In partenza per il Giappone: il terremoto di Sendai visto dall’Italia
Sono ormai arrivata al giro di boa. Sono passati poco più di tre mesi da quando sono partita e ne mancano altrettanti per il ritorno in Italia. Che strana sensazione. Essere qui è l’occasione che ho tanto cercato e desiderato, e sono già a metà della mia avventura. In questi giorni ho ripensato più volte al periodo immediatamente precedente alla mia partenza. Il mio Giappone infatti si è fatto attendere un bel po’ e forse vale la pena di raccontare il perché.
Innanzitutto l’ottenimento del visto per studiare o lavorare in Giappone non è uno scherzo (o almeno non lo è stato per me). Per avere il visto è necessario un certificato che deve essere richiesto direttamente dal datore di lavoro in Giappone alle autorità dell’immigrazione e i tempi necessari al rilascio sono piuttosto lunghi. Ho dovuto presentare una gran quantità di documenti, anche tradotti dall’italiano al giapponese, che hanno comportato una lunga serie di e-mail con il mio responsabile qui (il quale per fortuna mi ha aiutato molto). Solo una volta ottenuta questa certificazione dal Giappone ho potuto prendere appuntamento al Consolato di Milano per avere il visto.
Quando finalmente arrivò questo tanto ambito “Certificato di Eleggibilità” davvero non ci credevo. Non mi pareva vero di poterlo tenere in mano. Rappresentava la concretizzazione di mesi di lavoro e di speranze. Era il 10 Marzo 2011. Ironia della sorte, la mattina seguente tutti i giornali riportavano la notizia del grande terremoto nella regione del Tōhoku, del conseguente tsunami e dei problemi alla centrale nucleare di Fukushima.
Quello di Sendai è stato il più potente sisma mai misurato in Giappone (il quarto di tutti i tempi) e ha causato più di 15.000 morti. Lo tsunami generato dal sisma aveva onde che hanno raggiunto una velocità di circa 750 km/h. L’onda più alta abbattutasi sulle coste giapponesi ha raggiunto un’altezza di oltre 40 metri. Lo tsunami ha travolto edifici, strade, treni, spazzando via intere aree abitate. In seguito al sisma l’asse terrestre è stato spostato di oltre 10 centimetri e le coste del paese sono state traslate di circa 4 metri verso est. Sembra inoltre che lo tsunami abbia causato il distacco di due grossi iceberg dall’Antartide per una perdita complessiva di 125 Km2 di ghiaccio. Nonostante il Giappone sia notoriamente una zona sismica e sia forse il paese più preparato a tali calamità naturali, questo è stato certamente un disastro senza precedenti.
Quella mattina il mio telefono non faceva che squillare. Amici e conoscenti mi chiedevano se avevo ancora intenzione di partire (o si preoccupavano che non fossi già partita) quando io ancora stavo cercando di capire cosa fosse successo di preciso e che conseguenze ci fossero stare in particolare a Yonago.
Il lunedì successivo mi recai comunque al Consolato di Milano, dove avevo preso appuntamento per il visto. Nei pochi minuti che ho trascorso lì (la mattina, per consegnare il passaporto e poi il pomeriggio per ritirarlo), ho visto entrare diverse persone per chiedere informazioni su come far pervenire un’offerta alle popolazioni colpite dal sisma, per lasciare un fiore, per cercare di contattare conoscenti residenti in Giappone al fine di offrire loro ospitalità qui in Italia, o semplicemente per esprimere la loro solidarietà.
Il visto mi è stato comunque rilasciato senza alcun problema. L’impiegata italiana allo sportello non ha fatto una piega nel riconsegnarmi il passaporto. Mi ricordò semplicemente che il visto aveva una durata di tre mesi. Avevo quindi 90 giorni per decidere. 90 giorni per partire.
Durante delle settimane successive si rincorrevano notizie contrastanti sulla situazione della centrale Fukushima-I. Purtroppo i 700Km che separano in linea d’aria Yonago da Fukushima sembrano una distanza infinitamente piccola se visti dall’Italia, quindi sembrava che io dovessi partire direttamente per Černobyl. Ho dovuto combattere con l’opinione comune che mi dava per pazza a non aver immediatamente scartato l’idea di partire.
