Alterrative e la sterminata Città del Messico
Cinque continenti, 22 paesi, 266 giorni per un giro del mondo dalle modalità un po’ alternative. Anzi, Alterrative: questo è il nome del progetto che porterà Stefano Battain e Daniela Biocca a scoprire e toccare con mano organizzazioni impegnate nella difesa del diritto alla terra e all’accesso alle risorse e la difesa dei diritti delle donne. Teto e Bobiù, come li chiamano gli amici, hanno già una loro storia da raccontare: si sono conosciuti da cooperanti, in Tanzania, e proprio da quelle latitudini è nato un amore sfociato poi in un matrimonio. Interessi comuni e tanta curiosità, voglia di toccare con mano realtà disparate e interessanti nel pianeta. Ecco quindi che nasce l’idea del loro giro del mondo. Ecco la quinta tappa: Città del Messico. E qui puoi trovare il resoconto e la fotogallery della prima, Tunisi, del passaggio in Marocco, della terza tappa, Spagna e Portogallo, quella di San Francisco e il sito del progetto.
Dal 46° piano della Torre Latino Americana è impossibile vedere i confini di Città del Messico, immensa e situata a 2.200 metri d’altitudine. I tetti delle case si spalmano a perdita d’occhio sulla Valle del Messico, su una parte della zona lacustre di Texcoco. Tutto ad un tratto, San Francisco non ci sembra più poi così grande. Negli ultimi anni l’area metropolitana di Città del Messico ha inglobato 40 comuni limitrofi, estendendo l’area del Distretto Federale e facendo crescere la popolazione urbana a 9,7 milioni di abitanti e a 24,7 quella della zona metropolitana. Per una città tanto grande come Città del Messico, o DF (el defe) come la chiama la maggior parte, ci vuole una piazza altrettanto grande: lo Zòcalo, formalmente Piazza della Costituzione, è infatti la terza piazza più grande al mondo. Ci arriviamo nel primo pomeriggio e la prima cosa che ci colpisce è il suo vuoto. Forse per l’ora e il calore del sole, la piazza è completamente vuota: né un passante, né un venditore ambulante, né un bambino. L’esatto contrario delle vie del centro dove invece fiumi di persone scorrono in tutte le direzioni, affollandole in un ordinario venerdì pomeriggio caotico e coloratissimo. Tratteniamo il fiato e ci tuffiamo anche noi nel chiassoso fiume di gente che passa veloce, arrivando un po’ per caso di fronte al Cafè Tacuba.
Stefano dice: “mangiamo qui, so che c’è un gruppo musicale che si chiama proprio così”. Andiamo. Un signore elegante e baffuto ci apre la porta di quello che sembra essere un normale caffè, la cui entrata è una semplice porta di legno. Invece, il Cafè Tacuba è tutt’altro che un semplice posto dove poter mangiare qualcosa, è uno dei locali storici del DF, dove nel 1922 Diego Rivera organizzò il banchetto di nozze del suo matrimonio con la scrittrice Guadalupe Marin, e dove pranzavano molto spesso presidenti e governatori messicani. Colpiti dalla bellezza degli affreschi alle pareti, dalle decorazioni sui soffitti, dalla bellezza dell’ambiente, prendiamo posto e assaporiamo enchiladas (tortillas di mais ripiene di formaggio e ricoperte di sugo di pomodoro) mentre un gruppo di mariachi inizia a suonare. Contenti per l’inaspettata sorpresa di essere capitati in un posto tanto ricco di storia, usciamo soddisfatti e con la cartina in mano proviamo a cercare una direzione. Dove andare? Difficile scegliere tra le innumerevoli cose da fare e da vedere. Decidiamo di cominciare da Frida Kahlo, Diego Rivera e dal Museo Archeologico. La fila di persone di fronte all’ingresso della Casa Azul (casa blu) ci spaventa un po’. Indecisi se aspettare o no, decidiamo di aspettare, sgranocchiando delle specie di patatine con salsa piccante per ingannare l’attesa. Un’oretta dopo siamo dentro, incantandoci di fronte ai dipinti della Kahlo e vedendo la casa dove ha vissuto, dipinto e creato per la maggior parte della sua vita. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1954 a soli 47 anni, sembra che il marito Diego abbia messo sotto chiave tutte le opere della moglie chiedendo di lasciarle chiuse almeno 14 anni. La casa esprime in ogni angolo la vita e l’arte, non solo attraverso le opere, ma attraverso la mobilia, la posizione di tavolozze e dei pennelli, la cucina dove venivano cucinati solo piatti preispanici e i vestiti. Le opere che ci rimangono maggiormente impresse sono “Il Marximo curerà gli Infermi”, “Natura Morta”, l’ossessione di Frida per la maternità, il rapporto con il suo corpo, la collezione di farfalle regalatele da Isamu Noguchi, le immagini di Trotsky (amico della coppia ucciso proprio in Messico nel 1940), Marx, Lenin e Stalin. Infine i suoi abiti, opere d’arte anch’esse, i bustini decorati, la protesi, le gonne, i gioielli, i vestiti lunghi e coloratissimi, espressione della sua creatività che trasformano in punti di forza le sue debolezze, ma anche tentativo di nascondere ciò che fondamentalmente è difficile accettare. Uno schizzo della stessa Kahlo, la rappresenta vestita di tessuti trasparenti che lasciano intravedere la protesi e il busto per la schiena.
