La Norvegia svolta a destra, ecco perché
Lunedì 9 settembre i norvegesi sono stati chiamati alle urne per eleggere il nuovo governo. I cittadini si sono trovati davanti a una scelta difficile: continuare il percorso politico di 8 anni del democratico Stoltemberg (Arbeidspartiet), o dare inizio a una nuova fase, svoltando verso destra con il partito popolare (Høyre Partiet) di Erna Solberg? L’alta affluenza alle urne dimostra l’importanza di questa scelta: nel 100° anniversario del suffragio universale nel paese, il 78% dei cittadini ha espresso la propria preferenza.
Il responso delle schede elettorali parla chiaro: Stoltemberg abbandona il sogno di ottenere, per la prima volta nella storia norvegese, il terzo mandato consecutivo. Il testimone è passato a Erna Solberg, la capogruppo dell’ Høyre Partiet (partito popolare-conservatore) che ha visto crescere del 9% le preferenze rispetto alle ultime elezioni. Un’altra donna, Siv Jensen del Fremskrittspartiet ( FrP, partito popolare progressista), rappresenta il terzo partito norvegese, seppure i suoi consensi siano calati di quasi 7 punti percentuali dal 2009.
Analizzando questi risultati elettorali, i media stranieri hanno posto principalmente l’accento sulla connessione tra queste elezioni e quanto avvenuto a Utøya due anni fa. I commenti a caldo post elettorali hanno sottolineato la presenza del FrP, a cui Breivik è stato iscritto per un breve periodo, nella nuova maggioranza di governo. Il voto norvegese, a parere di molti di loro, avrebbe dovuto tenere conto di quanto successo in quel terribile giorno, quando Breivik ha sterminato 77 ragazzi innocenti riuniti sull’isola per discutere del futuro del proprio paese. Questo significa che la lezione di Utøya è già stata dimenticata o, peggio, completamente fraintesa?
Non credo che il voto norvegese vada letto come un errore dovuto alla memoria corta dei cittadini: l’argomento Breivik è ancora una ferita aperta, di cui difficilmente si parla. Sebbene ora si trovi in carcere dopo essere stato giudicato sano di mente, è innegabile che abbia agito estremizzando quell’atteggiamento islamofobo e anti immigrazione che si riscontra nel FrP. E’ nella natura umana avere istintivamente paura del nuovo, del diverso, si tratta di una sensazione ancestrale. La natura umana si è però evoluta: ha imparato a farsi domande e cercare risposte, ha insomma sviluppato nel tempo una razionale curiosità con cui accogliere la differenza come arricchimento. Gli elettori dell’Høyre non sono Breivik: sono cittadini di un paese abbastanza isolato, trovatosi improvvisamente a fronteggiare flussi migratori molto intensi grazie al ricco Stato sociale. Allo stesso tempo, questi cittadini hanno assistito alla crisi del modello di integrazione svedese, con gli scontri di giugno tra immigrati e poliziotti nei quartieri periferici di Stoccolma. La Svezia, che si è scoperta multietnica molto prima della Norvegia, si è trovata a fronteggiare i colpi di questi figli arrabbiati di un paese che prima li aveva accolti e poi gradualmente messi all’angolo.
Il voto a destra è però motivato da più ragioni: innanzitutto, è comprensibile la voglia di cambiare la ricetta Stoltemberg dopo otto anni di governo del suo Arbeidspartiet. Inoltre, la gestione dei proventi petroliferi è stata un altro punto di dibattito e di critica verso il governo uscente. Con questa enorme ricchezza derivata dall’oro nero (si stimano circa 100.000 dollari per cittadino), sarebbe possibile finanziare più efficacemente i servizi pubblici, alleggerendo l’imposta fiscale sui cittadini, anche quelli con reddito medio-alto oggi vittime di elevate tassazioni.
Infine, bisognava affrontare il tema caldo dell’immigrazione. L’ultimo mandato di Stoltemberg ha visto entrare nel dibattito pubblico argomenti prima bollati come razzisti, quali la necessaria conoscenza linguistica come requisito per inserire gli immigrati nel mondo del lavoro. Tra il 2009 e il 2012 il governo socialista di Stoltemberg ha poi indurito le norme che regolano la richiesta di asilo politico, portando a un calo delle domande da 17.000 a 9.800 unità in tre anni.
La Norvegia che esce da queste elezioni non è più la figlia spensierata del miracolo economico sgorgato dalle profondità marine sotto forma di petrolio. Nelle mani del nuovo esecutivo c’è un paese cresciuto, stimolato dalla crescita economica, corteggiato dall’Unione Europea, sognato da tanti stranieri che ogni anno ne varcano i confini, indurito dalla tragica vicenda di Utøya e preoccupato per il futuro dei suoi figli. I norvegesi hanno scelto Erna Solberg per il difficile compito di gestire la costante evoluzione di questo paese e assicurarsi che sia un processo armonioso, lavorando nel presente per aggiungere alle certezze della tradizione le sfide del futuro.
Camilla Bonetti
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