Immigrazione nell'Anno del Dragone
Singapore è una città abitata principalmente da discendenti d’immigranti che vi arrivarono grazie ai colonialisti britannici.
Verso la fine del 1800, gli Inglesi avevano aggravato le condizioni già precarie di vita in una Cina governata da degli stranieri, i Mancesi Qing, vendendo ai Cinesi l’oppio che producevano in Bengala e trasformando in questo modo a poco a poco i Cinesi in una massa di drogati senza altra volontà che quella di continuare a drogarsi.
Le campagne erano rovinate, le città affamate e i porti aperti all’emigrazione fornivano agli Inglesi molta manodopera a buon mercato per le piantagioni di alberi da gomma, per le miniere di stagno e per tutte le altre imprese coloniali che avevano impiantato in Malaya.
Anche pochi Indiani, colpevoli di aver cercato l’indipendenza del loro Paese, oppure semplici criminali comuni spinti dalla miseria ai reati più efferati furono deportati dagli Inglesi a Singapore per fare i lavori più duri, come disboscare la giungla malarica e trasportare i macigni necessari per la costruzione dei palazzi governativi. Le donne indiane venivano destinate alla cura degli alberi della gomma. In quel tempo alcuni mercanti sia indiani sia cinesi si aggiunsero a questa popolazione di disperati per vendere loro tutto quello di cui potevano aver bisogno. Come risultato finale, nel 2012 i Malesi, che erano gli abitanti originari di quest’isola, sono ridotti ad appena il 13% dell’intera popolazione.
Ed è stato raggiunto un risultato incredibile: la convivenza pacifica di varie etnie molto diverse tra di loro quali i Malesi/Indonesiani prevalentemente musulmani, gli Indiani di varie religioni, induisti, musulmani e sikh, e i Cinesi taoisti, buddisti, cristiani. Una convivenza che non è sempre stata pacifica, ma che si è perfezionata col tempo e con un progetto istituzionale che garantisse a ciascuno la sua dimensione identitaria se vogliamo di tipo ancien regime, non come individui ma siccome parti di una comunità. Il diritto di ciascuno alla sua devozione non viene per nulla messo in discussione.
A cento novantatré anni dall’arrivo di Raffles Stamford a Singapore, o a quarantatré anni dall’indipendenza dell’isola come entità politica, i discendenti degli immigrati cominciano a manifestare segni d’intolleranza verso i nuovi immigrati. Questi, a differenza degli antenati dei Singaporiani odierni, sbarcati da giunche sovraccariche dopo un viaggio precario, arrivano all’aeroporto di Changi già con un contratto di lavoro, talvolta dopo un viaggio in business class, e spesso dopo un breve viaggio con una delle molte linee aeree low cost che collegano Singapore, capitale finanziaria dell’Asia del Sud Est, con tutti gli Stati che la circondano.
I Singaporiani di etnia indiana, prevalentemente Tamil, Malayalam o con Punjabi, mal sopportano l’arroganza degli Indiani dell’India, tesi ad ostentare la loro nuova ricchezza e a criticare tutto. Allo stesso modo i Singaporiani di etnia cinese detestano i Cinesi dalla Cina, giacché questi ultimi, pur se spesso occupati in lavori non molto specializzati e pagati poco, non perdono occasione per criticare la scarsa competenza in Mandarino dei Singaporiani*
I Cinesi della Cina inoltre spesso hanno ancora la stessa attitudine alla sopravvivenza che secoli di occupazione mancese, sfruttamento colonialista internazionale, conflitti tra signori della guerra, occupazione giapponese e infine guerra civile tra comunisti di Mao e nazionalisti di Chiang Kai-shek e fame seguita al “grande balzo in avanti” hanno inculcato nelle menti della gente. Senza un’etica di tipo laico, e non avendo più nessuna remora di tipo religioso, i Cinesi della Cina d’oggi credono principalmente al materialismo e al consumismo: non essendoci spazio per deboli o perdenti, che sono semplicemente eliminati dal sistema, l’unica ossessione è di non perdere mai. La competizione tra di loro avviene su una scala gigantesca e questo fattore li rende bugiardi, ladri, chiassosi, spietati pur di non ammettere mai una qualsiasi sconfitta e riuscire a sopravvivere. Il “sorriso asiatico” permette loro di dissimulare le loro vere intenzioni finche’ sono in una posizione di inferiorità, per poi rivelare il loro vero volto avido e spietato una volta che hanno raggiunto una condizione di superiorità. Non c’è pietà o misericordia.
