Sarajevo-Pekara (il panettiere)

Siamo come al solito in giro per le strade, sempre e ancora a Sarajevo. Io, Betty e sua sorella Caterina (che ci ha raggiunti in Bosnia durante uno dei nostri viaggi per il progetto La Strada del Cibo).
Il nostro gironzolare per le strade di Sarajevo è fatto di cambi di direzione, deviazioni di percorso, e fermate non programmate. Curiosità mista ad improvvisazione. Se qualcuno potesse osservarci, il nostro incedere potrebbe sembrare casuale e confuso, invece segue una precisa logica. Il percorso cambia ogni volta che la nostra attenzione viene attirata da qualche elemento. Siamo alla ricerca. In Bulgaria, in una piccola cittadina, abbiamo seguito un gregge di capre, guidato da una donna gypsy, e siamo arrivati al piccolo borgo zingaro di cui vi ho parlato in un post precedente.

Vedo da lontano comparire una gruppo di donne musulmane, la decisione é presa in un millisecondo: “si va di là”. Sapendo quanto siano riservate, soprattutto per quanto riguarda l’essere fotografate, mi presento da lontano. Metto in pratica un altro dei miei piccoli trucchi: faccio finta di scattare qualche foto qua e là, a caso. Ancora non punto la camera su di loro, in questa maniera le preparo alla possibilità di essere il mio prossimo soggetto. Ormai vicino e a portata di scatto, guardo le loro facce e cerco di scorgere qualche gesto contrariato, con soddisfazione vedo che solo due del gruppetto si dileguano e si coprono il viso, per cui alzo la macchina e scatto. Le guardo e con un gesto ringrazio e rispettosamente saluto, il gruppetto quasi divertito ricambia e prosegue la sua strada.

Vedete l’edificio dietro le donne? Bene. Appena superata l’allegra brigata, un profumo intenso riempie l’aria, un profumo di cose buone, cibo… no, non semplicemente cibo, sembra pane… si, è pane. “Andiamo su”, seguiamo la strada del cibo, vediamo dove ci porta, chi ci fa conoscere.

Sarajevo, il panettiere Aljovic Bacir.

Eh si, è proprio una “pekara”, un panificio. Entriamo. L’ambiente è piuttosto minimale. Una stanza d’entrata grande si e no 3×3 , a destra un altro passaggio, ma immagino non sia un ambiente pubblico, quindi aspetto. Dopo poco, lancio il segnale acustico: “ehilà, c’è qualcuno?”. Questa è lingua internazionale. Esce un signore di mezza età, è lui, il panettiere. Il suo nome è Aljovic Bacir. Il suo panificio si chiama Alifakovac (come la strada su cui si affaccia). Ci presentiamo, e cerchiamo di comunicare in qualche lingua ufficiale. Niente inglese, niente italiano, e da parte nostra niente bosniaco. Quindi si ricorre alla solita, a quella che so meglio parlare. Un sorriso, un gesto che indica che l’odore che esce dal forno è fantastico, uno per mostrare la mia macchina fotografica, e lui capisce tutto. Sceglie Aljovic la location, si mette in posa sotto il ritratto di Alija Izetbegović, il primo presidente della Bosnia Erzegovina. La prima foto è fatta. Adesso altre parole, altri gesti, cerchiamo di intenderci e in qualche maniera ce la facciamo. Gli raccontiamo il senso del nostro viaggio, lui capisce che siamo interessati a vedere come si fa il pane, che ci serve per il nostro libro. Il pane bosniaco si chiama somun, nella forma ricorda la nostra piadina, ma è altra cosa. E’ una pagnotta rotonda e sottile, durante la cottura si gonfia al centro dove si forma una sacca d’aria tra la base e il lato superiore. L’interno è vuoto, non c’è mollica. Ha un gusto delicatissimo e squisito. Il somun é molto leggero da digerire. Mangiarlo caldo è l’ideale.

Il magnifico pane somun.

Siamo dentro il cuore del panificio, il forno a legna é all’opera, ed è una magnifica visione. Fa molto caldo, ma le profumate e incandescenti temperature del forno mi rendono euforico. Salutiamo i panettieri al lavoro. Sono quattro omoni, la faccia dura, ci guardano stupiti e non capiscono. Il nostro amico fa gli onori di casa, spiega un po’ chi siamo e cosa facciamo. Scatta il sorriso, e tutti si trasformano in gentleman britannici, molto accoglienti e disponibili. Sono vestiti in magliettina e pantaloni bianchi, insomma… da panettieri. Sul bancone vengono continuamente appoggiate profumatissime pagnotte appena sfornate e il forno viene, di conseguenza, continuamente rifornito di panetti crudi. Io, Betty, Caterina cominciamo ad avere problemi con il controllo dei nostri primordiali istinti animaleschi (ok, lo ammetto… soprattutto io). La vista, il profumo, la piacevole accoglienza hanno scatenato in noi l’indomabile desiderio di addentare, deglutire e addentare di nuovo. Il mio essere fotografo viene sopraffatto. Tutto ciò è cosi palese che Aljovic non perde tempo, prende una pagnotta e ce la offre. Caldissima, ottima. Anche lui partecipa al banchetto. Mangiamo quasi con ingordigia e questo esplicito apprezzamento li diverte molto. Ridiamo tutti. Il mastro panettiere ci guarda sempre più divertito, probabilmente le nostre facce sono molto felici, non perde tempo, e dai… un’altra pagnotta. Ancora ci guardiamo e sempre nella lingua universale esprimo i miei complimenti per il magnifico pasto. Soddisfatto l’impulso irrefrenabile, ritorno in me stesso e mi sovviene che sono un fotografo e ricordo anche la ragione del mio curiosare per cucine e forni a legna. Mica sono entrato con una scusa per mangiare del pane a tradimento! Quindi, a questo punto, mostro la macchina fotografica, sparo ancora un paio di sorrisi e inizio a fotografare.

Intanto Betty e Caterina sono intente a dialogare (pur se con le difficoltà linguistiche di cui sopra) con il mastro panettiere che con fierezza spiega i segreti di questa delizia. Vedo che sono entrate in confidenza, Aljovic ormai se le abbraccia paternamente e le ha dotate di un sacchettino con dentro pagnottine appena sfornate. Così continuano a parlare e a mangiare qualche boccone. E mi rendo conto di quanto sia salutare per i rapporti interpersonali mangiare assieme, condividere la stessa “tavola”. La potenza del cibo! Così Betty scopre i segreti del pane di Sarajevo, e mangiando assieme, il nostro amico fornaio inizia a parlare, a raccontare. Si viene a sapere che durante la guerra il panificio ha continuato a funzionare, a sfornare pane sia per le truppe che per la popolazione civile, nonostante bombe e cecchini in agguato.

Caldo, molto caldo vicino al forno.

Bosnia, Sarajevo, Aljovic abbraccia allegramente Betty e Caterina.

Condivisione! Che bello!

E mi ritorna in mente un altro racconto simile di Fidani Baftir, lui ha uno storico locale, il Buregdzinica Bosna, nel quartiere turco, è specializzato in pita. Anche lui durante la guerra non ha chiuso, ha continuato a sfornare e con la sua produzione riforniva sia l’esercito che la popolazione.

Ma forse non sapete cos’è la pita? Ah ah male, male !

Questo, però, ve lo racconto nel prossimo post….

Intanto stampatevi nella mente questa faccia: il grande mastro panettiere Aljovic Bacir a cui sempre sarò grato per il lauto pasto che ci ha offerto, con simpatia e semplicità.

Bosnia, Sarajevo, il panettiere Aljovic Bacir.

Nicola Fossella

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