Cracovia, da Kazimierz a Podgórze: tra il quartiere e il ghetto ebraico, viaggio nei luoghi della memoria
Visito Cracovia qualche mese dopo Varsavia. Mentre ero in quest’ultima città, infatti, mi hanno incuriosita i commenti dei suoi abitanti che rimproveravano i cracoviani di giudicare la capitale polacca “brutta”. Quella che all’apparenza può sembrare la classica disputa tra città dello stesso stato, affonda le sue radici nei tragici eventi che portarono allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale: l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista il primo settembre 1939.
Cracovia e Varsavia ne furono le prime protagoniste, seppure con dinamiche e risvolti diversi. Nel 1945, alla fine del conflitto, non rimaneva nulla di Varsavia. L’85% della città era stato completamente distrutto. Gli sforzi per la ricostruzione furono enormi e come controbattono gli abitanti: “Varsavia non è brutta, la bellezza va ricercata nella sua identità”. Invece Cracovia alla fine del conflitto era ancora intatta, dal momento che fu scelta dai nazisti come loro capitale in Polonia. Arrivo a Cracovia nel primo pomeriggio e decido di concentrare la prima visita a scoprire i luoghi simbolo dell’occupazione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale: il quartiere e il ghetto ebraico.
Cracovia: la basilica di Santa Maria. Foto Elisa Treppaoli
Il passato glorioso di Cracovia
Dalla fermata degli autobus percorro il sottopassaggio per arrivare ad una delle vie principali del centro, via Florianska. Si tratta di una strada lunga circa 400 metri piena di pub, caffè e negozi di artigianato. Fin dall’inizio si intravedono le torri della Basilica di Santa Maria, un’imponente costruzione in mattoncini rossi che si trova nel centro storico. Proseguo dritta fino a quando si apre, maestosa, Rynek Główny o Piazza Grande, il cuore pulsante di Cracovia nonché la piazza medievale più grande d’Europa. Ha la forma quadrangolare e sui lati ci sono file di ristorantini che espongono i piatti tipici locali. Nel centro si erge il Mercato dei Tessuti, una struttura a forma di loggiato che oggi ospita negozi di souvenir e di artigianato. La sua prima costruzione risale agli inizi del 1300 e ben presto divenne il fulcro del commercio dei tessuti.
Cracovia, il mercato dei tessuti di Rynek Główny. Foto Elisa Treppaoli
Fu proprio la vocazione commerciale e la prosperità della Polonia medievale a legarsi con la storia degli ebrei. Cracovia fu capitale dal 1038 fino al 1596 quando fu spostata a Varsavia. Tra i sovrani più importanti spicca la figura di Casimiro III conosciuto anche come il Grande, che governò dal 1333 al 1370, fu lui ad accogliere gli ebrei in fuga dai pogrom degli stati occidentali concedendo loro il diritto di praticare il proprio culto e i propri affari commerciali. Dal Quattordicesimo secolo gli israeliti iniziarono a confluire in Polonia. In base ai dati dell’YIVO Institute for Jewish Research, nel 1939 la Polonia contava 3 milioni 250 mila ebrei, si trattava della comunità più grande in Europa. Per arrivare al quartiere ebraico, che si trova fuori dal centro storico, devo percorrere una strada perpendicolare che parte da Piazza Grande.
I luoghi di culto del quartiere ebraico
Dopo circa un chilometro arrivo nel distretto di Kazimierz, fondato come città commerciale da Casimiro il Grande nel 1335. Questo fu anche il periodo in cui gli ebrei iniziarono a confluire in Polonia. Ben presto i rapporti con i cristiani si fecero tesi fino al fatidico incendio del 1494 che spinse il re polacco a trasferire gli ebrei in una parte circoscritta di Kazimierz.
