Nessuna guerra, nessuna frontiera. Perché al Brennero si gioca la partita più importante
A pochi metri dal confine del Brennero, vicino al famigerato ceppo che divide Italia e Austria, c’è una fontana. Ho iniziato a scrivere bevendo quell’acqua, la borraccia ne è ancora colma. Eppure avvicinandomi per fare il pieno di acqua fresca proveniente direttamente dalle cime intorno, un migrante mi ha guardato con fare interrogativo: si può bere?
Oggi Brennero ospita l’edizione transfrontaliera di Refugees Welcome: musicisti, poeti e attori del Tirolo del Nord e del Sud riuniti in un prato esattamente al confine per dire il proprio no ai muri e alle barriere, sì all’accoglienza. Una festa campestre allegra attendendo un temporale che fortunatamente arriverà solo alle quattro del pomeriggio. Avete mai provato ad immaginare il Brennero in questi mesi? La prima sensazione è quella di una grande messinscena: decine di poliziotti e militari austriaci pronti ad intervenire, un container lungo la statale pronto ad essere usato, un posto di blocco mai attivato lungo l’autostrada. In mezzo nessun migrante che preme alla frontiera, nessuna emergenza da gestire, zero. Tranne i profughi afgani arrivati oggi da Innsbruck per questa manifestazione che più pacifica non si potrebbe, e noi, non c’è nessuno a premere. Le uniche transenne sono quelle che vengono messe a braccia per permettere ai bambini di giocare in tutta sicurezza. Anche l’Outlet, quello sì solitamente preso d’assalto, ma da turisti di passaggio, è più scarico del solito. I poster pubblicitari fanno da quinta dietro al palco. La platea, più fortunata, si adagia sulle pendici della montagna.
Oggi la scena deve essere ancora più surreale del solito. Merito nostro, diciamo, e di un raduno di moto storiche. Dietro al palco dove suonano le band, montato con lo spirito con cui potremmo montare il barbeque al campeggio, passano ragazzotti austriaci travestiti in ogni modo: con caschi vichingi, elmetti da seconda guerra mondiale, maschere e vestiti vintage. Una bandiera tirolese spunta da un cinquantino, s’incrocia con le scritte che danno il benvenuto ai rifugiati. Sfrecciano, si fa per dire, su vecchi motorini modificati. E non capisco se sono loro che salutano noi o noi che salutiamo loro. Non sappiamo chi è lo spettacolo di chi. Anche i poliziotti schierati per ore, con discrezione, lì vicino, fanno lo stesso effetto. Servono a dare un senso alla nostra presenza oggi, o il contrario?
Ci sono delle bandiere rosse a delimitare l’area, una grande bandiera della pace, e poi c’è l’arte. I versi di Manuel Lavoriero, 19enne, campione altoatesino di Poetry Slam 2016, che declama una sua variazione su Walt Whitman. C’è lo scrittore Daniel Graziadei, di Lagundo, che lavora all’Università di Monaco, da dove è arrivato appositamente (vedi i video delle due performance). Ha scritto tre componimenti in tedesco, inglese e italiano così tutti capiscono qualcosa e i più multilingue (indovinate chi?) capiscono tutto. C’è il fantastico gruppo teatrale Art-erie, di Innsbruck che in 20 minuti fa toccare con mano cosa portano dentro e sulla propria pelle i migranti. Il dolore, le urla, la passione. Si balla – anche a temporale scoppiato – con la Street Noise Orchestra di Innsbruck. E anche quando tutto è smontato ci si ferma per ascoltare Andrea Cavallaro, che è arrivato qui da Venezia e non lo mandiamo a casa senza imbracciare la chitarra sotto una tettoia.
E così, in questo luogo che per settimane è stato il campo di battaglia simbolico di un’emergenza che non c’era, oggi, nel giorno dopo la Brexit, in un ambiente che sembra il perno delle nostre contraddizioni, si prova a rovesciare il tavolo. Muro (inesistente) contro muro? No, abbracciando la consapevolezza che la dimensione simbolica è quella principale che sta giocando l’Europa che vuole chiudersi e provando a sovvertirla. Non sfondando blocchi, ma mostrando che non ci sono e non ci possono essere. Con più musica, più risate, più rilettura e ricostruzione del contesto. Quello che ci si fa raccontare ma non si costruisce più. Un situazionismo capace di fornire chiavi di lettura fuori dalla metafora della guerra e della barriera. Un atto eversivo, quello di uscire da una narrazione che non c’è. Avvertire un uomo di passaggio che l’acqua è potabile. Sapere che non è scontato che lo sia. Al Brennero è ancora possibile. O almeno oggi ci piace pensarlo.