Brescia-Marocco in camper con papà: Talien miglior film a WTFF3

Un road movie fra Brescia e Marocco che vede protagonisti il regista Elia Mouatamid e il padre, emigrato negli opulenti anni Ottanta dal Paese nordafricano alla pianura padana, dove ha fatto fortuna. È “Talien” il vincitore nella sezione lungometraggi della terza edizione di Working Title Film Festival, il festival del cinema del lavoro che a Vicenza ha chiuso il sipario il primo maggio 2018. Il documentario è prodotto dalla casa di produzione indipendente 5e6 ed ha ottenuto un riconoscimento all’ultimo Torino Film Festival.

La giuria, formata dalla regista Alexandra Kaufmann e dal docente di letteratura e cinema italiano alla Louisiana State University Paolo Chirumbolo, lo ha premiato «per aver saputo raccontare con commovente onestà la storia di una famiglia di immigrati, la storia dei loro successi e fallimenti, delle loro difficili relazioni familiari e del complesso quanto profondo rapporto tra padre e figlio; per aver riflettuto con semplicità e chiarezza formale su temi cruciali come l’immigrazione, il multiculturalismo, il rapporto con l’Italia e gli italiani, il problema del lavoro». Già, perché per Mouatamid, trentenne «padano generato da un marocchino» come si definisce con un sorriso lui stesso, il rapporto con il lavoro è assai più complicato di quanto fosse stato all’epoca per il padre. Nonostante l’accento del regista non nasconda una vita che fin dall’infanzia si è radicata in Lombardia.

TALIEN – Trailer – Italiano from 5e6 on Vimeo.

Due le menzioni speciali assegnate fra i lungometraggi. Una a “Il monte delle formiche” di Riccardo Palladino (Italia, 2017, 63′, prodotto da Cameramano, Minollo Film, Rai Cinema), documentario che prende le mosse dal singolare fenomeno che si ripete sull’Appennino bolognese ogni 8 settembre, quando sciami di formiche alata volano sulla vetta, si accoppiano in un volo cui segue la morte di tutti i maschi, che cadono esausti sul sagrato di una chiesa tuttora meta di pellegrinaggio. Le motivazioni: «Per avere offerto la possibilità di riflettere sull’umanità come costrutto e come società, ma anche sul contributo dato da ogni singolo individuo; per essere riuscito a combinare due punti che potrebbero sembrare in contrasto: l’umiltà come tema di fondo e l’aspirazione a una forma completa; per una dedizione al dettaglio che ci conduce all’ampiezza; per uno sguardo delicato, ed un sound design che non solo ci accompagna, ma ci introduce in un mondo nel quale le formiche diventano i narratori e noi siamo in ascolto».

Menzione speciale anche per “Saule Marceau” della regista francese Juliette Achard (Francia, Belgio, 2017, 34′, prodotto da Les Films de la caravane, in co-produzione con Cobra Films, CBA – Centre de l’audiovisuel à Bruxelles, LE FRESNOY – Studio national des arts contemporains) che segue la vita di Clement, fratello maggiore della regista, che ha lasciato Parigi per aprire un allevamento nella regione di Limousin, nella Francia centrale. «Per una coraggiosa scelta autoriale – scrive la giuria – che coniuga il linguaggio del documentario con uno stile che richiama il cinema western; per averci rimesso in contatto con la terra in un periodo storico in cui si sta perdendo il rapporto con la natura; per lo sguardo di una regista che ci porta all’interno del mondo di un fratello contadino il cui percorso solo apparentemente si differenzia da quello dell’autrice ma che si riconosce nella autenticità delle scelte».

La giuria della sezione cortometraggi, formata dai registi Silvia Jop e Corrado Ceron, ha assegnato il primo premio a “Awasarn Sound Man / Death of the Sound Man” del regista tailandese Sorayos Prapapan (Tailandia, 2017, 15′, prodotto da Minimal Animal), che (auto)ironizza su uno dei mestieri più importanti e allo stesso tempo meno riconosciuti del cinema, quello di fonico e di rumorista (foley artist), in un contesto come quello tailandese dove i cronici problemi di budget costringono a inventare originali soluzioni creative con esiti talvolta buffi. Le motivazioni: «Per la capacità di restituire un corpo visibile ad un mestiere invisibile attraverso l’articolazione di uno sguardo impeccabile e puntuale, mai didascalico e sempre ironico, capace di intrecciare tempi, attese, suoni, corpi e dialoghi in uno sguardo altrettanto puntuale e impeccabile».

