A Perth da due settimane, ma in Australia non sono ancora arrivato
Sono in Australia da due settimane ma non sono ancora atterrato. Sono rimasto là dove la terra rossa accennava ad iniziare, rompendo la monotonia azzurra dell’Oceano Indiano.
Sono rimasto là ad osservare le infinite strade rettilinee che si perdevano nell’orizzonte, mentre l’aereo dolcemente guadagnava quote più basse nel bel mezzo del nulla. Poi sparute città, poi sobborghi ordinati, poi i grattacieli della city, e poi l’aeroporto e poi poggio il piede su questa terra che non so per quanto tempo mi ospiterà.
Sono in Australia da due settimane ma sono rintanato in una città costiera, la prima che si trova venendo dai vecchi mondi. Perth è la capitale del Western Australia, la più isolata al mondo, più prossima alle città asiatiche che alla capitale della nazione che la ospita. Non mi sono spostato un granché: sto qua ad osservare, impaurito a tratti, osando un’affacciata sulle spiagge bagnate da quell’Oceano infestato da squali. Non sono realmente qui, l’Australia è l’outback, la natura selvaggia, e io sono in una città come tante.
In realtà non proprio come tante. Perth cresce ad un ritmo superiore a quello cinese, qualunque cosa questo voglia dire. Scheletri di grattacieli già osservano la città con boria, recintati da palizzate le quali assicurano che, nel frattempo, business as usual. In una città dove i concetti di antico, storia, tradizioni si fermano al XIX secolo non è difficile immaginare la propensione allo sviluppo. I nuovi lavori avranno anche l’effetto di restituire il fiume Swan alla città, permettendo la loro ricongiunzione. I locali non capiscono, dicono che giunti, fiume e città, non lo sono mai stati. Chissà che gli amministratori non si siano riferiti ai tempi remoti in cui i coloni inglesi erano ancora da venire, quando i nativi vivevano effettivamente nella comunione dello spirito della terra e quello dell’acqua.
Terra. Le canzoni degli antenati cantavano e descrivevano la terra, tracciando i percorsi che ogni uomo era tenuto a percorrere. Ben più di una terra promessa: nonostante le infinite distese di questa che rimane un’isola, le leggi di natura dicevano che questa era l’unica possibile, l’unica che era dato a loro comprendere. Ma non ne so molto, leggendo non si impara granché, ci sarebbe da addentrarsi e io sono fermo qui sulla costa, vicino alle acque furenti.
Acqua. I sea gypsies non hanno una patria, sono apolidi del mare. I Bajau Laut vagano per le acque del nord dell’Australia, la loro barca come casa itinerante, porto e insieme scialuppa. Se vengono sulla terraferma è solo per vendere il pesce ingegnosamente pescato, e in fretta: se li fermano rischiano di essere cacciati. Da dove? Anche se non hai nulla c’è sempre un modo per espropriarti, anche se non hai un luogo dove andare è sempre possibile cacciarti via. E loro vagano, intere famiglie su una barca, vivendo a stretto contatto, i più grandi facendo l’amore in silenzio.
Tanto da scoprire ma io non so nulla, capto storie, leggo un po’ ma leggendo non si impara granché, faccio domande e talvolta c’è qualcuno che mi ascolta davvero e che mi risponde. Forse è il caso di affacciarsi su quelle acque, di vagare per quelle strade, di camminare come un equilibrista sul filo della frontiera. Ma non sono ancora arrivato, appena arrivo lo faccio, giuro.
Alessandro Vignale