Vecchio e nuovo a Dubai (3° puntata)
Quindi strappate le pagine della guida turistica con le parole “vecchio”, “tradizionale”, “antico” e ritrovata casualmente la “città normale”, dopo aver camminato per le sue vivissime strade a due corsie per senso di marcia e fatto un po’ di fotografie, diciamo che mi sento soddisfatto. Cerco un taxi, fatico un po’ perché nella vecchia Dubai i taxi stanno ovviamente alla stazione delle corriere, proprio come da noi. E mentre tornavo all’albergo, nella parte nuova di Dubai, mi rendo conto che è ancora troppo presto per andare a letto e non ho sonno, ho voglia di fare ancora qualcosa, per cui decido di fare due passi per la zona pedonale chiamata, con tono di grandezza, The Walk.
Dovete sapere che Dubai, come ve l’ho descritta nei post precedenti, è una città che, fino a pochi anni fa, non ha lasciato grande spazio alla vita pedonale dei suoi abitanti.
La semplice e naturalissima azione del camminare, da noi comunemente praticata e caldamente consigliata da qualsiasi medico, qui rappresenta una novità per molti motivi. Passeggiare a Dubai può essere considerata un’attività del tutto innaturale e molto spesso alquanto pericolosa per la salute. Non è quindi solo una questione di pigrizia fisica e mentale dei suoi cittadini, esistono delle cause oggettive che giustificano questo strano fenomeno. La stessa struttura cittadina è costruita per rispondere a questa esigenza: enormi centri commerciali, larghe strade, piccoli marciapiedi. Per cui è raro vedere gente a piedi o in bici, i cittadini sono abituati a spostarsi in macchina o al massimo con i mezzi pubblici.
La causa di tutta questa inerzia è da ricercare nel clima della zona che per la maggior parte dell’anno è del tutto insopportabile: infatti per 8/9 mesi dell’anno il solo pensare di stare per la strada, sotto il sole, e senza aria condizionata è veramente cosa da suicidio meditato. Le temperature, da febbraio ad ottobre, oscillano tra i 35c° e i 45c°, con tassi di umidità del 90% che fanno concorrenza diretta alla nostra bagnata pianura padana in luglio/agosto. Quindi è ovvio che tutta la vita sociale sia stata organizzata in luoghi climatizzati, tanto più ancora le attività fisiche, come per esempio il passeggio. Solo nei restanti mesi la temperatura diventa gradevole ed oscilla tra i 22c° e i 30c°.
Da settembre a febbraio il clima offre la possibilità di vivere all’aperto, e visto il breve periodo propizio, il godersi le piacevoli temperature invernali diventa un lusso e come tale è stato organizzato. A questo fine l’Emiro ha fatto costruire attorno ai nuovi complessi edilizi grandi passeggiate, tutte super attrezzate con ristoranti, bar e negozi.
Una di queste, da poco ultimate, è appunto quella nominata con grande enfasi The Walk. Di che si tratta? E’ un grande viale con un’area calpestabile larga una trentina di metri, costeggiata da una strada con una sola corsia per senso di marcia. Nella parte pedonale si materializza lo spirito commerciale e spendaccione della ricca cittadinanza, i negozi di firma ed i ristoranti si contendono ogni metro a disposizione. Qui puoi trovare di tutto, dai mobili vintage alle scarpe, dal cibo Thay al classico ristorante italiano fino alle grosse catene di caffè americane. Insomma la camminata è super attrezzata per permetterti di trascorrere delle felici ore di libero shopping alternato a pause ristoratrici per ogni gusto, esigenza e tasca. Turisti e abitanti del luogo si mischiano e si confondono. Ragazze occidentali in abiti succinti e donne arabe, con i loro completi tradizionali, passeggiano le une affianco alle altre.
Ma, cosa alquanto inconsueta per un paese arabo islamico, è la facile possibilità di assistere a delle strane accoppiate: mamme con il vestito tradizionale, lunga veste nera e viso semi coperto, che accompagnano figlie attrezzate con scarpa tacco 12 , minigonna e scollatura seno molto aggressiva.
