Singapore, lo smog che uccide. Cronaca di un fumo quotidiano che viene dall'Indonesia
In settembre, durante un viaggio di lavoro in Italia come interprete alla fiera Vicenza Oro per un gioielliere asiatico, mi godevo l’aria fresca e il cielo blu dell’inizio dell’autunno veneto. In quegli stessi giorni i miei figli mi scrivevano continuamente da Singapore, su whatsapp:
– papà qui il fumo è terribile, ogni giorno va peggio-. Ho cercato di leggere notizie in proposito nella mia lingua, eppure sui giornali italiani non sono riuscito a trovare nessun commento su un fenomeno così macroscopico. Giornali britannici, ma anche spagnoli e francesi, oltre naturalmente a quelli del Sudest Asiatico, descrivevano, invece, nelle loro versioni online, tanti diversi aspetti di questa situazione davvero tragica.
Dopo 13 anni di assenza dall’Italia non potevo ricordare che un evento come la nuova edizione del “Grande fratello” meritasse ed avesse ricevuto ampia copertura, mentre una catastrofe ecologica come quella che mi riportavano i miei figli godeva del silenzio stampa.
Appena tornato a Singapore, ho potuto purtroppo constatare di persona di cosa si trattasse. L’aria puzzava di bruciato, in pochi minuti i miei occhi si sono messi a lacrimare ed avevo la gola irritata. Molta gente in aeroporto portava le maschere antipolvere. La visibilità in strada era notevolmente ridotta, tanto che in pieno pomeriggio sono tornato a casa guidando con i fari dell’auto accesi. L’applicazione sul mio iPhone mi diceva che il PSI era 224.
Cos’è il PSI, a Singapore? PSI significa “Pollutant Standards Index” cioè un indice della concentrazione di sostanze nocive nell’aria. Gli inquinanti presi in considerazione sono sei: l’anidride solforosa (SO2), le particelle PM10, le polveri sottili PM2.5, il biossido di azoto (NO2), il monossido di carbonio (CO) e l’ozono (O3). Le particelle PM10, di dimensioni pari o inferiori a 10 micrometri, sono molto dannose per la salute umana in quanto possono penetrare nei polmoni, entrare nella circolazione del sangue e provocare cardiopatie, tumori ai polmoni, casi d’asma e infezioni alle vie respiratorie inferiori. Naturalmente anche le polveri sottili PM2.5 rappresentano una grave minaccia per la salute. L’anidride solforosa, il biossido di azoto, ilo monossido di carbonio e l’ozono non hanno bisogno, credo, di presentazioni.
In questa poca visibilità, nell’aria irrespirabile, immagino, con inquietudine, l’indomani di una guerra nucleare. Deve essere, seppur lontanamente, simile a quello che sto vivendo adesso, solo che lo smog sarebbe radioattivo e le infrastrutture, distrutte.
Da dove viene tutto questo smog? Una volta che uno si pone questa domanda, apre un vaso di Pandora.
Geograficamente, il fumo proviene dall’Indonesia, principalmente da Sumatra. Lo smog che soffoca Singapore è apparso per la prima volta nell’Ottobre del 1972 (vedi foto in bianco e nero) ed è via via degenerato fino al punto da rendere necessario un accordo internazionale, in quanto vari Paesi del Sud Est Asiatico sono toccati da questo problema. Finalmente nel 2002 è stata creata la bozza per l’accordo ASEAN (Associazione dei Paesi del Sud Est Asiatico) sullo smog inquinante transfrontaliero (ASEAN Agreement on Transboundary Haze Pollution). Non ci sorprendiamo se a ratificarlo tra Febbraio e Settembre 2003 ci furono subito la Malesia, Singapore, il Brunei, la Birmania, il Vietnam e la Tailandia; il Laos lo ratificò nel 2005 e la Cambogia nel 2006, mentre le Filippine solo nel 2010 e la maggior responsabile di tutti questi problemi, l’Indonesia, solo a Gennaio di quest’anno 2015, più di dieci anni dopo la sua formulazione! In ogni caso lo stile di cooperazione ASEAN è ben diverso da quello dell’Unione Europea, ed infatti non si può parlare di vera e propria cooperazione. Ognuno tira acqua al suo mulino. Nel 2013 il danno economico fu stimato attorno ai 280 milioni di Euro. Gli sport club, le attività all’aperto, la ristorazione e molti altri settori subirono un arresto forzato o per lo meno un rallentamento importante. Nella vicina Malesia, la produzione agricola venne decimata a causa della minore esposizione alla luce solare delle piante commestibili causata dallo smog.