Il Singaporiano di origini cinesi guarda il Cinese dalla Cina come se si vedesse allo specchio, e non gli piace. Non riesce
a identificarsi. A Singapore vige il principio di effettività della legge che è uguale per tutti ed è applicata in modo imparziale. In Cina, pagando, si ottiene la sentenza che si desidera. La Cina è corrotta mentre Singapore ha un Ufficio contro le Pratiche Corrotte che vigila su tutte le attività dell’isola repubblica in modo costante e garantisce che le procedure non siano inficiate da tentativi di corruzione. A Singapore la gente si mette in coda e rispetta la coda e se qualcuno trasgredisce c’è una sorta di modo di pensare da piccolo paese per cui tutti s’incaricano di “mettere a posto” chi non ha osservato le regole. I Cinesi della Cina invece sono chiassosi ed invadenti, e cercano sempre “scorciatoie”.
Il 22 gennaio il Primo Ministro si era compiaciuto che il Tasso di Fecondità Totale (chiamato anche più comunemente “numero medio di figli per donna”) fosse salito nel 2011 a 1.20 da un basso storico di 1.15 nel 2010. Seguendo le tradizioni cinesi, che ritengono di buon auspicio per un bambino essere nato nell’anno del Dragone, Lee Hsien Long si è augurato che l’anno del Dragone avrebbe procurato un incremento demografico dei Singaporiani. Inoltre ha dichiarato di “avere fiducia nel fatto che, insieme, il Governo e la gente possono continuare a mantenere Singapore una società fondata sulla meritocrazia dove ogni bambino ha la possibilità di realizzare i suoi sogni”.
Il 4 Febbraio 2012 suo padre, il Ministro Mentore Lee Kwan Yew, ha dichiarato che Singapore deve accettare gli immigrati. Secondo lui Singapore, pur presa tra le turbolenze in Europa e il rallentamento negli Stati Uniti, è improbabile che vedrà un tasso di crescita economica negativa, a meno di ulteriori shock esterni. Ha comunque ammonito che se la popolazione diminuirà l’economia rallenterà sicuramente.
Invitando Singapore ad accettare gli immigrati, anche se ha riconosciuto che “molti Singaporiani non si sentono a loro agio a vedere tante facce nuove e strane“, il signor Lee ha detto che la sfida più grande che la nazione deve affrontare è di aumentare la sua popolazione mentre il tasso di natalità continuerà a scendere.
In dettaglio, ha riferito che lo scorso anno, il tasso di fecondità era pari a 1,08 per i cinesi singaporiani, 1,09 per gli indiani singaporiani e 1,64 per i malesi singaporiani. Il tasso di rimpiazzo della popolazione è del 2.1!- Queste statistiche non sono incoraggianti sul futuro di uno stato che viene definito da molti come ideale.
“In altre parole la popolazione cinese di Singapore passerà con la generazione successiva, tra 18 o 20 anni, ad essere solo metà della popolazione totale”, ha detto Lee, parlando al Tanjong Pagar GRC e Radin Mas SMC per i festeggiamenti dell’anno nuovo cinese, attribuendo al cambiamento nello stile di vita la causa più probabile del tasso di natalità basso perché una gravidanza significa fermare il lavoro e perdere di reddito. “Poi, quando loro (le donne) ritornano al lavoro, possono scoprire che i loro coetanei che non hanno avuto i bambini si sono spostati avanti”, ha detto, aggiungendo che quelli con redditi alti possono quindi rinviare il matrimonio o restare single.
Il Signor Lee ha detto che un “problema grave” è che 44,2 per cento degli uomini e il 31 per cento delle donne di età compresa tra 30 e 34 siano rimasti single.
L’istruzione, ha osservato, ha svolto un ruolo nel fatto che le donne si sposano più tardi. “Le donne possono scegliere i mariti oggi, e talvolta guadagnano di più di loro (…)”, ha detto Lee. Prendendo il Giappone come esempio di un paese che ha scelto di non accettare gli immigrati, il signor Lee ha detto che “il prezzo pagato dai giapponesi è un calo demografico e l’invecchiamento (della popolazione)”. “Persone meno giovani significano meno vendite di autoveicoli nuovi, stereo nuovi, nuovi computer, iPhone, iPad nuovi, vestiti nuovi e gastronomia”, ha detto, concludendo: “E una scelta di Singapore non può permettersi di fare. Piaccia o no, a meno che non abbiamo più i bambini, abbiamo bisogno di accettare gli immigrati.”
Da questo osservatorio particolare mi viene da chiedermi: -E l’Italia? Come si fa a non capire che l’immigrazione costituisce una risorsa preziosa, ed in quanto tale, da gestire?-
Singapore, 6 Febbraio 2012, di Giovanni LOMBARDO