Grozny, la voce del NordEst che racconta la guerra: «Il giornalismo italiano è in coma»
E’ il 13 agosto, Ivan “Grozny” Compasso è appena tornato dal “Kurdistan siriano liberato dall’Isis” e il suo reportage da una guerra che si combatte su vari fronti, campeggia in bella vista su due pagine di “Repubblica” e sull’home page del sito dello stesso giornale. La video-chiamata lo mostra decisamente soddisfatto e ne ha tutti i motivi. Nelle sue condizioni, molti altri se la tirerebbero, lui, se la gode. Delle giornate precedenti non gli manca l’adrenalina da inviato, ma la compagnia: quella di uomini e donne con cui ha condiviso sogni, speranze e paure. Sentimenti che valgono un po’ più di un post su un social network. Quello che Compasso ha osservato e raccontato nell’ultimo anno dalle zone di guerra lo potete trovare qui e qui, e nel libro “Kobane dentro” uscito pochi mesi fa. Ma l’intervista parte da lui, dalla sua biografia.
Ivan, come è finito in Kurdistan un trentino trapiantato a Padova?
“Sono nato e cresciuto a Trento, ma sono sempre stato appassionato di politica estera e affascinato dai giornalisti che erano nei posti in cui succedevano le cose. Italo Moretti, solo per fare un esempio, era uno dei miei preferiti. Poi la guerra è scoppiata in un posto vicino a casa, nella ex Jugoslavia e sono andato a vedere di persona cosa succedeva. Successivamente, mi sono trasferito a Padova per studiare Scienze Politiche, lì ho iniziato a collaborare con Radio Sherwood e ho incominciato a viaggiare: Palestina, Marocco, Siria…. L’ esperienza al G8 di Genova mi ha mostrato come fosse possibile comunicare con il mondo anche con pochi mezzi. Anche nel recente viaggio a a Hassake ho girato con una Gopro e un I-phone, non mi serve molto altro”.
Come si racconta una guerra contro “Il male”. L’Isis (Daesh) è una specie di “orco”, di “uomo nero”, come si evitano i luoghi comuni in un contesto simile?
“Raccontare una guerra dai luoghi in cui la si combatte significa diventare attori della vicenda. Si dice che non si prende una posizione, ma non è mai così, si finisce per sposare una causa. Io ho sposato quella dei curdi dello Ypg/Ypj dove ho trovato rispetto per tutti al di là della nazionalità e dove la cultura ha un valore fondamentale. Le persone che ho incontrato rappresentano un mondo che mi piace, io vivrei con loro. Poi è vero, la realtà è complicata e anche le parole “popolo curdo” sono una semplificazione, viste le numerose fazioni in lotta, ma i mostri sono mostri, non dimentichiamo che l’Isis tiene schiave le donne e i bambini. Andrebbe capito chi lo finanzia e per quale motivo è stato a lungo sottostimato, mentre ora è sopravvalutato: non riusciranno mai a controllare un territorio ampio come quello a cui aspirano. Tanto che hanno capito che un video può avere effetti maggiori della conquista di una città”.
A proposito di contesto mediatico. Un’opinione sul giornalismo italiano?
“Non mi piace parlare degli altri, mi piace parlare dei fatti che ho visto di persona. Preferisco, quindi, parlare della mia esperienza. La mia passione per il giornalismo credo sia nata quando ho visto dalle finestre delle “Torri” di Trento la dinamica di un incidente. Il giorno dopo ho letto cosa avevano scritto i giornali e mi sono accorto che non c’era corrispondenza con la realtà. Da lì in poi ho deciso che avrei verificato di persona e che avrei dovuto approfondire i fatti. Detto questo, credo che il giornalismo italiano sia in uno stato di coma, spero reversibile. Penso sia troppo attento alla spettacolarizzazione della notizia”.
Un’ultima inevitabile domanda, visto il contesto. Cos’è il Nord-est per Ivan Compasso?
“Un posto che non è poi così male. Per me il campetto delle Torri di Madonna Bianca è ancora il posto più bello del mondo. Mi dispiace che dal nordest emergano così spesso delle storie negative perché ce ne sono anche di molto belle. Il razzismo c’è e mi fa inorridire, ma chi è nato nel nordest è stato fortunato”.
Massimiliano Boschi