"A Istanbul è in gioco la democrazia", lettera da Taksim
Continua e si infiamma la protesta a Istanbul. Dalle prime pochissime centinaia che eravamo venerdì pomeriggio già la sera siamo diventati alcune migliaia. Quella notte non é mai finita per nessuno, neanche per i pacifici manifestanti che facevano urlare le loro padelle alle 4 di mattina. Sabato non si poteva contare il numero di persone…
I media italiani mettono l’accento sulla violenza della repressione della polizia ma la realtà é piú variegata: i contenuti della mobilitazione si sono solo arricchiti dell’indignazione per la violenza dispiegata, che rivela manifestamente il carattere autoritario di questo governo. Perché qui non si é mai protestato contro il pericolo di islamizzazione della società. Qui c’é in gioco il concetto stesso di democrazia. La violenza subita ultimamente é solo un corollario.
In questo paese non si può esprimere il dissenso, non solo per iscritto (con 72 giornalisti in prigione la Turchia e in testa alle classifiche per la mancata libertà di stampa) ma neanche a voce, manifestando sulla strada pedonale in gruppi di pochissimi fedeli e irriducibili scortati da un plotone di poliziotti sempre il doppio o il triplo per numero.
Da tempo i toni di Erdoğan sono diventati più aggressivi. Gli ultimi 2 anni, prima che Öcalan imponesse l’abbandono della lotta armata ai guerriglieri del PKK, hanno visto una degenerazione del conflitto, con stragi indiscriminate dei civili ad opera dell’esercito. Se ora la Turchia intraprende la via del dialogo non é solo perché dall’altra parte ci si rende conto che in questi anni la lotta armata ha prodotto solo 40.000 morti e nessun risultato concreto. La cartina tornasole sta in gran parte nel fatto che Erdoğan ha bisogno di una maggioranza dei due terzi per cambiare la costituzione e la forma di governo in senso presidenzialista. E per questo gli serve l’appoggio dei curdi.
Lo slogan più urlato é: “Faşizme karşı, omuz omuza”. Che letteralmente sta per “Spalla a spalla contro il fascismo”. Lo dicono in piazza, basta fare qualche domanda a qualsiasi attivista o manifestante di qualsiasi orientamento ideologico, per rendersene conto. Lo scandiscono in ogni angolo della cittá. Persino a scuola. Basta chiedere ai miei studenti, da ieri vestiti tutti in lutto e con le guance colorate coi colori della bandiera turca. rosso e bianco. Tutti molto fieri e contenti di me, per avermi vista ieri nel parco occupato (da domenica la polizia ce lo ha lasciato).
Per tutti loro Taksim é un simbolo, “é molto importante per il popolo turco”, mi diceva ieri Çağla, nel suo italiano stentato di prima liceo, mentre mi baciava la spalla (!)… Taksim é il simbolo della Turchia, certo, anche della sua laicità, ma soprattutto della sua ESISTENZA. Non entro nel merito di questo argomento, delicatissimo. Però é importante sapere che, se oggi i turchi cercano un luogo dove é scritta simbolicamente la loro storia, lo trovano lí a Taksim. E la loro storia ha origine sulle ceneri dell’impero ottomano, dopo quella che loro chiamano “rivoluzione”. Quella che Erdoğan vorrebbe cancellare, resuscitando i fasti del passato ottomano.
Libera
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