Rivoluzione, anno zero: attorno all'Armata dei sonnanbuli
Teste che rotolano, sangue che scorre, passioni che dominano la storia. Più di 222 anni dopo, la Rivoluzione che a Parigi costò la testa a Luigi Capeto esce dalla polvere dei sussidiari e torna a parlare al presente. A cavallo delle elezioni europee, nei giorni in cui qualcuno si fa bello a chiamarsi cittadino ed evoca rivoluzioni digitali, L’Armata dei sonnambuli (Einaudi, 21 euro), l’ultimo romanzo di Wu Ming ci ricorda che la Rivoluzione è una cosa seria. E, se non ce ne fossimo accorti, è cosa seria anche la reazione.
Questo libro di 792 pagine (numero casuale?), ultimo (forse in senso assoluto) romanzo storico del collettivo di scrittori bolognesi, va letto e riletto; bisogna girarci intorno; infilarsi nelle botole che nasconde e passare continuamente dal passato al presente; assaggiarne le frasi; farsi trascinare da una trama che fino all’ultima pagina riserva colpi di scena uno dopo l’altro attraverso una macchina narrativa diabolica e inarrestabile. E decidere da che parte stare sì: che la Rivoluzione, soprattutto se fatta in nome dell’eguaglianza tra gli uomini, difficilmente lascia vie di mezzo.
Qualcuno ha già parlato di romanzo totale. “Sicuramente – ci ha detto Roberto, Wu Ming 1, durante la presentazione alla Bookique di Trento – non credo che saremmo in grado di portare oltre la forma del romanzo storico”. D’altra parte questa non è una rivoluzione qualunque: questa è la rivoluzione delle rivoluzioni, è l’Anno Zero del concetto di sinistra.”La Rivoluzione francese è il fiume nel quale nuotiamo da 200 anni – spiega Roberto -. Ogni epoca rilegge a seconda dei propri equilibri quell’evento: da Napoleone in avanti ogni momento storico ha bisogno di controntarsi con la rivoluzione francese”. E anche per i Wu Ming è stato così.
Per affrontare questo Moloch i quattro del collettivo hanno evitato l’approccio frontale, cercando “punti d’entrata sghembi”: le storie personali che compongono il fiume dal basso che anima la sete di giustizia e la fame di cibo; le rivoluzioni parallele che caratterizzano l’epoca, quella del teatro goldoniano, quella femminile, quella del mesmerismo. Un intreccio esplosivo dall’atmosfera cupa. Con la sinistra che si viviseziona fino all’atomo, rimanendo inerme e indifesa a sé stessa e alla reazione, e Madama Ghigliottina che fa saltare teste ad ogni soffio di vento. E’ la Rivoluzione vista dal basso, dai suoi veri protagonisti – non i Robespierre – e sa riconoscere a pelle da che parte stare.
Questa non è una recensione. Non ne sarei in grado, non ho la lucidità per riprendermi da queste ottocento pagine, né possiedo le competenze letterarie. Da giornalista appassionato quel che vorrei offrire è una serie di spunti, appunti e impressioni frutto della lettura del romanzo e di una chiacchierata pubblica con Wu Ming 1. Scritti evitando riferimenti alla trama, per non rovinare nulla. Punti di entrata sghembi a un romanzo che entra a gamba tesa sull’oggi.
La struttura de l’Armata dei sonnanbuli
Cinque atti, di cui il quinto sovverte completamente le regole precedentemente adottate proiettando il lettore in un’altra dimensione, e la suddivisione degli atti in scene. L’Armata dei sonnambuli assume la struttura di una commedia goldoniana (a lungo citato), un racconto a più voci, quelle dei i protagonisti del romanzo: Leonida Modonesi, ovvero Scaramouche, attore eroe mascherato dei sanculotti; Marie Noziére, la sarta fulcro e intreccio di tutte le storie del romanzo; Laplace, il lato oscuro della forza. Anzi la contro-forza, la reazione alla forza; D’Amblanc, il mesmerista buono; la vox plebis sanculotta, che tutto osserva e tutto spiega.
La lingua de l’Armata dei sonnambuli
Una delle dimensioni più interessanti è quella della reinvenzione della lingua. I Wu Ming fanno un certosino lavoro di ricostruzione della lingua sanculotta, bestemmie comprese: una vox plebis corale che si basa sullo studio del giornale radicale Le Pére Duchesne e che in italiano usa come collante delle astruse e fantasiose parole che la compongono il bolognese e il ferrarese. Per rendere l’Occitano dell’Alvernia l’italiano dei Wu Ming invece si avvicina al Piemontese. Una sorta di alleanza tra dialetti gallo-italici insomma. C’è poi l’utilizzo politico della lingua: chi non pronuncia (anzi p’onuncia) più la R della rivoluzione e chi la maRca pRopRio per sottolineaRe la sua fede RivoluzionaRia. Per il povero traduttore che dovrà curare la versione francese saranno cazzi.
