8 marzo tra le donne del carcere femminile di Kathmandu
Ci sono posti in cui la verità non puoi vederla attraverso le fotografie, ci sono posti in cui la gente è chiusa a chiave, posti che non puoi visitare liberamente e che spesso dimentichiamo. Ci sono angoli della terra in cui qualcuno non ha la forza di farsi sentire, qualcuno viene schiacciato e strizzato come una spugna. Questi tuguri, sparsi in tutto il mondo che si ergono davanti ad occhi chiusi, che urlano ad orecchie sorde, sono le carceri.
Mi trovo a Kathmandù per assistere a un progetto all’interno del carcere femminile della capitale nepalese. Dopo due giorni di burocrazie e permessi speciali, dopo le varie perquisizioni e trafile all’ingresso riesco ad entrare all’interno dell’ala femminile. Gli sguardi di queste 325 ragazze sono tutti rivolti ai visitatori, alieni venuti dallo spazio, mi chiedo da quanto non vedano stranieri avventurarsi in quest’ angolo così nascosto del mondo. Sono tutte nel cortile centrale, indaffarate, c’è chi srotola fili di cotone per farne candele, chi lavora all’uncinetto, chi lava i vestiti e chi i capelli. Questa piccola comunità tutta al femminile sembrerebbe anche umanamente accettabile se non fosse circondata da mura alte dieci metri, filo spinato e secondini con gli anfibi e il mitra sotto il braccio.
Attraverso le varie aree, insieme ai ragazzi di “Associazione Asoka” e “Solidarietà in Cammino”, due associazioni Onlus di Ledro (Trento) e Brescia che sostengono un progetto all’interno del carcere. Siamo concentrati sulle varie attività quando inizio ad accorgermi dei bambini in carcere, sono circa dodici, ma vederli all’interno di queste mura fa venire un brivido gelato lungo la schiena. Come si può crescere in un posto così? Che visione avranno del mondo questi bambini? E quando usciranno cosa ne sarà di loro? Sono milioni le domande che appaiono nella mente quando un bimbo di due anni ti stringe la mano e ti sorride in mezzo al degrado più totale.
Continua la visita e la domanda che fa gelare il sangue è “Ma quali reati hanno commesso queste donne?”. La risposta è secca, scontata e, per il direttore, quasi normale: “Droga“. Ci spiega che spesso a queste donne vengono affidati i pacchi da trasportare, spesso ignare della merce che trasportano, spesso pagate meno di un dollaro per la consegna, spesso vengono ritrovate in casa con la droga del marito; a queste donne le pene inflitte vanno dai dieci fino ai diciassette anni. Poi continua a spiegarci il direttore che alcune sono dentro perchè hanno ucciso o tentato di uccidere il marito, spesso ubriacone molto più spesso violento o violentatore.
In questo 8 marzo dedicato alla donna credo che una dedica debba essere fatta a queste donne, nascoste, dimenticate.
In questo 8 marzo diamo voce a queste donne, deboli, violentate, spesso incolpevolmente private di uno dei più grandi diritti, la libertà.
In questo 8 marzo diamo voce ai loro figli, con loro doppiamente vittime in questo gioco sadico.
A tutte le donne, tanti auguri per la vostra giornata e non dimenticate queste donne, almeno voi non fatelo.
Nicolò Bortoletto
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