“Porteremo piazza Tahrir nelle fabbriche” (in diretta dal festival di Internazionale)

Hossam El HamalawySegnatevi questo nome: Hossam El Hamalawy. Blogger  di Arabawy*, oggi è stato premiato con il premio Anna Politkovskvaja al Festival di Internazionale a Ferrara. Ma non è questo il motivo per il quale prenderne nota. E’ quello che dice, e che oggi ha strappato applausi al cinema Apollo nel dibattito “Egitto, rivoluzione atto primo” che bisogna ascoltare con attenzione. Hossam è un militante politico di sinistra. Ed è deciso di boicottare le prossime elezioni.

Ma non c’è un rischio “aventino”? gli ha domandato Ugo Tramballi de Il Sole24ore. “Le elezioni non sono il problema. Noi che facciamo parte della sinistra egiziana stiamo mantenendo alta la tensione e l’ottimismo. Non condividiamo la depressione che sta coinvolgendo molti protagonisti della rivoluzione. Perché la rivoluzione non si misura dalle persone in piazza Tahrir. E’ vero che dopo la cacciata di Mubarak piazza Tahrir non si più riempita. Ma il lavoro non è finito: abbiamo mille Mubarak nella società egiziana, dobbiamo portare piazza Tahrir nelle fabbriche e nelle istituzioni con nuovi scioperi. Quello che ha fatto cadere Mubarak non è stata la piazza sono stati gli scioperi di massa. Ci sono esempi straordinari di democrazia dal basso in questo mese: un ospedale intero ad esempio ha scioperato per cacciare il direttore e poi, quando questo se n’è andato, ha eletto al suo posto un medico interno”.

Democrazia dal basso, ma non saranno solo gelsomini. Anzi. Perché in Egitto, sostiene Hossam, non è ancora cambiato nulla. “Pensare che la rivoluzione possa essere pacifica è un’illusione. Il 18 maggio abbiamo fermato l’esercito facendo irruzione nei commissariati, non con i gelsomini. I generali dell’esercito non li cacceremo con i fiori. Mi aspetto un gran caos in futuro. Ci vorranno 4 o 5 anni ma sarà una rivoluzione. Solo dopo potremo sederci attorno a un tavolo e scrivere una nuova costituzione“.

Da sinistra: Hossam El Hamalawy, Issandr el Amrani, Sarah el Sirgany, Ahmed Nagi, Ugo Tramballi (foto Luca Barbieri)

A discutere con lui, con posizioni diverse e sostanzialmente più moderate, pur condividendo la lettura di fondo, altri tre giornalisti. Giovani, preparati, seri. Sono convinti che non ci si possa aspettare troppo dal voto di novembre. Issandr el Amrani, The Arabist, conferma la criticità del momento: “La situazione è un casino totale, perché la situazione è stata gestita malissimo. C’è una nuova crisi politica montante e una crisi di fiducia. Si parla di elezioni e legge elettorale. Ma c’è un altro tema di cui bisognerebbe parlare: la riforma dei servizi di sicurezza. I militari si comportano come quando c’era Mubarak. Hanno perso credibilità, i militari non hanno molto capitale ancora da spendere”.

Fratelli mussulmani, servizi segreti, Israele, Arabia Saudita ed economia nel caos. Le incognite in campo sono troppe. Tutti però tendono a smitizzare il pericolo “islamista”. Sara El Sirgany, giornalista e blogger, si trova a dibattere del fantasma islamista anche da donna. “E’ impossibile che gli islamisti prendano il potere. L’Egitto non è conservatore come si crede. Ci sono molti fattori sociali che vengono sottovalutati nel parlare dell’islam politico”. Ahmed Nagi, giornalista e scrittore egiziano ora vive in Germania: “Gli islamisti non sono islamisti. Sono fascisti. Ma l’esasperazione che avete in Occidente per il pericolo islamico è esagerata”. “Nelle elezioni universitarie – sottolinea sempre Hossam El Hamalawy – i Fratelli Mussulmani hanno preso solo il 19% dei voti. E ora i leader stanno facendo troppi compromessi con le gerarchie militari. E’ un elemento che pagheranno”.

Il problema ora e ancora, confermano tutti, sono i militari. Una presenza troppo opprimente per poter parlare veramente di democrazia.

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