Referendum in Kosovo, un 99,7% di guai
Non aveva nessuna rilevanza giuridica il referendum che è stato votato fra il 14 e il 15 febbraio dalla popolazione serba nei comuni del Nord del Kosovo. Eppure a votare sono andate ben 26.000 persone su 35.000 aventi diritto. Secca la domanda posta : “Accettate le istituzioni della cosiddetta repubblica del Kosovo insediata a Pristina?” L’esito era scontato: il 99,74% ha infatti detto no. Un plebiscito che si può spiegare solo osservando la complessa situazione politica che caratterizza da sempre il Ksovo: provincia a maggioranza albanese dotata di autonomia durante l’esistenza della Jugoslavia, stretta poi da una pressante sottomissione serba fino ai bombardamenti su Belgrado del ’99, per arrivare infine alla dichiarazione d’indipendenza unilaterale del 2008, il Kossovo è sempre stato un simbolo per i nazionalisti serbi.
A partire dalla cosiddetta battaglia del Kosovo (altrimenti detta battaglia della Piano dei Merli) del 1389, quando l’esercito serbo, guidato dal principe Lazar, venne sconfitto dagli ottomani consegnando così la penisola balcanica a secoli di dominio turco. Il valore del Kosovo per i serbi è amplificato dalla presenza di importanti monasteri ortodossi: non deve quindi stupire che i primi focolai che portarono alla guerra in ex-jugoslavia scoppiarono proprio qui. Nel 1989, un nazionalista serbo che divenne poi tristemente famoso, Slobodan Miloševic, si recò in Kossovo per alimentare l’odio etnico verso gli albanesi, proprio nel 600esimo anniversario della battaglia. Fu l’inizio della fine.
La zona è dunque sempre stata molto calda e il referendum di questi giorni non può che scaldarla ulteriormente: non avendo nessuno valore legale, la votazione assume un chiaro valore politico: un messaggio che i nazionalisti serbi lanciano verso chi vuole pacificare la zona. Il Parlamento del Kosovo ha ritentuto la consultazione “illegale e anticostituzionale”. Persino la Serbia, a cui L’Unione Europea ha raccomandato di migliorare i rapporti diplomatici con Pristina, non ha gradito il referendum. L’ingresso nell’Ue è per la Serbia la direzione da seguire, tanto da aver – negli ultimi anni – catturato e consegnato tutti i criminali di guerra, last but not least Ratko Mladic, il responsabile dell’eccidio di Srebrenica. La Serbia sa bene che chiudere i conti con il proprio passato è l’unico modo per farsi accettare da Bruxells e i segnali che arrivano dal Kosovo non sono che bastoni fra le ruote per Belgrado, tanto che il Presidente serbo Boris Tadic aveva definito il referendum inutile e dannoso, soprattutto in vista del vertice europeo di inizio marzo, dove alla Serbia potrebbe venir concesso lo status di paese candidato all’ingresso nell’UE.
Andrea Ragona