Arrivo in Via Jakuba, dove sorge il muro del cimitero Remuh, è qui che iniziava il quartiere ebraico. Svolse la sua funzione dal 1550 al 1800 quando gli austriaci, che con la spartizione della Polonia del 1795 presero il controllo di Cracovia, emanarono un editto per chiudere tutti i luoghi funerari nei centri densamente abitati. In seguito i nazisti lo convertirono in discarica e usarono le sue lapidi per lastricare le strade dei campi di lavoro forzato in cui vennero rinchiusi gli ebrei. Continuo fino all’intersezione con Via Józefa dove incontro la Sinagoga Alta. Costruita a metà del 1500 fu così chiamata perché la parte superiore era destinata alla preghiera mentre il piano terra ad attività commerciali.
Nel 1939 in città c’erano venti sinagoghe. Alla fine del conflitto ne rimasero solo sette, i nazisti le saccheggiarono tutte e molte andarono distrutte. Di quelle rimaste, alcune sono chiuse al pubblico, mentre altre sono state adibite a istituzioni per mantenere viva la storia e la cultura giudaica. È il caso della Vecchia Sinagoga che si trova poco più avanti. Costruita agli inizi del 1400, fu integrata con il muro difensivo che separava il quartiere ebraico da quello cristiano. Con l’arrivo dei nazisti venne usata come magazzino e solo dopo la fine del conflitto divenne una divisione del Museo Storico di Cracovia. Nel 1939 la città contava una comunità giudaica di 68000 persone. Di queste 65000 furono vittime del genocidio nazista.
La Vecchia Sinagoga di Cracovia. Foto Elisa Treppaoli
Testimonianze del genocidio
Dalla Vecchia Sinagoga risalgo per Via Szeroka fino ad arrivare alla statua di un signore seduto su una panchina in posizione pensante. Si tratta del militare polacco Jan Karski. Nel 1942 fu selezionato per un’operazione segreta: raccogliere informazioni sui crimini nazisti e riferirli in persona al governo polacco in esilio a Londra. Nell’agosto 1942 grazie anche al sostegno di leader ebrei entrò due volte nel ghetto ebraico di Varsavia per documentarne le terribili condizioni. Nel settembre 1942 riuscì a infiltrarsi nel ghetto di transito di Izbica dove venivano ammassati gli ebrei diretti ai campi di sterminio di Sobibor e Belzec. Karski scrisse dei Rapporti dove documentava il piano di sterminio degli ebrei da parte dei nazisti e li presentò di persona sia al governo inglese che a quello americano. Ma in quell’occasione sia l’Inghilterra di Churchill, sia gli Stati Uniti di Roosvelt non diedero peso alle sue parole.
Cracovia, la statua di Jan Karski. Foto Elisa Treppaoli
Chiudo il giro del quartiere andando a visitare un luogo che ha raccontato, anche se in un altro modo, il sistematico genocidio degli ebrei. È il patio dove Steven Spielberg ha girato alcune scene del film Schindler’s List. La storia parla di come l’imprenditore tedesco Oskar Schindler salvò oltre mille ebrei dalle deportazioni di massa facendoli lavorare all’interno della sua fabbrica di oggetti smaltati, corrompendo gli ufficiali tedeschi. In questo patio Spielberg ha rappresentato la liquidazione finale del ghetto di Cracovia avvenuta il 13 e il 14 marzo 1943.
Appena entro rivivo le scene del film: in alto i balconi da cui le SS gettavano valigie e mobili, in basso la scala dietro cui si nascondevano i bambini, sul cortile il terribile ufficiale nazista Amon Göth con i suoi due enormi cani. Göth sarà poi al comando del campo di concentramento di Płaszów vicino a Cracovia. I cani non sono una rivisitazione di Spielberg. Il comandante era solito girare per il ghetto con i due animali. Ma queste sono solo le ambientazioni del film. Respiro profondamente e mi dirigo verso il “vero” ghetto ebraico.
