Oslo, anteprima della Norvegia
Se arrivate a Oslo con la navetta dell’aeroporto, la capitale si mostrerà a voi orgogliosa nella nuova schiera di nuovi palazzi, blocchi di vetro e cemento, affacciati sull’oceano e circondati dalle gru. Sono alti una ventina di piani, ma in un paese di case e basse palazzine, è facile ottenere l’effetto Manhattan. Il centro è a pochi passi, con la lunga via rettilinea, in lieve pendenza, che porta al Palazzo Reale. Il Parlamento si affaccia su una grande piazza, abbellita da fontane e aiuole curatissime. Il municipio, ironicamente soprannominato Geitost dai norvegesi per la somiglianza delle sue due torri con il formaggio locale, divide la piazza con il Palazzo dei Nobel. Poco più in là l’Opera House discende candida in una morbida scalinata sull’Oceano. Tutto è più grande, rispetto alle altre città norvegesi, ma è comunque piccolo, rispetto alle capitali europee. Ho visitato Oslo in occasione del 17 mai, quest’anno ricorreva un anniversario molto speciale: il bicentenario della Costituzione. Le vie rivelavano la popolazione eterogenea della capitale: i ricchi norvegesi del centro, i rifugiati politici, gli immigrati arrivati da poco con il sogno di una nuova vita, gli studenti Erasmus, i cugini svedesi che hanno scelto lo stipendio in corone norvegesi. Moltissimi non solo tra i norvegesi, ma anche tra le seconde generazioni immigrate , indossavano il vestito tipico. Le salopette rosse dei Russ erano l’unico tratto omogeneo in un arcobaleno di colori creato dai Bunad delle varie regioni, dai costumi dei sami e dagli abiti eleganti indossati da chi ha scelto di vestire “moderno”. La spontanea routine del 17 mai è una coreografia di parate mattutine costituite dalla gente e pranzo per la strada con pølse og is ( hot dog e gelato, non mescolati, chiaramente). Le famiglie riprendono la strada di casa nel pomeriggio, mentre i ragazzi, invogliati dalla bella giornata di sole di quest’anno, hanno scelto di continuare la festa nei parchi, con grigliate di pølse (di nuovo) e birra a volontà. I grandi prati di Vigeland sono invasi da comitive festanti, alcuni improvvisano un concerto sul ponte, intorno a loro le grandi statue raccontano nella nuda semplicità dei loro corpi, le stagioni e le emozioni della vita.
Nel punto più alto, si erige la colonna creata dall’abbraccio in granito di tanti corpi nudi. La pietra è scolpita in tratti semplici, tanto da sembrare abbozzati, ma riesce a trasmettere le universali sensazioni che ciascuno prova nella vita e l’effetto del tempo sui corpi e sulle emozioni scolpite nei volti. Vigeland è forse uno dei luoghi di Oslo che più divide: c’è chi lo ritiene un capolavoro e chi non riesce ad andare oltre la nudità dei corpi e la semplicità dei tratti.
Spostarsi a Oslo è molto semplice. La metropolitana consente di muoversi rapidamente nel centro e raggiungere i sobborghi. Il cemento dura poco. Bastano tre fermate per uscire dal tunnel sotterraneo e percorrere la linea esterna. I 600.000 abitanti di Oslo, tanti per un paese di 5 milioni, si dispongono lungo la costa, tra le montagne e il morbido panorama collinare circostante la città. In meno di mezz’ora è possibile passare dalla trafficata piazza della stazione, alle piste da sci, raggiungibili con la metropolitana. Strano ma vero.
“Oslo non è la Norvegia” mi aveva detto una collega a Bergen, la vecchia capitale norvegese. Ciò che ho visto mi ha in parte convinta della sua opinione. Oslo è diversa dalle altre città per una serie di motivi, ma non trovo corretto dire che non è Norvegia.
La capitale è un’evoluzione del paese, un’anteprima di quello che potrebbe essere il futuro norvegese. E’ più moderna, più caotica (per i canoni norvegesi), più multietnica nei suoi quartieri, più ricca, in certi aspetti più snob, in altri più curiosa e aperta verso il mondo. Passeggiando per le vie del Folkemuseum, il grande parco a pochi minuti dal centro che raccoglie la ricostruzione delle case tipiche delle regioni norvegesi, ritrovo la rassicurante storia di un paese rimasto umile e contadino per molto tempo. Le case di Oslo erano ancora, negli anni sessanta, piccole strutture di legno a un piano, composte da due stanze scaldate da una grande stufa di rame. Il petrolio ha accelerato il progresso, spinto il paese più in là di quanto potesse immaginare. In questo balzo improvviso, però, i norvegesi hanno portato con sé la memoria e la consapevolezza orgogliosa del proprio passato, unendola alla positiva curiosità per il domani. In questo equilibrio, non sempre semplice, si cela la chiave del futuro Norvegese.
Camilla Bonetti