietà osservata in quei giorni. Non solo da parte degli amici, ma anche di gente mai incontrata che è venuta a spazzare l’acqua fuori da casa mia. Non mi aspettavo, però, nemmeno l’indifferenza da parte della Regione e del Comune, che non ci hanno fatto arrivare nessun aiuto. Riguardo al lockdown, si vedono e si sentono dire molte cose, io credo occorra ripartire da questa situazione senza stare a sentire quelli che dicono che Venezia è morta e piena solo di anziani. Sembrano tutti attendere il colpo di grazia, ma si sbagliano. Venezia è vivissima e ha un grande potenziale, un potenziale che va preso in mano per fare qualcosa».

Per esempio?

«Direi che un punto è fondamentale, il costo delle abitazioni. Nessuno pensa ai veneziani, nemmeno gli studenti dormono più qui. Io mi sono innamorata di questa città e ho deciso di vivere qui, dopo averci studiato. Dieci anni dopo, ho iniziato a insegnare, i miei studenti si sono innamorati di questa città e hanno trasmesso lo stesso sentimento ad altri.  Ma se non diamo spazio alle abitazioni e pensiamo solo ad alberghi e bed and breakfast non andiamo da nessuna parte. Chi si trasferisce qui lo fa per coltivare un sogno che senza una casa è irrealizzabile. Attualmente i miei studenti dormono a Mestre o a Padova, non perché è difficile trovare casa a Venezia, perché è impossibile: qui non c’è posto. Quindi, per rispondere alla tua domanda, occorre riconvertire le abitazioni a uso residenziale e non più turistico».

 

Da questo punto di vista gli effetti dell’epidemia e del lockdown possono essere d’aiuto? 

«Credo di sì, premetto che io non sono contraria al turismo, sono contraria alla svendita della città al turismo. La priorità va data a chi abita la città, chi affittava ai turisti ha subito una perdita economica e non sa quando si tornerà a poterli ospitare, è il momento per far tornare utili gli studenti».

Il modello turistico veneziano ha mostrato i suoi limiti anche prima del Covid, penso per esempio all’idea dei tornelli. Eppure pochi lo mettono in discussione, anzi, alcuni sembrano volerlo imitare

«Invece credo sia giunto il momento di parlare di cambiamento. Non so se sono dati aggiornati, ma fino a due o tre anni fa Venezia ospitava 24 milioni visitatori all’anno. Un milione e mezzo di questi sbarcano da navi da crociera, persone che non dormono e non mangiano in città, scaricano solo le loro lattine o bottiglie e pacchetti che si portano dalla nave. Eppure continuano ad arrivare e sembrano più tutelati di chi abita in città. A Venezia manca anche un’idea di luoghi d’incontro, spazi in cui parlare di libri o in cui ci si possa incontrare quotidianamente che non siano le solite tre splendide librerie indipendenti o le aule universitarie. Io sono ottimista e irriducibilmente innamorata di questo luogo e spero che ora qualcosa accada. Credo che dal vuoto si possa ripensare la qualità del pieno. Nonostante l’amministrazione comunale si dimostri parecchio sorda alle problematiche dei residenti, i cittadini continuano a rimboccarsi le mani, a spalare l’acqua fuori dalle case quando serve e a cantare o ballare anche con l’acqua alle ginocchia. Non siamo morti, non siamo vecchi decrepiti. Tutto il mondo oggi è disperato, ma solo di Venezia si dice che è morta. Non è così, qui si mettono gli stivali per l’acqua alta e si riparte ogni volta. Speriamo che da domani lo si possa fare in un modo completamente diverso».

(foto di Anna Toscano)

Massimiliano Boschi

 

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