La colonia dimenticata di Tianjin (Tientsin) in Cina – nona parte: spionaggio italiano
Mentre Riva fu pretestuosamente accusato di spionaggio e ucciso dai Comunisti, ci furono Italiani che invece nella Cina degli anni Trenta/Quaranta spiarono davvero. Qualcuno, come Bianca Tham, fu graziato da una condanna a morte e qualcuno scomparve senza che se ne sia più saputo nulla.
Spia si nasce o si diventa? Queste mie finestre sul passato italiano a Tien-tsin e in Cina non hanno la pretesa di contenere l’originalità di una scoperta inedita, quanto piuttosto si propongono di ripresentare situazioni da qualche tempo non più trattate, probabilmente indigeribili durante la Guerra Fredda, e di stimolare la curiosità e il dibattito in questo momento storico di ritorno della globalizzazione.
Certo James Bond come rappresentato nel film “Die Another Day” può sembrare affascinante per chi vive in un Paese da oltre sessant’anni sotto il colonialismo culturale statunitense. Non sono mai mancate invece figure molto più intriganti di James Bond, che erano cittadini Italiani, e non agivano per nessun’altra maestà che per se’ stessi. Vorrei ricordare qui due personaggi molto diversi che agirono in Cina in quegli anni agitati: Amleto Vespa e Nino Brondello.
Nella mitica Shanghai del 1939, le Concessioni Internazionali erano ancora libere pur se circondate dai Giapponesi, i quali, non avendo ancora dichiarato guerra agli Stati Uniti, avevano tuttavia infiltrato di spie tutta la vita mondana e sociale della metropoli, immersa in un’atmosfera a metà strada tra la fine del mondo e i balli sul Titanic. Gli Inglese, i Francesi e gli Americani a loro volta utilizzavano le concessioni di Shanghai come punto di osservazione privilegiato per capire e prevedere l’evoluzione degli eventi che poi sarebbero sfociati nell’attacco a sorpresa di Pearl Harbour. Una persona “normale” con lavoro a salario fisso, famiglia e ambizioni contenute non sarebbe sopravvissuta a lungo in un ambiente simile: Shanghai era un magnete che attirava i personaggi più eccentrici.
Ed è proprio qui che Nino Brondello arriva nei primi mesi del 1939 dopo aver combattuto in Abissinia. La polizia di Shanghai ha ancora nei suoi archivi un dossier su di lui come informatore di Wang Ching Wei, il “Quisling” cinese, e dei suoi padroni, gli occupanti giapponesi. Rivedremo Brondello in Italia nel 1942 sugli schermi di un film propagandistico intitolato “Un Pilota ritorna». Il film, diretto da Roberto Rossellini su soggetto di Vittorio Mussolini è la storia di un pilota italiano fatto prigioniero dagli Inglesi in Grecia che riesce poi a scappare e a tornare in Italia su un aereo inglese. Brondello sapeva guidare gli aeroplani, ed è anche in questa sua capacità, oltre che come spia, che offre i suoi servizi ai Giapponesi.
Amleto Vespa era nato a L’Aquila. Scappato in Messico dopo una colluttazione con un guardiacaccia in Abruzzo, aveva poi combattuto per Francesco Madero nella rivoluzione messicana del 1910. Ingegno acutissimo, apprese sia il Cinese sia il Giapponese e questo gli consentì, nel 1916, di entrare al servizio del “signore della guerra” Zhang Zuolin, allora Governatore della Manciuria. Tra i compiti assegnatigli c’era quello di cercare di eliminare un traffico di armi, che erano contrabbandate in Manciuria e che era assai imbarazzante per gli sforzi del Maresciallo di mantenere una parvenza d’ordine nei territori di sua giurisdizione.
Vespa scoprì che molti di quei fucili che entravano in Manciuria erano italiani, e che c’era collusione ad alto livello per consentire quel traffico che lui stava fermando con successo.