Domandiamoci ora perché l’Indonesia continui ad infliggere questo flagello ai suoi vicini Malesia, Brunei e Singapore, raggiungendo spesso anche la Tailandia del Sud e la Birmania.
La popolazione dell’Indonesia è raddoppiata in 50 anni fino a 260 milioni di persone. E come vive tutta questa gente? Che cosa mangia? Per la maggior parte si tratta di persone senza scolarizzazione e sotto il livello di povertà. In Indonesia l’élite politica totalmente irresponsabile in mano a poche famiglie non scoraggia l’aumento della popolazione, anzi, deride la pianificazione familiare come idea sacrilega e non islamica. Non c’è poi nulla di religioso in questo atteggiamento. La realtà è che l’avere tanti figli, preferibilmente maschi, è visto come una garanzia di sopravvivenza e di prosperità sia dalle autorità che dai loro elettori. Per i politici si tratta di una base elettorale in espansione, da blandire con promesse e da corrompere tramite l’elargizione di benefici che non costano nulla al politico di turno.
Un esempio di tale “generosità”? Prendiamo in considerazione il Parco Nazionale di Sumatra di “Bukit Barisan Selatan”, un luogo dichiarato di importanza mondiale dall’ UNESCO, dove si trovano poche decine di individui delle specie in via di estinzione del rinoceronte, della tigre e dell’elefante di Sumatra. In questo parco vivono illegalmente circa centomila persone che occupano, ed hanno distrutto, un buon 15% del parco. Il colpo iniziale è stato dato già dal 1977 quando il prezzo del caffè sui mercati mondiali è salito vertiginosamente. Molti giavanesi sono allora entrati abusivamente nel parco e lo hanno deforestato per piantare caffè. Sfortunatamente per l’ambiente, quando nel 1997-1998 i prezzi del caffè sono scesi di nuovo, rendendone la coltivazione poco redditizia in generale nel mondo, l’Indonesia invece ha avuto una svalutazione fortissima della sua valuta nazionale, la rupia, così che per un contadino indonesiano coltivare caffè, venduto contro dollari, continuava ad avere un senso e la deforestazione è quindi aumentata.
I politici non hanno mai autorizzato lo sfratto di questi occupanti abusivi, in quanto prima o poi l’aumento della popolazione porta alla creazione di nuove entità amministrative, che necessitano di nuovi politici a dirigerle.
Ad esempio in Ottobre 2012 il parlamento indonesiano ha creato la nuova provincia del “Kalimantan del Nord” nel Borneo, ed ha votato per quattro nuovi distretti: Pangandaran a Java occidentale, Costa Meridionale a Lampung, Sud Manokwari e Montagne Arfak a Papua Occidentale. La prole numerosa, in assenza di pensioni o di sicurezza sociale, è vista come l’unica assicurazione possibile per una vecchiaia sopportabile.
Due sono i livelli contemporanei della deforestazione. In una fase primaria ci sono dei gangster locali, conosciuti come “preman”, che hanno capitale per acquistare bulldozer e seghe e che organizzano gli immigrati da altre parti dell’Indonesia a lavorare per loro. Questi tagliano gli alberi dividendoli in due categorie: alberi di qualità come teak, mogano, ebano destinati all’industria del mobile di lusso, o altri sempre pregaiti destinati alla cantieristica, ed in una seconda categoria, alberi da trasformare in carta. Questa carta, eventualmente, finisce in Paesi lontanissimi dall’Indonesia. Ad esempio, chi di voi, mangiando un hamburger da McDonald in Europa, si è chiesto da dove venisse quel simpatico contenitore di cartoncino in cui venivano messe le patatine? O la scatola per l’hamburger stesso? Asia Pulp & Paper (APP) è la ditta con la maggior responsabilità per la distruzione della foresta pluviale indonesiana, e tra i suoi prodotti troviamo anche gli imballaggi usati da McDonald.