Mitomania da Armata dei sonnambuli
Se amate Wu Ming ne uscirete malati. Su Twitter abbondano lettori che si ritraggono con la maschera di Scaramouche, che scrivono parole come “gecchi”, “aristocchi”, “muschiatini” per rivolgersi al presente, chi produce finte locandine di film famosi con i protagonisti de l’Armata dei sonnambuli come divi (il set di Mariano Tomatis è in vendita alle presentazioni). Dal libro al web, dalle cartoline agli origami delle maschere di Scaramuche: la storia diventa prodotto transmediale, oggetto vivente che rilegge il passato e irrompe nel presente. Libri che escono dalla carta. Ce ne fossero.
Il teatro e l’Armata dei sonnambuli
Il reazionario Laplace prova a leggere la Rivoluzione come una grande rappresentazione teatrale e mettendola in scena, in un ospedale psichiatrico, tenta di anticiparne gli esiti
I parigini erano sempre interessati al teratro, ma il teatro era divenuto grande quanto Parigi […] Gli spettacoli più emozionanti erano quelli dove la gente perdeva la testa per davvero: i canoni tuonavano e poteva capitare, da un momento all’altro, che gli spettatori si trovassero a recitare
E’ solo un accenno. Ci sono registi che tentano di indirizzare la storia e attori che la sovvertono. E’ una delle dimensioni più permeanti del libro.
Passato e presente in L’Armata dei sonnambuli
Perché non abbiamo mai sentito la Rivoluzione francese così vicina? Semplice: perché l’Armata dei Sonnambuli è costellata di citazioni e riferimenti al presente: da De’ André allo stesso Grillo. Frasi e concetti del presente catapultati negli anni della Rivoluzione. C’è chi ha nostalgia degli anni Ottanta, c’è chi parla di Ordine Nuovo, ci sono fascismo e nazismo.Indovinate cosa-dove? Impossibile, l’allegoria è aperta, e cambierà con il tempo. C’è la preghiera delle Guardie di Ferro di Codreanu negli anni Trenta: anacronismi che portano ad altre epoche ad altri momenti. Su Giap vengono chiamate Botole. Questo è un libro che parlerà a lungo.
Ne è valsa la pena?
Per menti labili come la mia uscire dalla lettura di questo libro invocando il ritorno di Robespierre e Saint-Just, ben sapendo che la mia sarebbe una delle prime teste a rotolare, è praticamente un automatismo. Sarà anche stato un carnaio, ci sarà anche stato il Terrore, ma alla domanda fatale “Ne è valsa la pena?”. La vox plebis risponde
Troverai sempre qualcheduno che dice di no, si tratti del senno di poscia (troppo facile) o del senno dei servi (più facile ancora). Fosse per quelli così, non si farebbe mai una sega. Noi abbiamo provato a costruire la torre, ricordi? La torre che permettesse di sguardare il mondo, e i tiranni del mondo cadere dabbasso. Per questo si è voluto bene a Robespierre e Saint-Just, anche quando stavano sul cazzo. Persino quando ribollivano come la zuppa di latte, e minacciavano di spiaccarci la zucca, persino quando dicevano che noialtri non eravamo noi ma foresti venuti da fuori a sobillare noi stessi, persino quando sviavano in galera qualcheduno di sbagliato, si può dire che noi, popolo sanculotto, gli si è voluto bene. Delle volte è in modo strano che si ama.
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Comeché la vuoi mettere e comeché l’abbiamo messa e la metteranno, alla fine la verità è una sola: ne avevamo tagliate troppo poche
Dopo l’Armata dei Sonnambuli, il futuro di Wu Ming
“Entriamo in una fase strana dove spiazzeremo molto – ci ha raccontato Wu Ming 1 -. Stiamo scrivendo un libro per bambini; stiamo scrivendo un libro corto sulla prima Guerra mondiale; io dopo Point Lenana ho cominciato a lavorare a un libro sui No Tav della Val di Susa, cercare di capire perché proprio lì si è potuto produrre un fenomeno del genere. Oltre a questo la prossima mega opera non sarà un romanzo storico: stiamo ragionando da tempo su una figura, quella di Peter Kolosimo, autore di libri di ufologia, di fanta-archeologia, però comunista sfegatato, marxista-leninista ortodossom esploratore del fantastico. Morto nel 1984 negli anni Settanta vendeva migliaia di libri: nato a Bolzano aveva studiato a Lipsia, aveva disertato dalla Wermacht e poi si era unito alla Resistenza in Boemia. Diventato corrispondente per l’Unità dalla DDR aveva seguito il programma spaziale sovietico. E’ stato uno dei primi a dire che la nostra civiltà ha origini aliene ma sempre rimanendo comunista. Ci sembra uno snodo di immaginario molto interessante”.
Il futuro (o il passato) è già qui. Wu Ming ora è anche un gruppo punk-rock: Wu Ming Contingent. Ho ascoltato Bioscop, il disco, dopo la lettura dell’Armata dei Sonnanbuli. E vedi cosa mi ritrovo a canticchiare ora…
Luca Barbieri
Su Wu Ming leggi anche: Point Lenana, le vette della razza; Timira, profughi a casa nostra