I disincantati

Massimiliano Boschi non è un giornalista comune. Estremamente “singolare”, sfugge praticamente a tutte le classificazioni che possono venirvi in mente: puntiglioso, ironico, testardo, abbastanza suscettibile, dissacrante, non ortodosso, mai accomodante. È quello che definireste un cane sciolto: non appartiene a nessuna chiesa e a nessun luogo. Un incorruttibile.  Te lo aspetteresti burbero, uno così. E invece è allo stesso tempo estremamente gentile, correttissimo, con un tocco emiliano di giovialità. Lo dico da «editore», ancor prima che da collega. Per tutti questi motivi è una di quelle persone che vale la pena conoscere, frequentare e mettere nelle condizioni di lavorare come vuole lui. Apre la mente (a volte in maniera urticante), aiuta a scovare e far entrare nel dibattito punti di vista diversi e altri.

Eppure, se anche è vero che Massimiliano Boschi non è un giornalista comune, sta riuscendo in un’impresa che con la dimensione comune ha ben a che fare: riassumere, raccontare, un’esperienza che comune (ma non comunitaria) lo è eccome, quella di chi sceglie l’Alto Adige / Südtirol come luogo in cui vivere. Se Lucio Giudiceandrea ben era riuscito a illuminare la realtà degli altoatesini di madre lingua italiana nel suo libro «Spaesati», altrettanto riesce Boschi per chi ha scelto questa terra come casa pur continuando a frequentare il mondo a ogni occasione. Un’opera d’indagine che Boschi conduce settimanalmente con la rubrica Alto Adige Doc e che ha ora gemmato due libri: il primo, omonimo alla rubrica, disponibile online gratuitamente sul sito di Alto Adige Innovazione; il secondo, appena uscito per Alphabeta, «La montagna disincantata».

Noi che abbiamo scelto l’Alto Adige per vivere, abbiamo vissuto fasi comuni: l’innamoramento; l’incanto; il disincanto. Non a caso il sottotitolo contrappone «mito e presente». Perché se è assolutamente vero che in Alto Adige si vive meglio che in ogni parte d’Italia, è anche vero che con il passare degli anni la patina dorata stesa dalla politica sulla realtà diventa sempre più insopportabile e lo sguardo inevitabilmente disincantato. Prima la rabbia di voler cambiare le cose, poi l’accettazione dell’ineludibile equilibrio tra etnie, tra passato e presente, opportunità e comodità: un’accettazione che non sopprime la voglia di evidenziare le contraddizioni, solo dilata il tempo dell’azione dalla politica al lavoro culturale.

Contraddizioni, si diceva. Al di là della cronaca legata alla gestione della pandemia, che sta mettendo in risalto tutta l’«insostenibile leggerezza» dell’autonomia, il viaggio di Boschi lungo i due assi cardinali, dal Brennero a Salorno, da San Candido a passo Resia, mette in evidenza tutti i brulicanti fenomeni della modernità che attraversano la montagna (dis)incantata: le migrazioni ignorate, il modello turistico mordi e fuggi, l’inattualità del modello proporzionale che regola la società altoatesina come se fossimo rimasti a quarant’anni fa, la vita da separati in casa di italiani e tedeschi con belle eccezioni che confermano la regola.

«Non sono nato qui, ho scelto di viverci e mi ci trovo benissimo, nonostante tutto quello che ho descritto nelle pagine precedenti – scrive Boschi -. Forse proprio per questo non è un territorio come gli altri, altrove non si discute continuamente della terra che si calpesta o della mentalità di chi la abita». Allo sguardo «foresto» e comunque grato dei disincantati, Boschi aggiunge lungo il viaggio quello di sua figlia Sofia: uno sguardo pulito, adolescente e apolitico, di chi sa valutare pro e contro della quotidianità, vivendo dall’interno una realtà che i nostri filtri aiutano a decifrare solo il modo sfocato. «A limitare il mio orizzonte non sono le montagne, ma la testa di certa gente», dice Sofia. Sotto la patina, in Alto Adige, le cose cambiano. Anche se qualcuno preferisce non accorgersene.

Luca Barbieri

di Luca Barbieri

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