Il secondo livello di deforestazione è lasciare la terra ormai nuda di alberi in mano a questi contadini i quali appiccano il fuoco a tutta la vegetazione che non ha trovato un uso utile per fare carta o legno per mobili e cantieristica.
La foresta pluviale cresce spesso su torbiere relativamente profonde, createsi in secoli di accumulazione di materiale organico. Normalmente queste torbiere fungono da riserva idrica per la stagione secca, perché assorbono moltissima acqua, creando un ecosistema unico che dà rifugio a parecchie specie vegetali e animali. Purtroppo la recrudescenza del fenomeno metereologico conosciuto come El Niño ha fatto sì che la stagione arida si protraesse e che le torbiere, sottoposte all’alta temperatura causata dagli incendi, dopo essersi velocemente essiccate prendessero fuoco a loro volta, immettendo nell’aria tutti quegli elementi nocivi che abbiamo descritto in precedenza. Le torbiere bruciano lentamente e inesorabilmente, ed è difficilissimo spegnerle con l’azione umana. Soltanto le piogge monsoniche, correntemente assenti a causa del Niño, potrebbero estinguere questi incendi.
Sopra: i frutti della palma da olio
Data l’entità della devastazione, e il possibile lungo protrarsi dei suoi effetti dannosi, uno si chiederebbe perché nessuno abbia ancora fermato questo flagello. Adesso non è più il caffè il principale responsabile della deforestazione. La palma da olio è oggi la specie che tende a sostituire la foresta dopo che questa è stata distrutta. L’industria dell’olio di palma ha un valore netto di oltre 40 miliardi di Euro. Come potete immaginare, questo fatturato assai redditizio non ha esattamente incentivato scelte particolarmente responsabili ed etiche. I frutti della palma, molto facilmente deperibili, dopo il raccolto vengono sterilizzati tramite il vapore, in seguito vengono snocciolati, cotti, pressati e filtrati. L’olio che se ne ricava è di colore rossastro per via dell’alto contenuto di beta-carotene, solido a temperatura ambiente e ha un caratteristico odore di violetta; il sapore è dolciastro. Dopo un ulteriore processo di raffinazione può assumere un colore bianco giallino (la bollitura in pochi minuti distrugge i carotenoidi e gli antiossidanti, mentre permangono i grassi saturi). L’olio di palma è economico e incredibilmente versatile: oltre 50 milioni di tonnellate di olio di palma vengono prodotti ogni anno ed usate come olio alimentare, per farne margarina e come ingrediente di molti cibi lavorati, specie nell’industria alimentare. Altri prodotti che usano l’olio di palma sono i saponi, il dentifricio, il rossetto, alcuni cosmetici. Alcuni scrissero che anche la Nutella usa l’olio di palma. È uno dei pochi oli vegetali con un contenuto relativamente alto di grassi saturi (come anche l’olio di cocco) e quindi semi-solido a temperatura ambiente. Se voi leggete la descrizione degli ingredienti di molti prodotti alimentari troverete spesso la dicitura “oli vegetali” che spesso si riferisce esattamente all’olio di palma.
