Anfiteatro Marittimo Berico: se anche le "radici venete" sono di cartapesta
La bufala dell’Anfiteatro Marittimo Berico è una di quelle storie vere di provincia così incredibili da superare in fantasia la deformazione grottesca della realtà operata dalla commedia all’italiana. Protagonista indiscusso è Franco Malosso von Rosenfranz – il secondo cognome pare sia della madre o della ex moglie, uno dei tanti dettagli ancora non chiariti -, ricco eccentrico di Arcugnano, placido paese adagiato sui colli Berici, sopra Vicenza. Ha costruito dal nulla, e senza dirlo a nessuno, un teatro in stile greco antico nel parco della sua villa, lo ha inaugurato il 24 settembre 2016 spacciandolo per antica vestigia di una civiltà pre-romana – con tanto di riferimenti esoterici, templari e venetisti in pellegrinaggio –, fa pagare 40 euro il biglietto d’ingresso alla struttura, che ha un cartello di ingresso – che mima quello di una vera area archeologica – e un cartellone di eventi. Il tutto in barba a qualsiasi permesso edilizio, senza comunicare nulla al Comune – che dopo mesi ha intimato la sospensione dei lavori – né tanto meno alla Soprintendenza archeologica di Padova – la quale annuncia un sopralluogo.
I lavori andavano avanti almeno da due anni nel silenzio generale – come è evidente dalle foto satellitari di Google Earth che mostrano come le ruspe abbiano tagliato il bosco e spianato la collina, costruito i gradoni della cavea, larga oltre 26 metri alla base, e scavato un laghetto di 22 metri di diametro. E poi gazebo, muri in polistirolo, statue: l’ordinanza (qui in pdf) del Comune di Arcugnano che impone la sospensione dei lavori è l’anatomia dettagliata di quello che sembra un colossale abuso. Ci ha messo mesi, il Comune, a notificarla, perché facendo le verifiche del caso si è scoperto che la proprietà è di una società con sede nelle Isole Vergini Britanniche, noto paradiso fiscale, e la titolare è una russa residente a Milano, Olga Zaytseva.
Prima e dopo: dal 2010 al 2015, l’area dell’anfiteatro nelle immagini satellitari di Google Earth
La notizia è diventata di dominio pubblico quando lo pseudo-anfiteatro ha invitato la stampa a un evento dal titolo di forte richiamo, “Vicenza presto espulsa dall’Unesco”. L’Unesco ha per davvero aperto un’indagine sulla gestione del sito cittadino, dopo controversi progetti come la costruzione del maxi-complesso edilizio di Borgo Berga a due passi dalla palladiana villa Rotonda e i piani (poi in parte ritirati) per l’attraversamento della Tav. Ma il marchio dell’agenzia Onu sembra più che altro uno specchietto per allodole che von Rosenfranz usa per far parlare del fantomatico teatro. Il gioco funziona: la notizia è ripresa anche da testate nazionali come Lettera43, il vicesindaco e assessore alla cultura di Vicenza Jacopo Bulgarini d’Elci si scaglia contro la bufala definendola una «pagliacciata colossale», la stampa comincia a indagare e in breve in città non si parla d’altro. E si ride tanto: ecco i falsi eventi su Facebook all’anfiteatro, dal toga party di capodanno ai concerti punk.
L’attesa conferenza si tiene, giovedì 27 ottobre all’Hotel Villa Michelangelo di Arcugnano. Maurizio Tosi, archeologo emerito dell’Università di Bologna, tiene una lunga lezione sui siti Unesco dove in realtà, di Vicenza, parla due minuti in due ore di discorso. A rendere ancora più romanzesca la vicenda è il passato di Tosi, che nel suo curriculum ricco di scavi in Medio Oriente ha anche un’esperienza da spia per i servizi segreti del blocco sovietico, come ha raccontato a Le Monde (20 novembre 2013, qui il pdf). La conferenza, a cui assistono una cinquantina fra giornalisti e cittadini di Arcugnano, fra l’attonito e l’incuriosito, è l’occasione per von Rosenfranz di replicare alle accuse di essere, in sostanza, un cialtrone. Lui non si fa pregare e ovviamente non spiega nulla. Inanella invece una perla dopo l’altra: «Roma fu fondata da arcugnanesi», «Vicenza dai greci», e via vaneggiando. A chi lo fotografa, poi, risponde con le linguacce.
Fin qui, al netto di quello che appare un colossale abuso edilizio su cui toccherà alla procura di Vicenza fare chiarezza – rimasto per almeno un paio d’anni sotto silenzio, riparato dalle alte mura che cingono la villa di via Giardini 19 e forse anche dall’atteggiamento un po’ ipocrita di tanto Veneto profondo, dove il pettegolezzo fiorisce ma raramente evolve in denuncia civile – si potrebbe liquidare la bizzarra vicenda con una risata. Invece è un campanello d’allarme preoccupante per almeno due motivi. Il primo è quello di cui sopra: per anni questo signore ha fatto quel che gli pareva sul suo terreno senza che il controllo sociale da parte di vicini e politica locale avesse efficacia.
L’anfiteatro marittimo berico nelle immagini satellitari di Google Maps
Ma non bisogna nemmeno sottovalutare la mitologia sconnessa che tutto attorno von Rosenfranz e i suoi adepti – Rita Camporese sembra essere la sua biografa ufficiale, qui lo definisce «filantropo, compositore, direttore d’orchestra», qui dedica un saggio alle somiglianze con Mahler, mentre un blog anonimo ne raccoglie la fanta-biografia in tedesco – hanno costruito. Sembra uscita da un testo dadaista o surrealista, condito però con echi sinistri: un viaggio sul sito dell’Anfiteatro Porto degli Angeli (altro nome con cui la struttura viene definita) è un trip che parte da civiltà venete pre-greche per arrivare alle “divinità canine”, a Giulietta e Romeo e alla nobiltà veneziana dei Querini, passando per gli immancabili templari. È vera una cosa sola: un tempo la sottostante valle della Fontega era bagnata da un lago – oggi ristretto al più piccolo lago di Fimon –, da qui il nome “marittimo”.
Fra le tante mitologie di cartapesta troviamo anche fantomatiche ricerche di Franz Altheim, l’archeologo tedesco che aderì all’Ahnenerbe, l’associazione fondata da Heinrich Himmler che finanziava spedizioni mirate a scoprire le origini della “razza ariana”. Simbologie fasciste e pseudo carteggi fra Roma e Berlino nel Ventennio. L’operazione, per quanto evidentemente sgangherata, è già diventata un punto di riferimento per la galassia venetista: il 2 ottobre le gradinate posticce hanno ospitato un incontro intitolato “Il percorso di libertà del Popolo Veneto”. Organizzatore: il CLNV, Comitato Liberazione Nazionale Veneto.
L’ossessione per il passato, l’invenzione della tradizione necessaria per giustificare sogni (o incubi) secessionisti e società “pure”, sembrano emergere come il leitmotiv dell’intera faccenda, forse anche al di là della consapevolezza del “direttore d’orchestra” von Rosenfranz. Al centro della scena c’è l’identità irrisolta dei veneti, che oscillano fra le chiusure verso l’altro e l’esaltazione di una “storia” che si vorrebbe più nobile e gloriosa di quanto non sia stata e non sia. Che poi sono semplicemente i sintomi di un’insicurezza profonda e dell’incapacità di immaginare un futuro in positivo.
Giulio Todescan