Nonostante la gravità delle conseguenze del sisma, l’emergenza nucleare creatasi a Fukushima, se pur seria, ha scatenato un generale allarmismo, talvolta poco fondato. I media descrivevano spesso una situazione quasi apocalittica. La maggior parte delle persone, in quel periodo, era infatti convinta che Tokyo fosse vittima di un disastro radioattivo di grandi proporzioni. In realtà i valori della radioattività ambientale nella capitale del Giappone (a poco più di 200Km da Fukushima) erano anche più bassi di quelli presenti a Roma. Nel comunicato N. 2 del 16 Marzo scorso, l’Ambasciata Italiana dichiarava “I valori in questione sono dell’ordine di 0.04 microsievert/ora, circa un terzo del valore di radioattività ambientale tipico della città di Roma (0.25 microsievert/ora)” tali valori, vista la crescente diffidenza verso le autorità Giapponesi, venivano periodicamente confermati da una squadra altamente specializzata della Protezione Civile italiana, presente durante l’emergenza presso la nostra Ambasciata a Tokyo, oltre che dal confronto con i valori riportati dalle altre Ambasciate dei paesi occidentali, quali quella Americana.
Il 20 Marzo, in molti siti web si potevano trovare notizie del tipo “Iodio nell’acqua corrente a Tokyo che la rende radioattiva”. In questi articoli spesso però veniva omesso che il campione d’acqua risultato positivo in quell’occasione conteneva 1,47 bequerel/litro di iodio 131, molto al di sotto dei livelli standard fissati dal Giappone che sono pari a 300 bequerel /litro. E questi sono solo un paio di esempi.
Qualcuno mi ha pure detto “Ma perché, già che ci sei, la tua esperienza all’estero non la fai in Libia?” (dove, nel frattempo, era appena iniziato l’intervento militare della Nato).
A Yonago in realtà il terremoto non si era nemmeno sentito e ricevevo notizie tranquillizzanti dai miei colleghi qui. Perciò, nonostante la mia lotta per far capire alle persone che il Giappone non si era inabissato nel Pacifico dopo lo tsunami e che non sarei tornata radioattiva, di colore verde o con un occhio in più in mezzo alla fronte, non ho pensato nemmeno per un secondo di annullare a priori il mio periodo qui. Ovviamente questo non significa che non abbia considerato i possibili rischi, ma semplicemente che ho preso del tempo per valutare attentamente la situazione, in maniera razionale ed obiettiva, lontano dagli allarmismi.
Inoltre, la confusione generale che ha caratterizzato il periodo immediatamente successivo al sisma, anche dal punto di vista del traffico aereo sul Giappone, mi ha comunque costretto ad attendere quantomeno una stabilizzazione della situazione prima di prenotare il volo.
Circa un mese dopo, il terremoto in Giappone ormai non faceva più notizia. Il traffico aereo era ormai tornato alla normalità e io avevo ricevuto diverse conferme sulla sicurezza di Yonago. L’Ambasciata Italiana, rispose tempestivamente alla mia richiesta di informazioni scrivendomi “Non è stato osservato nessun aumento di radioattività ambientale nella prefettura di Tottori a seguito dell’emergenza nucleare. Non ci sono stati e non ci si aspettano effetti di alcun tipo da pioggia e/o vento a quelle distanze. Non c’è stata nessuna contaminazione di acqua o di cibo a Tottori. Questo le consente di poter intraprendere il viaggio con tranquillità”.
Così, nonostante i molti pareri contrari, dopo aver fatto tutte le considerazioni del caso, dopo un’attenta valutazione della situazione e dei possibili rischi, basandomi sulle fonti che ritenevo più attendibili, finalmente decisi di prenotare il volo. A meno di un mese dalla partenza.
Potevo finalmente iniziare il conto alla rovescia.
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