Jabbar e il NordEst che non c'è: «Tra Veneto e Trentino in comune solo l'invidia»
Adel Jabbar è un sociologo ricercatore nell’ambito dei processi migratori e interculturali. Girare con lui per Trento e Bolzano significa fermarsi ogni cento metri per salutare qualcuno che conosce. Lui sostiene che è colpa del suo “mestiere” ma non è vero. E’ merito del suo modo di fare. A scopo di ricerca, per recarsi a convegni, o per incontri pubblici, ha visitato ogni angolo d’Italia. Può passare ore a raccontare del paesino sperduto della Sicilia, della gente di Tolmezzo o del centro storico di Poggibonsi. Il suo sguardo sul territorio è quindi molto particolare, è quello di chi ci osserva per motivi di studio e ci frequenta per curiosità. Di fronte a un frullato di mela e zenzero, gli abbiamo chiesto di raccontarci il “suo” NordEst.
Jabbar il NordEst è un mito o esiste davvero?
“Beh, esiste sicuramente come area geografica formata da Emilia Romagna, Veneto, Friuli e Trentino-Alto Adige. Ma si potrebbe caratterizzare anche come territorio che ha legami con il mondo slavo e con il mondo tedesco, un mondo in cui, di conseguenza, sono presenti realtà linguistiche diverse, sloveni, tirolesi, ladini… Poi è vero, sono regioni anche molto diverse. Le definizioni sono naturalmente una gabbia in cui si forza la realtà per etichettarla”.
Ma la sua “definizione” configura il NordEst come una realtà “aperta”, non è la stessa immagine che viene trasmessa a livello mediatico…
“Proprio perché è una zona di confine. La frontiera è il luogo sia dei doganieri che controllano che dei contrabbandieri, il confine è una linea che non solo separa, per certi versi unisce”.
Ma, per esempio, cosa hanno in comune Trentino-Alto Adige e Veneto?
“L’invidia reciproca, i trentini e gli altoatesini invidiano dinamicità e duttilità della forza produttiva veneta, e i veneti invidiano organizzazione e affidabilità del Trentino-Alto Adige”.
Non esiste una specificità veneta?
“Non ha senso cercarla, si insiste sulla specificità immaginando una purezza che non esiste. Venezia, Padova e Verona hanno però una cosa in comune, tutti e tre i santi patroni, San Marco, Sant’Antonio e San Zeno sono “stranieri”, un palestinese, un portoghese ed un nordafricano. Anche questo dimostra come il NordEst sia il territorio più ricco di Italia per commistioni linguistiche e religiose”.
La rivolta contro i profughi avvenuta a Quinto di Treviso poteva avvenire in qualunque altro posto?
“E’ avvenuta anche altrove. E’ vero però che a Treviso esiste una retorica identitaria pericolosa ed è evidente l’uso politico che è stato fatto della questione”.
L’ultima domanda è inevitabile, visto il contesto. Veneto, Friuli, Trentino, sono a NordEst di che? Anche l’Italia è ridotta a poco più di un’area geografica?
“Per alcuni versi sì, per altri meno. Anche l’Italia è sottoposta a processi di mondializzazione, dalla grande città al paesino di provincia. Stesse catene alimentari e di abbigliamento, stesso arredamento nelle case. La vecchia rappresentazione sociale e politica si è indebolita notevolmente, ma questo non significa che non ci sia più l’Italia. Il modello economico è cambiato, la vecchia rappresentazione sociale e politica, partiti e sindacati, non hanno più il peso di prima e c’è stata una parcellizzazione degli interessi. E’ finita un’epoca e se ne sta affacciando un’altra e il tessuto sociale si va ricomponendo in maniera diversa. Si pensi, per esempio, al movimento cinque stelle, ai no Tav, alle associazioni a difesa dell’ambiente o dei disabili. Il nuovo modello economico aggrega le persone in maniera diversa, soprattutto perché oggi il cittadino è innanzitutto consumatore, prima che italiano, veneto, emiliano o tedesco”.
Massimiliano Boschi
Articolo pubblicato per la prima volta il 31 luglio 2015