Wuhan: un anno di pandemia raccontato da chi ci abita
Intervista ad Aldwin Lauron, insegnante filippino che da sei anni vive e lavora a Wuhan.
Sia lui che sua moglie insegnano alla “Wuhan International School”, un istituto comprensivo statunitense che accoglie studenti dalla materna alle superiori. I suoi tre figli frequentano la sezione secondaria della stessa scuola.
Come è stata la vita per te e la tua famiglia negli ultimi 12 mesi? Quali sono stati i momenti più difficili?
“Il 2020 è stato l’anno più difficile che abbiamo mai vissuto come famiglia a causa della quarantena e dell’impossibilità di poter andare dove volevamo. Nonostante ciò,’ questa esperienza ci ha reso più forti: abbiamo sviluppato un rapporto migliore con i nostri figli, più stretto grazie all’obbligo di passare tutto il tempo insieme”.
Ora la situazione del virus in Cina è sotto controllo? Anche a Wuhan si è tornati alla normalità?
“La situazione del virus è sotto controllo e tutto è tornato come prima. A Wuhan, tutte le scuole sono aperte da agosto e sia gli studenti che gli insegnanti frequentano in presenza. Non c’è alcuna didattica a distanza. I centri commerciali, mercati, parchi, ristoranti, teatri e cinema sono aperti e funzionano come prima della pandemia. Stessa cosa vale per aeroporti, treni, autobus e traghetti. Si vedono ancora persone girare con la mascherina ma non è più un obbligo se sei all’esterno. E’ ancora obbligatoria per salire sui trasporti pubblici o andare nei centri commerciali e continua la rilevazione della temperatura all’entrata delle scuole”.
La distribuzione gratuita dei beni di prima necessità durante il lockdown
Quando avete sentito parlare per la prima volta del Coronavirus e quali sono state le vostre prime reazioni?
“La prima volta che abbiamo sentito parlare di un virus che stava infettando la gente di Wuhan è stato da un amico cinese a metà dicembre del 2019. In quel momento non ci siamo preoccupati più di tanto perché ogni inverno a Wuhan salta fuori un virus influenzale che contagia la popolazione, quindi abbiamo pensato che fosse qualcosa di simile per cui sarebbe bastato riposo e, al massimo, un’aspirina. In verità, come sappiamo, il virus si è diffuso molto velocemente e la città stata immediatamente posta sotto quarantena per cercare di contenere il contagio”.
L’ingresso della casa di Aldwin Lauron durante il primo lockdown
Sui media si è parlato molto del primo lockdown di Wuhan, alle persone non era permesso uscire dalle abitazioni e il cibo veniva consegnato obbligatoriamente a domicilio. Erano restrizioni valide per tutti? Come stranieri residenti in Cina avete potuto godere di un trattamento diverso, “speciale”?
“Wuhan è una città prosperosa con una popolazione di 11 milioni di abitanti e in Cina rappresenta la sede principale dell’industria automobilistica e siderurgica. A causa del Covid, Wuhan è stata chiusa per 76 giorni a partire dal 23 gennaio 2020. In quel periodo tutto il trasporto pubblico e privato è rimasto fermo, inclusi treni, aerei e i traghetti che danno accesso alla città. La gente non poteva uscire dai propri appartamenti e le porte dei condomini e i cancelli dei cortili erano stati chiusi. Si potevano acquistare generi alimentari solo ed esclusivamente tramite siti internet o tramite negozi e corrieri locali autorizzati. Le famiglie con difficoltà economiche hanno ottenuto il sostegno del governo per il cibo, le mascherine, etc. Gli stranieri residenti a Wuhan hanno subito le stesse restrizioni dei cinesi; non hanno usufruito di un trattamento speciale. Al massimo abbiamo ricevuto un aiuto in più da parte del datore di lavoro che ci ha aiutato nell’orientarci meglio all’interno di queste restrizioni e per cercare di organizzare quelle mansioni che prima erano semplici, come, per esempio, fare la spesa”.
Postazioni di consegna dove ritirare cibo e provviste ordinate online nei mesi del primo lockdown
Come procede la campagna vaccinale iniziata a dicembre? Abitare a Wuhan significa essere vaccinati prima del resto della Cina?
“Per quanto riguarda la vaccinazione, hanno iniziato con le categorie più esposte, per esempio le persone che operano nel settore sanitario, aeroportuale, eccetera. Considerando che la Cina conta 1 miliardo e 400 milioni di persone, è ovvio che devono adottare una strategia complessa per poter vaccinare tutti. Per quanto riguarda la mia famiglia, stiamo aspettando di sapere quando sarà il nostro turno. Purtroppo sono ancora chiuse le frontiere con la Cina e da più di un anno non riesco ad andare a trovare i miei genitori nelle Filippine”.
Aba Pifferi