Viaggio nel ventre del Nuovo Corviale

“A Corviale però nun ce vai da solo!” mi ha detto Manuele.  E non c’ha pensato due volte, ha chiamato il segretario della sezione del PD di Corviale e gli ha spiegato la situazione. Così sono tornato dopo tanti anni a Roma, scavando nei ricordi e ritrovando poco o nulla. Tutto è cambiato, tutto è assolutamente svanito, persone e ricordi. Da lungotevere mi butto sulla Portuense e la percorro tutta, interminabile sequenza di palazzi, una specie di gigantesco archivio in cui ad ogni indirizzo corrisponde una vita, o più di una, milioni di informazioni, fatti, sguardi, emozioni che si rincorrono.

Ad un certo punto svolto a destra, faccio un centinaio di metri e mentre il navigatore mi  dice che sono quasi arrivato, la strada comincia a salire dolcemente. Ci sono tanti alberi, quasi una barriera di verde. “Il Mostro”, come lo ha chiamato qualche giornale, compare in tutta la sua solennità poco dopo.  “Il Nuovo Corviale“, il famigerato palazzone lungo un po’ più di un chilometro. In realtà i palazzi sono due, che si fronteggiano per nove piani di altezza (stecche), uno in fronte all’altro, con all’interno ballatoi lunghissimi, cortili e spazi comuni, più un altro edificio lineare, piccolo e che orizzontalmente si unisce al primo edificio tramite un ponte.

Se ne sta in cima alla collina, grigiastro, solitario, un mostro stanco, animato “solo” dai  suoi duemilaottocento appartamenti più quattrocento “occupati”, per un totale di sedicimila abitanti. Una cittadella, non un condominio. Abitata quasi dal doppio della popolazione di Anzio in inverno.La mia guardia del corpo mi aspetta davanti alla sede del Centro Civico, il punto più “istituzionale” della zona. E’ un uomo piccolo di statura ma solido nelle sue convinzioni e radicato nel territorio.

Cominciamo a passeggiare e Roberto cerca di farmi capire subito che sui “casini” di un posto così le speculazioni sono tante, sopratutto dei “fascisti”. Ma esistono ancora, gli chiedo io, oppure rappresentano solo un paravento, una scusa per nascondere i propri errori o l’impossibilità di realizzare progetti? Sorride e scuote la testa. Poi comincia a raccontarmi cos’è il Nuovo Corviale, e sembra di leggere wikipedia.

Al Nuovo Corviale siamo nel XV° Municipio di Roma Capitale. Si estende sul suburbio Gianicolense, ed è abitato da una popolazione di oltre 16.000 persone. Un unico respiro, un paese coatto in un unico immenso edificio costruito lungo la via Portuense. Nelle intenzioni originarie doveva essere il primo quartiere satellite o città satellite in grado di offrire ai suoi abitanti tutti i servizi necessari, e  si ispirava alle soluzioni residenziali del primo razionalismo con chiari riferimenti  alle Unités d’Habitation di Le Corbusier, di cui un esempio si trova a Marsiglia.

E’  stato progettato agli inizi degli anni 70 da un gruppo  di architetti: Federico Gorio, Piero Maria Lugli, Giulio Sterbini, e Michele Valori, coordinati da Mario Fiorentino. Doveva rappresentare una risposta abitativa alternativa a quella che aveva guidato lo sviluppo della capitale dagli anni della ricostruzione, affidato per lo più ai cosiddetti “palazzinari” e che si era concretizzato nella realizzazione di grossi quartieri privi di servizi e soprannominati “quartieri dormitorio” dove la gente appunto si ritrovava la sera solo per trascorrere la notte.

Nuovo Corviale doveva appunto essere alternativo in quanto pensato per contenere al suo interno tutto, palestre, negozi, servizi ed abitazioni naturalmente, 1200 appartamenti, una città. In realtà Nuovo Corviale non è mai stato completato totalmente. Un sacco di errori di progettazione accompagnati dalle consuete ruberie. Le prime abitazioni furono consegnate nell’ottobre 1982, ma già qualche mese dopo avvennero le prime occupazioni abusive delle abitazioni da parte di settecento famiglie.

Mi spiega che tante cose sono state dette su Corviale ma molte sono false, inventate ad arte per poter abbattere questo complesso edilizio e per poter aggiudicare i terreni ad una nuova lottizzazione di lusso, tutt’altra destinazione, per fare di questa collinetta una zona residenziale di prestigio. Ma il mostro resiste, nella sua pancia si muovono energie inconsuete e spesso inattese.

E allora mi porta da Tommaso, il suo amico Tommaso, perché vuole farmele vedere dentro queste case quanto sono belle. Tommaso ci accoglie insieme a sua moglie Maria che però non vuole essere fotografata, ma è tanto orgogliosa della sua casa. Mi spiegano che loro fanno parte di quel nucleo storico di occupanti, mi raccontano i sacrifici, le notti insonni a vegliiare, a fare la guardia per paura che arrivassero “le madame”, la polizia, a cacciarli. E invece non è mai arrivato nessuno, e lei ha potuto riempire questa casa di ninnoli, nastrini colorati, una quantità enorme di ricordi colorati, quasi da bambina e che per lei hanno un valore enorme.

Poi mi porta nella zona delle “botteghe”, una serie di spazi e locali che sono stati dati in concessione ad artigiani espropriati dal centro storico. E anche qui prevale l’umanità, la voglia di poter dire qualcosa, di esprimere il proprio disagio, o la propria arte semplicemente.

Si è fatta sera, le ombre si allungano su questa giornata di assoluta meravigliia e stupore. Roberto deve andare, ma me lo dice con la grazia di chi ha cercato di capire lo stupore e ha provato a darmi un punto di vista diverso. Lo ringrazio, e devo far passare del tempo per mettere ordine, per ordinare i colori, gli odori ed anche i rumori del ventre profondo del “Mostro”. Anche al tramonto lo spettacolo è affascinante, sembra che non voglia lasciarti andare, che ti voglia inglobare. Bisogna resistere, resistere, resistere.

Sergio Vollono

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Roma, piazza Vittorio

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