Non sorprende quindi che gli agricoltori indonesiani cerchino in ogni modo di rendere possibile una produzione ad alta resa olio di palma per le grandi aziende multinazionali. Il colono di Giava, questo attore manovrato da colossi economici, è di solito un uomo senza alcuna scolarizzazione, se non magari quella delle medrese islamiche finanziate dagli Wahabi sauditi. É uno che non sa come mettere insieme il pranzo con la cena, quindi sicuramente non una persona con un orizzonte intellettuale profondo ed esteso. Vivendo alla giornata, è certamente consapevole che sta facendo qualcosa di illegale, ma la cultura della legalità non è sicuramente un lascito del dominio coloniale olandese, o della cultura prevalente indigena di sopraffazione feudale. E non è consapevole delle conseguenze delle sue azioni distruttive. Secondo il WWF, un’area di foresta equivalente alle dimensioni di 300 campi di calcio viene cancellata ogni ora per far posto a piantagioni di palme da olio.
Veniamo ad alcune delle conseguenze note, ma non dichiarate abbastanza.
- Il fumo uccide le api. Senza api, moltissime specie vegetali non riescono ad impollinarsi, quindi vari prodotti agricoli spariscono. Le ricerche fatte dopo le maggiori crisi ambientali hanno mostrato come le api ritornino in genere in un ambiente che era stato affumicato in media quattro anni dopo la fine del problema.
- Gli uccelli migratori che scappano dalla Cina, dalla Corea e dal Giappone per evitare l’inverno e nutrirsi di insetti o di piante in Malesia si trovano disorientati ed affamati, morendo a migliaia, oppure, nella ricerca di una salvezza, perdendo il senso dell’orientamento per tornare a nord dopo alcuni mesi.
- I ben noti orangutan, tipici del Borneo, non trovano più quella varietà di piante che costituisce il loro ristorante e la loro farmacia, e muoiono di fame e stress nello spazio sottratto alla foresta per impiantarci la monocoltura della palma.
In un bizzarro miscuglio di insofferenza per le critiche rivolte all’Indonesia da Singapore, e di stupidità, il vice presidente indonesiano Jusuf Kalla quest’anno ha detto che non è il caso di fare tanto chiasso per un po’ di fumo. Singapore dovrebbe invece essere grata all’Indonesia per 11 mesi all’anno di aria pulita dalle sue foreste equatoriali. Tra l’altro, ha obiettato Kalla, e non del tutto a torto, non sono indonesiane le imprese che bruciano e sfruttano, ed i capitali sono spesso a Singapore. Il “Rainforest Action network” ha accusato la ditta statunitense Cargill, che opera diverse piantagioni, di operare al di fuori della legge indonesiana e di contribuire all’emergenza ecologica.
E la Cargill apparentemente è in una joint venture con Temasek holdings, fondo sovrano del governo di Singapore nella società CTP Holdings.
Se fosse vero, le parole di Kalla sembrerebbero avere senso. Da quest’anno, in ogni caso, Singapore ha provato la mossa dell’attacco economico, identificando ad esempio i prodotti del colosso Asia Pulp & Paper (APP) e non comprandoli più, e multando le ditte registrate a Singapore che si sono dimostrate coinvolte e colpevoli dello smog. Questo è stato finalmente possibile grazie alla ratifica da parte dell’Indonesia all’inizio di quest’anno dell’ ASEAN Agreement on Transboundary Haze Pollution.
Singapore può infatti legalmente imporre una multa di circa 70.000 dollari al giorno a qualsiasi società locale o straniera che contribuisca all’inquinamento con lo smog. L’importo massimo di tale multa potrebbe arrivare fino a un milione e mezzo di dollari. Visto che le banche in cui quei soldi sono depositati si trovano qui a Singapore, applicare la pena non è difficile. Il problema foschia è durato “troppo a lungo”, ha dichiarato il ministro di Singapore per l’ambiente e le risorse idriche Vivian Balakrishnan. “Questa non è una catastrofe naturale. Lo smog è un problema artificiale che non dovrebbe essere tollerato. Ha causato grande impatto sulla salute, la società e l’economia della nostra regione “.
È strana l’informazione italiana (o la sua mancanza). Leggo che l’olio di palma sarebbe contenuto anche nella Nutella. E chi si va a privare della Nutella per quattro scimmie ed un italiano che si lamenta? In fondo in fondo, chi se ne frega?
Giovanni Lombardo