I migranti invisibili: dal Sahara al Nord Africa

In un cantiere stradale sulla costa tra Annaba ed El Kala, da dietro una ruspa spunta un volto scuro. E’ di un nero che brilla al sole, risalta tra le pelli chiare dei colleghi algerini. Quest’operaio forse arriva dal Mali o dal Niger, Paesi dai quali il flusso migratorio verso la costa sud del Mediterraneo è altissimo. E’ giunto qua per lavorare e c’è riuscito, come accade al settanta per cento delle decine di migliaia di stranieri che ogni anno varcano illegalmente i confini per entrare in Algeria: sette su dieci si stabilizzano e ottengono un permesso di soggiorno, raccontano le statistiche prodotte dalla polizia locale.

Tra il 2006 e il 2009, le espulsioni di clandestini sono state 29.463: per fare un confonto, nel 2009 (dati della Caritas) l’Italia ha mandato via 14.256 migranti privi di visto.
Cifre simili, incredibili per chi vede superficialmente il Nord Africa come una terra da cui la gente vuol solo scappare per “invadere” e “contaminare” l’Italia: situazioni complesse e sconosciute al Governo e ai legislatori italiani, incapaci di leggere il fenomeno.

Numeri tuttavia indispensabili per capire che a spingere una migrazione ve n’è sempre un’altra, fatta di persone in questo caso assai più povere e disperate dei disoccupati che lasciano l’Algeria, la Tunisia o il Marocco in cerca di un impiego in Europa.

Gli stessi Stati da cui migliaia di cittadini vanno via sono la meta sognata da altri migranti che, sempre secondo la polizia algerina, giungono da ben 48 paesi diversi: per lo più africani, anche se non mancano nemmeno cinesi, afghani e pakistani, con una quota di asiatici sempre più ampia. Anche qui, come in Italia, l’approccio al problema sta diventando sempre più poliziesco. Secondo quanto dichiarato alla stampa locale dal comandante della polizia giudiziaria della Gendarmeria nazionale, colonnello Abdessalem Zeghida, i migranti subsahariani “sono una vera minaccia. Si insediano in Algeria attratti dalla ricchezza del nostro Paese, e commettono crimini, spesso legati al traffico della droga”. Una lettura superficiale, che come in Europa non riesce ad andare oltre la scorza del problema, aggravata dal fatto che sui giornali e nei blog spuntano sempre più i dibattiti dedicati alla “difesa dell’identità nazionale dagli stranieri”.
Anche in Marocco il flusso in ingresso è così forte che tra molti abitanti è nato e si è sviluppato un senso di ripulsa e disprezzo verso la gente dell’Africa Subsahariana. Intolleranza, diffidenza, legate spesso al fatto che l’immigrato irregolare non parla l’Arabo e resta quindi ai margini della società. Ma mentre l’Algeria è una destinazione per i clandestini, grazie agli impieghi legati al gas, al petrolio, al boom dei lavori pubblici e ad una fiorente agricoltura, il Marocco invece, dove l’economia è più stagnante, è per il 65 per cento degli stranieri (dati del Centro di studi e ricerche demografiche di Rabat) una tappa del viaggio verso la Spagna o la Francia.

I rapporti tra i due vicini non sono facili, anche a causa dei migranti. E quando il flusso cresce, l’Algeria chiude le frontiere, accusando il Marocco di lasciar passare senza controlli i clandestini pur di sbarazzarsene. Ad aggravare le tensioni tra le diplomazie c’è il fatto che ormai da anni l’Algeria ospita 165 mila rifugiati del Sahara Occidentale, un territorio che reclama la propria indipendenza ma che è invece occupato dalle truppe marocchine.
Quanto alla Libia, è impossibile avere cifre attendibili: tuttavia la forte presenza di immigrati africani impiegati come mercenari o mano d’opera a infimo costo è stata drammaticamente rivelata dalla guerra in corso.
Fra i tre Paesi, l’Algeria è certamente il più prospero. Così accoglie disperati, ma allo stesso tempo vede partire molti suoi giovani: secondo le stime della Gendarmeria, l’ottanta per cento degli harraga (gli algerini che migrano verso Spagna, Francia e Italia) è composto da disoccupati, mentre il 53 per cento ha meno di ventisei anni. Per comprendere ancora meglio, bisogna considerare che lo stipendio di un insegnante non raggiunge (al cambio) i 200 euro: ed anche se la vita costa meno che in Italia, la cifra resta insufficiente persino in Algeria, dove si conferma un fenomeno ormai ben noto all’Europa: lo sviluppo economico fa salire i prezzi ma non le retribuzioni. E’ facile dunque comprendere come la crescita produttiva anche in Nord Africa lascia dietro di sé troppe persone che non riescono a tenere il passo della competizione: aumentano gli impieghi mal pagati, precari e con pochi diritti, capaci tuttavia di attirare gli stranieri del Subsahara, mentre si riducono i posti di lavoro a condizioni eque e soddisfacenti e i giovani, magari con titolo di studio in tasca, sono costretti ad andare via.

Marco Mostallino

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