Cracovia, il patio dove furono girate alcune scene del film Schindler’s List. Foto Elisa Treppaoli
Storie di follia nel ghetto
Il ghetto ebraico di Cracovia si trova nel quartiere Podgórze, al di là del fiume Vistola e per arrivarci occorre attraversare uno dei ponti che lo collegano a Kaziemierz. Il 3 marzo 1941 ci fu una delibera che istituiva, per ragioni sanitarie e di ordine pubblico, un ghetto al di là del fiume, in cui gli ebrei avrebbero dovuto trasferirsi entro il 20 marzo dello stesso anno. Dopo il trasferimento furono subito classificati tra abili e inabili al lavoro. Ai primi veniva rilasciata la Kennkarte, una carta d’identità che permetteva loro di uscire ed entrare al ghetto per andare a lavorare nelle vicine fabbriche; gli altri dovevano rimanere chiusi.
Procedo lungo Via Józefińska, la stessa su cui sfilavano lunghi cortei di ebrei in attesa di sapere quale sarebbe stato il loro destino fino ad arrivare a Piazza degli Eroi del Ghetto, un tempo Piazza Zgody. Quello che colpisce subito sono le sedie, nel ricordo di tutti gli ebrei di Cracovia che da lì partivano per i campi di concentramento. Il ghetto subì tre evacuazioni, la prima nel giugno 1942, la seconda nell’ottobre 1942 e la terza nel marzo 1943.
Cracovia, piazza Eroi del Ghetto. Foto Elisa Treppaoli
La storia si ripeteva sempre uguale. Le persone dichiarate non abili dovevano presentarsi in Piazza Zgody e lì aspettavano il loro destino con schiere di Gestapo ed SS pronte a picchiare od uccidere chi disubbidiva o solamente per il piacere di farlo. La maggior parte camminava a piedi verso la vicina stazione di Płaszów per poi prendere uno dei treni che li avrebbe portati ai campi di sterminio.
Nella liquidazione finale del ghetto morirono 1500 persone, le più indifese: anziani, malati, donne e bambini. A testimoniare questi fatti ci fu Tadeusz Pankiewicz, un farmacista polacco che lavorava proprio all’angolo di Piazza Zgody, oggi museo, e che nonostante le intimazioni dei nazisti rimase fino alla fine supportando gli ebrei come poteva. “Piazza Zgody sembra un campo di battaglia; migliaia di pacchi e di valigie sparpagliati, qua e là bambini che giocano sull’asfalto umido di sangue. I tedeschi li portano via in braccio. (…) A ognuno di questi trasferimenti fa seguito una salva di fucileria.” Le sedie sono 68, come i 68000 ebrei che vivevano a Cracovia nel 1939.
Cracovia, la farmacia di Tadeusz Pankiewicz. Foto Elisa Treppaoli
Lo sforzo della memoria
Che cosa resta degli ebrei oggi? Nel censimento polacco del 2011 circa 7300 persone hanno dichiarato di essere ebree, una percentuale esigua rispetto ai numeri pre-guerra. In un contesto di continuo movimento e modernizzazione, la comunità ebraica rimasta insieme ai polacchi si sta impegnando a preservare la memoria mettendo a disposizione dei visitatori spazi di condivisione in cui far conoscere la loro storia. Faccio il percorso all’indietro attraversando il ponte per tornare in centro. Ormai è sera e il sole sta tramontando illuminando le acque della Vistola. La mia testa è un turbinio di pensieri. Ma c’è una domanda che risuona più forte di tutto. È la stessa che mi tormenta da quando, bambina, appresi per la prima volta sui banchi di scuola che durante la Seconda Guerra Mondiale 6 milioni di ebrei erano morti uccisi, di stenti o nelle camere a gas. Perché?
Cracovia, il fiume Vistola. Foto Elisa Treppaoli
In copertina: Cracovia, un murales dell’artista italiano Blu in via Jozefinska. Foto di Elisa Treppaoli