Una nuova porte d'ingresso per l'ospedale di Yrol, Sud Sudan
Si chiama OPD (Out Patient Department) il nuovo padiglione di 250 mq che Medici con l’Africa Cuamm ha inaugurato il 3 settembre a Yirol, una delle zone più povere del neonato Sud Sudan, grazie a un finanziamento della Diocesi di Vicenza. La struttura è la parte più ampia dell’ospedale e offre un servizio di Pronto soccorso con annessa astanteria di 10 letti e diversi ambulatori per le visite dei pazienti esterni. In questo modo, Medici con l’Africa Cuamm potrà garantire una media di 3.000 visite ambulatoriali al mese a una popolazione di oltre 280.000 persone.
«Appena arrivato l’ospedale di Yirol si presentava con 5 graziosi edifici nascosti al pubblico da un “ingresso” fatiscente: l’OPD – spiega il dott. Enzo Pisani, capo progetto di Medici con l’Africa Cuamm -. Ora l’abbiamo sistemato e la porta d’entrata in questo luogo di sofferenza e contraddizioni senza fine è ristrutturata, come il resto dell’ospedale o quasi. La gente lo apprezza e sta correndo in massa. Ma la struttura è grande e quindi abbiamo deciso di dedicarne metà agli ambulatori esterni e l’altra metà a una nuova scommessa: l’apertura di un Pronto Soccorso con astanteria di 10 letti, dove i malati gravi possano essere trattati in fretta, in uno spazio decente e poi clinicamente compensati prima di entrare in reparto dove trovare un letto libero è molto più faticoso che stendere la propria stuoia per terra e dormire sotto le stelle. Funzionerà? E chi lo sa! È tutto così incerto in questo paese appena nato, ripudiato dal ventre che lo ha partorito e assediato da sogni irrealizzabili».
La festa per l’inaugurazione ha visto la partecipazione di un gran numero di autorità locali; con loro anche molta gente accorsa per vivere questo momento importante per la comunità. L’ospedale di Yirol, ristrutturato dal Cuamm, è stato inaugurato nel 2008 dal vescovo Cesare Mazzolari, morto lo scorso luglio, in Sud Sudan.
«Non c’era don Cesare Mazzolari a inaugurarlo – riprende Pisani -, ma non se ne è accorto nessuno, perché è come se ci fosse stato. Lui c’è sempre in tutte le cose che cercano di dare un briciolo di speranza ai suoi Dinka (la popolazione locale). Don Cesare non appartiene solo alla storia del Sud Sudan, appartiene anche alla sua geografia; lui è parte di questa terra e lo sarà per anni o decenni. A noi sopravvissuti il compito di non dimenticare la storia e di rispettarne la natura».
Fonte: http://www.cuamm.org