Cartolina da Place de la République
A quasi un mese dalle stragi del 13 novembre Place de la République a Parigi è un mausoleo vivente a cielo aperto. Vivente perché dinamico, in continuo mutamento: con la cera dei lumini che cola sui messaggi, la pioggia che sbiadisce e trasforma, il traffico indifferente della vita che va avanti con il suo sottofondo assolutamente inadeguto alla scena, i volontari che tengono pulito e in ordine, leggibile. E poi centinaia di messaggi che di giorno in giorno si aggiungono dicendo molto più su chi è rimasto, che su chi ha lasciato questa terra. C’è anche quello, certo, ma la parte più interessante riguarda il tentativo di sfuggire e razionalizzare la paura espresso in ogni modo da parigini e turisti (ma poi, si può veramente pensare di essere turisti a Parigi senza diventare un po’ parigini, o essere nati a Parigi senza fare un po’ i turisti passeggiando per la capitale francese…?).
C’è chi invoca il proprio Dio, chi invoca l’umanesimo e la laicità, chi la libertà sessuale. Chi si fa portavoce di una nazione, di una comunità locale, di una fede religiosa. Chi scrive solo per dimostrarsi che esiste e farsi il selfie. Chi hastagga #prayforparis. I disegni dei bambini, pupazzetti e bandierine che entrano e modificano gli altorilievi che decorano il basamento della Marianna. Parigi è una processione di controlli inutili ai musei e ai luoghi pubblici (inutili perché non faranno la coda al metal detector), lo scenario surreale di una discussione sul clima che forse rimarrà solo una discussione. E poi c’è questo museo a cielo aperto, sulle paure dell’occidente, che un giorno qualcuno dovrà affrontare e districare. Prima che mangi se stesso.