Due le menzioni speciali assegnate anche fra i cortometraggi. La prima è andata a “Stakleni Horizont / The Glass Horizon” del tedesco Denis Pavlovic (Germania, 2017, 12′, prodotto da Christina Honig, Filmakedemie Baden-Württemberg) in cui Andrei, lavoratore di origine est europea impiegato in un mattatoio, vive un incubo ad occhi aperti quando il suo capo gli nega il dormitorio e lui è costretto a costruirsi un riparo in una foresta vicina. «Per l’originalità del soggetto e della sua messa in scena – scrive la giuria –. Il coraggio e la padronanza delle scelte di regia rendono quello che sarebbe potuto essere un lavoro classico e didascalico, un’esperienza surreale dai tratti lynchiani e noir che attraversa lo spettatore sempre più immerso, grazie al ritmo sostenuto di un montaggio ben riuscito, in una foresta claustrofobica e inquietante quale la condizione dei lavoratori di cui parla».

Menzione anche per “Oosteroever / East Shore” del regista belga Quinten Wyns (Belgio, 2017, 23′, prodotto da KASK), viaggio nel quartiere dei pescatori di Ostenda, destinato ad essere demolito per lasciar spazio ad appartamenti di lusso. Le motivazioni: «Per la capacità di mantenere ampio lo sguardo nella costruzione di una narrazione particolare. Oosteroever è una piccola perla grezza che dimostra come saper raccontare una storia non significhi semplicemente saper raccogliere un filo bensì raccontare un intreccio che tenga conto dell’insieme di tanti fili diversi».

La terza sezione del concorso è Extraworks, dedicata ai film sperimentali e alla videoarte. La premiazione è andata in scena sabato 28 aprile allo spazio Exworks di Vicenza, dove i giurati, i registi Raffaella Rivi e Guglielmo Trupia, hanno assegnato il premio del miglior film a “Mitarbeiter des Monats / Employee of the Month” della regista tedesca Caroline Schwarz (Germania, 2017, 11′, prodotto da Caroline Schwarz, Fuffi Fylms) in cui una giovane donna e un giovane uomo svolgono mansioni meccaniche alquanto inutili in una fabbrica di gomme da masticare, scambiandosi di volta in volta i ruoli di potere. Le motivazioni: «Per la capacità di analizzare con acume e intelligenza i meccanismi disciplinari del lavoro contemporaneo, smontando ironicamente le retoriche della formazione continua e della performance individuale».

La giuria di Extraworks ha assegnato una menzione speciale a “Home Exercises” della regista statunitense Sarah Friedland (Usa, 2017, 22′, prodotto da Rachel Balaban, Sarah Friedland, Gabe C. Elder) i cui protagonisti sono anziani che “lavorano” per mantenere il proprio corpo eseguendo esercizi quotidiani che assomigliano a una coreografia. Un ricoscimento al «coraggio di scardinare e reinventare un genere, il film di danza, e usarlo per analizzare in profondità le attività quotidiane di chi, per “lavoro”, può finalmente occuparsi di se stesso, del tempo e della propria salute».

Appena concluso, il festival già rilancia: la direttrice artistica Marina Resta ha annunciato un nuovo progetto che racconterà attraverso il cinema il quartiere dei Ferrovieri a Vicenza e il suo rapporto storicamente molto stretto con il lavoro. L’associazione Lies Laboratorio dell’inchiesta economica e sociale, promotrice del festival, organizzerà dall’autunno 2018 dei workshop e una rassegna cinematografica che coinvolgeranno giovani registi, cittadini e associazioni e sindacati che operano nel quartiere. Il progetto, denominato “Working Title Film Festival @ Ferrovieri”, è sostenuto da “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”, bando “Periferie urbane” (Edizione 2017), settore Cinema, promosso dalla SIAE e dal MiBACT.

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