L'incredibile storia di Monica Busetto e il libro che riapre il caso
Quando si scopre una falla, in questa nostra Repubblica, sarebbe buon dovere di ciascuno alzare la mano e segnalarla. Lorenzo Brusattin e Massimiliano Cortivo, con questo libro, hanno la mano alzata: hanno scoperto e ci stanno segnalando una voragine. E quella voragine ha inghiottito una donna. Nostro dovere, per questo 2022 sarà quello di aiutarli a tenere la mano alzata, fare tutto quello che si può per rivedere un processo che, dopo oltre 600 pagine di documenti, indigna e richiede tutta la nostra attenzione.
Un atto di giornalismo civile granitico e pesante, un libro che indignerà chiunque abbia la pazienza di leggerlo e appassionarsi al caso di Monica Busetto, operatrice sanitaria reclusa con la pena di 25 anni nel carcere femminile di Verona per un omicidio che continua a sostenere di non aver commesso. E non è difficile crederle dopo aver letto «Lo stato italiano contro Monica Busetto», il libro di quasi 700 pagine (acquistabile su Amazon), scritto dal docente di Statistica per l’investigazione Lorenzo Brusattin e dal giornalista Massimiliano Cortivo, che ne ricostruisce l’incredibile vicenda giudiziaria. Una ricostruzione certosina, ricca di verbali e documenti originali, che tiene inchiodato il lettore alle pagine, come il migliore dei gialli, trascinandolo in un vortice di emozioni, sviscerando tutte le implicazioni giuridiche, ma anche sociali, di questa intricata matassa.
Tutto parte dall’assassino di Lida Taffi Pamio il 20 dicembre del 2012 nella sua abitazione di via Vespucci, a Mestre. La scena del delitto non offre agli inquirenti elementi chiave per risolvere il giallo fino a quando, la foga del trovare un colpevole al delitto fa loro puntare l’attenzione contro la vicina dell’anziana assassinata, Monica Busetto. L’operatrice sanitaria, viene interrogata e intercettata più volte fino ad essere arrestata con l’accusa di omicidio che sarebbe stato causato da dissapori di pianerottolo. A casa dell’indagata viene sequestrata una catenina spezzata che, secondo gli inquirenti, potrebbe essere stata strappata alla vittima. La «prova regina» sulla quale si fonda tutto l’impianto accusatorio sarebbe costituita da un’infinitesima quantità di Dna della vittima, appena tre picogrammi, rinvenuta sulla maglia della catenina trovata in casa della Busetto. Ma la «prova regina» è in realtà molto dubbia: il primo esame condotto dall’Università di Padova non trova alcuna traccia di Dna; il secondo esame, condotto dalla polizia stessa, rileva flebilissime tracce. Secondo gli autori e numerosi esperti del settore, queste tracce sono compatibili con un suo «inquinamento» dovuto alla spedizione della catenina – rinvenuta, va sottolineato, a casa dell’arrestata – nella medesima busta contenente gli oggetti provenienti da casa della vittima. Allo stesso tempo gli inquirenti ignorano un’altra fondamentale traccia di sangue vicino all’interruttore che porterà, solo tre anni più tardi, all’entrata sulla scena dell’omicidio di Susanna Lazzarini, autrice di un altro delitto nel 2015.
Senza svelare tutti i colpi di scena di questo giallo, in cui la trama è il vero motore della lettura, ma che si alimentata anche con l’indignazione crescente al passare delle pagine, mi preme sottolineare come emerga chiaramente dai verbali e dalla ricostruzione il vero difetto di tutta l’inchiesta. Dall’interpretazione delle intercettazioni in dialetto della Busetto, a come vengono gestiti tutti gli interrogatori della assassina rea confessa, Susanna Lazzarini, tutto lo sforzo degli inquirenti è chiaramente volto a far combaciare l’ipotesi iniziale – il coinvolgimento sulla scena del delitto di Monica Busetto – con tutte le novità che si presenteranno da quel momento in poi. Nessun dubbio, nessuna capacità di ipotizzare uno sbaglio iniziale emerge dai verbali. Impensabile smentire il lavoro della scientifica, impensabile smentire il lavoro dei colleghi inquirenti. Quel che ne esce è il ritratto di un sistema giudiziario incapace di ammettere errori, di correggersi e più volto a dimostrare la bontà del proprio operato che alla ricerca della verità.
A rimaner schiacciata in questo meccanismo infernale c’è la vittima perfetta: donna sola, di poche risorse – economiche, ma anche relazionali e sociali – incapace di qualsiasi strategia e di reazione, non capace di suscitare grandi simpatie nel pubblico. Un sacrificio che si può mettere in conto: chi s’indignerà per una persona così? E invece la passione civile di Brusattin e Cortivo dissotterra un caso degno di campagne e mobilitazioni. «Per noi raccontare la storia di Monica è un dovere», dicono. E dovrebbe essere un dovere di tutti noi, dopo la lettura di questo libro, pretendere la revisione di questo processo a gran voce. Il ricorso degli avvocati alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo merita di essere accompagnata da tutta la nostra attenzione.
Luca Barbieri
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