Il titolo: “l’apparenza inganna”. La Casa Azul si trova nel quartiere Coyoacan, cittadella coloniale inglobata dal tentacolare e sempre in espansione DF. Coloratissima e piena di vita della domenica pomeriggio ci invita ad esplorarla ed ad assaggiare esquites (mais caldo con maionese, formaggio e peperoncino) e biscotti di mais caldi venduti lungo la strada da una moltitudine di bancarelle. E poi vestiti, bigiotteria, magliette, zucchero filato, palloncini per tutta piazza San Juan. Tante famiglie, coppiette e bambini a godere dell’aria della sera. L’atmosfera ci incanta e ci invoglia a mangiare qualcosa per cena proprio lì, tra la musica sgraziata di “All you need is love” suonata alla diamonica da un giovane volenteroso e bimbi che vendono marzapane. Nei giorni successivi continuiamo la nostra esplorazione della città seguendo un pò il filone artistico. Le poche opere di Rivera ospitate nella Casa Azul non ci avevano particolarmente colpito. Cambiamo immediatamente idea davanti ai suoi muralesesposti nel Palazzo Nazionale. Scopriamo il movimento dei muralisti, sviluppatosi in Messico a partire dagli anni ‘20 del secolo scorso sulla scia della rivoluzione del 1910. Per i muralisti, l’arte era politica e rifiutavano il concetto di arte come attività di produzione di opere su commissione di ricchi privati, ma come attività artistica indirizzata al bene di tutta la società, ed in particolare delle classi oppresse.
Per questo affrescavano palazzi pubblici, perché tutti potessero beneficiare dell’arte, dei suoi messaggi e dei sui contenuti formativi. Proprio per aver dipinto le mura del Palazzo Nazionale, Diego Rivera dovette auto espellersi dal Partito Comunista Messicano, di cui era segretario nazionale. Attraverso i murales ripercorriamo le diverse tappe della storia messicana: dalle civiltà precolombiane, all’arrivo di Hernan Cortès, dalla prima costituzione degli Stati Uniti del Messico del 1924 alla rivoluzione di Emiliano Zapata e Pancho Villa. Insieme alla colonizzazione, al ruolo della chiesa nel convertire gli indigeni, alla fede nel marxismo e nel comunismo. Ovviamente non poteva mancare una rappresentazione di Frida che tiene in mano una copia aperta de “Il Capitale”, accanto a sua sorella Cristina, con cui Rivera ebbe una relazione. La lezione di storia continua per noi al Museo Archeologico, che, situato nel bosco di Chapultepec, è uno dei musei più grandi al mondo. Con i sui 44,000 m2 di copertura, ospita la maggiore collezione del mondo di arte precolombiana. Ad ogni cultura è dedicata una stanza che da sola vale un museo. Una scatola cinese dove sono racchiusi i tesori delle popolazioni Maya, Azteca, Olmeca, Teotihuacana, Tolteca, Zapoteca e Mixteca. La sala Mixteca ha rapito la nostra attenzione dove siamo rimasti ipnotizzati, come molti altri, di fronte alla Piedra del Sol, rappresentazione azteca del cosmo dominato al centro dalla figura del dio del sole. La nostra visita al DF si chiude con la scoperta della comunità di Nexquipayac, nel municipio di Atenco, a pochi chilometri dalla città, conosciuta ai più per i sanguinosi episodi del maggio del 2006 (articolo su “la ricerca e i movimenti”).
Grazie agli amici del Frente de Pueblos en Difesa de la Tierra (FPDT, Fronte di Popoli in Difesa della Terra) di Nexquipayac passeggiamo in quello che era una villaggio azteco che si affacciava sul lago Texcoco, dove si possono trovare cocci di vasi dell’epoca, iscrizioni ed incisioni e dove la traccia dell’antico acquedotto è ancora visibile. Ascoltiamo le parole di Sergio, Felipe, Filemon, Luis, Rosario, Himena, Andrea e Silvia. I loro racconti, la storia dei luoghi e del movimento, in cui la terra e le tradizione sono i protagonisti, dove la storia di uno diventa la storia di tutti. Ad oggi, il FPDT ha sostenuto tante battaglie e continua a sfidare il potere che vuole costruire il nuovo aeroporto proprio dove la comunità coltiva e cerca di far riconoscere e difendere il valore e la ricchezza archeologica della zona di Atenco. L’Aeroporto Internazionale di Città del Messico “Benito Juárez” non basta più ad accogliere i milioni di turisti che arrivano in Messico ogni anno e il governo progetta l’espansione delle strutture ricettive e di sicurezza con l’obiettivo di arrivare ad una capacità di 32 milioni di persone.
La grande città di Città del Messico ha bisogno quindi di un grande aeroporto. Purtroppo interessi politici e speculazioni edilizie prevalgono sui valori che potrebbero davvero rendere ancora più grande la città e il paese. C’è chi non si arrende e non ci sta a veder coperta dal cemento la sua storia, la sua cultura e la sua vita e continua a combattere per difendere i valori in cui crede. Persone che non hanno paura di sfidare il gigante DF perché sono grandi come l’amore per la terra che li anima.
Stefano e Daniela