Vi sembra una storia nuova? Gabrielli, il Console d’Italia a Tientsin, fece arrestare e deportare Vespa verso Shanghai, dove una nave della Regia Marina lo avrebbe spedito in Italia e lui non avrebbe potuto intralciare gli affaristi mercanti d’armi. Vespa fu fortunato e riuscì a fuggire, decidendo in seguito di rinunciare alla sua cittadinanza italiana per non essere più soggetto alle autorità consolari italiane. L’archivio della concessione italiana di Tientsin, che ora è presso il Ministero degli Affari Esteri a Roma, contiene la corrispondenza varia in materia. Oltre al traffico di armi, anche Vespa ha combattuto contro la schiavitù bianca, un’attività che era cresciuta enormemente nella regione dopo l’arrivo di migliaia di rifugiati russi bianchi in fuga dai bolscevichi, la maggioranza dei quali non aveva risorse ed era quindi i in balia delle mafie locali. Così, molte ragazze russe, comprese le ragazze sotto i dodici anni, attirate da false promesse, finivano nei bordelli cinesi.
Nel 1928 una bomba uccise Zhang Zuolin sul treno su cui viaggiava. Appena instaurato il governo fantoccio del Manchukuo, con l’ex imperatore cinese Pu Yi a capo dai Giapponesi, il colonnello della polizia segreta nipponica Kenji Doihara minacciò di uccidere la moglie e il figlio di Vespa, se non avesse lavorato per i Giapponesi. Vespa accettò, e continuò facendo il doppio agente.
Vespa fu tra i primi testimoni oculari delle aberrazioni inflitte dall’esercito giapponese alla popolazione della Manciuria. L’occupazione doveva portare profitti, come in qualsiasi occupazione coloniale.
Qui i Giapponesi agivano senza le foglie di fico della “missione civilizzatrice” o della “conversione dei pagani” che avevano più o meno coperto le vere intenzioni del colonialismo europeo. In questo caso i cinesi e manciù avrebbero dovuto “pagare il conto.”
Avvenne in vari modi: attraverso monopoli, estorsioni, rapimenti e il sabotaggio sistematico della Ferrovia Orientale, gestita dai sovietici, a beneficio della società giapponese della Ferrovia della Manciuria meridionale. Tra i monopoli da organizzare una particolare attenzione sarà dedicata alla vendita di oppio, gioco d’azzardo e prostituzione.
Vespa doveva diventare capo di un “comando” e agire come un agente di coercizione e di intermediario per conto dei servizi segreti giapponesi. Bande di malviventi organizzate in stile mafioso sarebbero state utilizzate in vari modi, così, uno dei compiti di Vespa era di ostacolare il traffico Harbin-Vladivostok per costringere i sovietici a spedire le loro merci dalle linee controllate dai Giapponesi attraverso Dalian. Vennero anche organizzati rapimenti in serie, chiedendo riscatti con particolare attenzione ai 7.000 ebrei russi che vivevano in Manciuria. Furono organizzati falsi attacchi di teppisti contro le truppe giapponesi per dare il pretesto a spedizioni punitive che avrebbero cacciato gli abitanti locali e reso disponibile la terra per i coloni nipponici. In tutti questi piani sarebbero stati utilizzati di preferenza mercenari russi bianchi, insieme a “banditi” cinesi e manciù. La brutalità dei giapponesi non conosceva alcuna ragionevolezza. Rapivano anche i poveri, e se la loro comunità non pagava il riscatto, li uccidevano dopo settimane di detenzione e malnutrizione.
Nel 1936 Vespa ne ebbe abbastanza e riuscì a fuggire nella concessione internazionale a Shanghai. Qui denunciò il comportamento dei Giapponesi in Manciuria scrivendo il suo libro: “Secret Agent of Japan” , con una prefazione del corrispondente del Manchester Guardian H.J Timperly nel 1939, libro che fu subito un grosso successo editoriale.
Si dice che fu ucciso dai Giapponesi nelle Filippine nel 1945.
Molti Italiani che nacquero a Tien-Tsin, Shanghai o Pechino in quegli anni, o i loro figli, sopravvissero e non raccontarono mai le loro vicende, in un’Italia spesso piu’ interessata alle veline della televisione che a quelle parlamentari. Qualche tempo fa ho avuto la fortuna inaspettata di conoscere la nipote di uno statista importante, che fu console a Tien-Tsin. Vi racconterò cosa mi ha rivelato nella prossima puntata...
[CONTINUA – parte nona] di Giovanni LOMBARDO