Anche tra gli uomini la tendenza ad abbandonare i costumi tradizionali è evidente: accanto ad elegantissimi signori vestiti con la lunga veste bianca e ciabatte di pelle, è facile imbattersi in gruppi di ragazzi in jeans, scarpe da ginnastica, capelli colorati, gel, orecchini, e tatuaggi di serie. Le stesse scene si verificano sulla spiaggia, convivono assieme donne arabe con costume da bagno completo, così che nessuna parte del corpo viene mostrata al pubblico, e ragazze sia arabe che occidentali in bikini.
Tutto ciò mi fa sorridere e rende la mia visita alla città meno pesante, mi sento come uno spettatore e lo spettacolo è il cambiamento di una società, in diretta, sotto i miei occhi. Il vecchio e il nuovo convivono nello stesso posto, nella stessa famiglia.
Questo mi fa riflettere e meditare. Penso.
Gli usi e i costumi di questa società stanno mutando con una tale velocità da lasciar senza fiato. E immagino che qualcosa del genere stia avvenendo anche nelle menti e per le idee di queste persone.
Dubai è forse l’unico stato islamico dov’è in atto un radicale cambiamento con il consenso e l’incoraggiamento delle autorità locali. Mi sento quasi felice davanti a questo spettacolo. Assisto all’inaspettata tolleranza delle vecchie generazioni verso il nuovo, verso le nuove generazioni.
Forse che il benessere, prodotto ed imposto quasi artificialmente, quasi indotto, l’apertura verso il mondo occidentale, la vocazione al turismo stiano portando anche degli inaspettati effetti positivi, innovativi sulla popolazione locale?
Che il dio denaro forse per una volta stia portando con sé anche qualcosa di buono?
Ed infatti, al mio arrivo a Dubai e nelle mie prime esplorazioni per la città, non capivo cosa c’era in questa gente e in questo posto che mi coinvolgesse cosi positivamente e che, nonostante le evidenti differenze tra i cittadini, mi facesse sentire a mio agio. E non comprendevo completamente perché non mi sentissi in torto, in contraddizione con i mie principi e la mia morale.
Infatti mi sono scoperto ad impormi un’opinione negativa nei confronti di quello che vedevo attorno a me, e nonostante il mio meditare sulle conseguenze negative di un tale prepotente e spocchioso salto in avanti, qualcosa inspiegabilmente sempre mi riportava a non eccedere nei miei giudizi negativi.
Secondo il mio personale modo di vedere, l’irraggiungibile condizione di benessere di una parte della società, se confrontata con la umile e normale vita quotidiana dei più che lavorano per sbarcare il lunario, crea un meccanismo di divisione di classe del tutto inaccettabile e intollerabile. Questo meccanismo basato sulla disuguaglianza ritengo porti all’accumulo di tensioni sia dal basso verso l’alto, che di conseguenza, in direzione opposta, porti diffidenza e disprezzo, rendendo quindi inevitabile arrivare ad un generale degrado delle condizioni di vita dell’intero sistema.
Sulla base di questo mio pensiero, Dubai dovrebbe rappresentare il male assoluto, l’ultimo posto al mondo in grado di piacermi, eppure,sin dall’inizio non sono riuscito a farmela dispiacere.
Qualcosa mi rendeva ottimista, da principio non avevo capito, non vedevo i particolari delle cose che invece il mio istintivo senso di giustizia stava già immagazzinando ed analizzando.
Durante le mie passeggiate per la città ho notato che le persone irradiavano uno strano senso di serenità. Questa emozione traspariva sia dalle facce di chi era alla guida di una Mercedes che da quelle di chi vedevo lavorare in un cantiere edile. Non ho mai incontrato sui volti delle persone emozioni drammatiche. Al contrario di quello che vedo nella nostra evoluta e giusta società italiana. Quindi le cose sono due: tutti gli abitanti di Dubai sono dei grandissimi attori, e allora consiglierei a qualche regista di fare casting sul luogo, oppure c’è qualche altro motivo che rende queste persone soddisfatte della loro condizione di vita.
Per cui non me la sento di emettere definitivamente una sentenza di condanna.
Nicola Fossella
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