In difesa del Museion (e degli addetti delle pulizie)
“Giacché nulla mai fu per l’uomo e la società umana più insopportabile della libertà”.
(F. Dostoevskij – I fratelli Karamazov)
Ora che il fiume di parole va calmandosi, varrebbe la pena ragionare sull’equivoco che ha spinto le donne delle pulizie a gettare nell’immondizia l’opera “Dove andiamo a ballare questa sera?” di Goldschmied & Chiari.
Da parte delle addette alla pulizie del Museo sul Talvera non vi è stato, infatti, nessun giudizio rispetto all’opera, perché se la stessa opera fosse stata ospitata all’interno di Museion non l’avrebbero nemmeno sfiorata. Sfortuna ha voluto che l’installazione fosse da pochi giorni ospitata nella casa atelier esterna a Museion, ovvero il piccolo edificio che sorge di fronte al bar.
Ripeto, di fronte al bar, proprio oltre lo spazio occupato dai tavolini all’aperto. Hanno, quindi, ripulito una sala piena di bottiglie, tra l’altro in gran parte proveniente proprio dal bar medesimo, che sorge vicino ad un esercizio commerciale che serve bevande ed alimenti.
Per essere chiari (in minuscolo), le lavoratrici non hanno valutato il valore dell’opera, ma il luogo che la ospitava e questo, ovviamente, fa passare al discorso di cosa sia arte oggi e del valore del contesto. Questione, però, su cui, si è già scritto fin troppo. (Chi non si accontenta del parere di Sgarbi o Della Ratta può leggersi questo)
Se è concessa un’opinione di chi non è un esperto, il museo d’arte contemporanea, qualunque museo d’arte contemporanea, svolge un ruolo essenziale, anche se forse sarebbe meglio ribattezzarlo “casa della cultura contemporanea”. (Questo, però, eviterebbe malintesi e polemiche su cui il mondo del “contemporaneo” campa alla grande).
I luoghi che ospitano l’arte contemporanea, dicevo, svolgono una funzione fondamentale perché sono uno dei rarissimi posti in cui chi entra è costretto ad alzare la sua soglia di attenzione, a valutare cosa gli viene propinato. Perché altrimenti rischia di sedersi su un’opera valutata migliaia di euro, perché rischia di passare dieci minuti fissando l’estintore di servizio, perché è costretto a interrogarsi sulla pianta che hanno messo proprio in quell’angolo.
Come “Blob”, che mischia materiale televisivo in maniera anomala, costringendoci a seguire e il punto di vista critico del montatore su quanto ci propina la televisione, così fa l’artista contemporaneo rispetto alla realtà che ci circonda. (Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia…).
Museion, il Mart, il Mambo etc, svolgono, quindi, una attività che supera il valore delle opere che ospitano spingendoci a valutare cosa ci viene propinato ma, nel farlo, attivano un percorso “pericoloso”. Perché se ci mettiamo a interrogarci anche fuori da quelle mura, finisce che ci chiediamo perché passiamo ore dentro un ufficio, una fabbrica o un negozio, per avere il denaro sufficiente a comprarci parodie di soddisfazioni personali: il telefono che non usiamo per telefonare, il prosciutto magro (è maiale santiddio), la mozzarellina insipida, la birra analcolica, la lunga automobile che non si sa dove parcheggiare, le scarpe che ci fanno zoppicare.
E’ ovvio che poi passa la voglia di finanziare, seppur indirettamente, chi intende smontare tutto questo. Molto meglio spendere i soldi in attività più rassicuranti. Meglio tornare al caro vecchio e classico museo, quello dove si fa la fila per vedere la Gioconda o la “Ragazza con l’orecchino di perla”, che conosciamo a memoria, ma che sono perfette per lo sfondo dei nostri selfie. Pseudo fotografie che che non sono altro che un timbro sul biglietto delle nostre vite in abbonamento.